martedì 22 giugno 2010

Le tasse universitarie: mangi come spendi!


Non è tanto strano che gli studenti si oppongano ad aumento delle Tasse (per es. in questi giorni in discussione al PoliBA). Tutto sommato, gli studenti che si iscrivono in molte università italiane ritengono di farlo non in un'Università di Eccellenza (se ce ne fossero in Italia), ma nell'equivalente del Community College in USA, dove i residenti della Regione (e quelli che non riescono ad entrare nelle State University o meglio ancora in quelle della Ivy League per via del voto di uscita dal liceo), si iscrivono gratis. Si veda la lucida analisi di Graziosi. Sull'esplosione in USA delle Università "for-profit" e online, tipo CEPU ed E-campus, e il relativo fallimento per ora di quelle italiane, si veda qui e qui.

Fa impressione vedere come gli studenti USA dei Community College tuttavia fanno ricorso massiccio alle Università private online "for-profit" tipo CEPU devo dire, indebitandosi fino all'8% del loro salario di partenza dopo la fine degli studi, e anche oltre. In Italia, questo comporta, con una media sui 1300 Eu al mese, una "tassa" di 100 Eu al mese da pagare dopo la laurea. Quindi livelli astronomici di volontà di indebitarsi, rispetto agli studenti italiani, che non vogliono spendere (se non per vivere fuori sede, magari), ma non sanno che questo probabilmente è il motivo per cui il salario medio in ingresso nel mondo del lavoro è così basso. Una corsa al ribasso, con le aziende che credono di assumere delle persone senza alcuna capacità di entrare nel mondo del lavoro pratico, quindi da formare, se non addirittura da "resettare".

Nella proposta che ho visto del POLIBA, peccato non aver previsto maggiore flessibilità per l'iscrizione Part-Time, che tanto successo ha in altre università, e che permette di non far andare fuori corso gli studenti, che scelgono ognuno che esame e corsi seguire ogni anno - si veda Polito qui. Si pensi che i dati in mio possesso sono i seguenti

PoliTO - 5914 su totale di 24554 ossia 24%!
UniTO - 6955 su totale di 64884 ossia 10%!
Salerno - 3924 su totale di 39003 ossia 10%!
PoliMI - 10108 su totale di 36232 ossia 30%!
Macerata 2400 su totale di 11898 ossia 20%!
genova 1552 su totale di 35111 ossia 4%!
Cagliari 1757 su totale di 34293 ossia 5%!
PoliBA ---- un vergognoso 9, ossia 0.01%!

Nella nuova bozza di regolamento Tasse del PoliBA, vedo solo una proposta per studenti part-time al 50%. Ben poca cosa, e magari non verrà nemmeno recepita dagli studenti, che ora si lamentano del raddoppio per i fuori corso, ma non sanno che se si iscrivono part-time, risparmiano, e non vanno nemmeno fuori corso! A questo punto, voilà, gli studenti avrebbero ben poco da protestare su questo punto, potrebbero se vogliono, restare il doppio degli anni. Molto meglio renderla flessibile pero', come a Politecnico di TORINO, e rendere possibile se non incentivare anche l'accelerazione.

Ma da qualunque parte lo si guardi, il problema delle Università italiane sembra unico nel mondo, e nessuno pare voglia cominciare a differenziare le situazioni. Le tasse sono rimaste ferme per anni su schemi ed importi, e nel frattempo lo Stato non vuole supportare più le stesse. La reazione delle Università nell'aumentare le tasse, anche disincentivando i fuori corso come chiede (giustamente il Ministero) viene accolta da un muro da parte degli studenti, e nessuno vuole cambiare nulla.

Avanti cosi' !

domenica 20 giugno 2010

L'esplosione dell'università di massa in USA ha poco in comune con l'Italia

Mi sono molto meravigliato nel leggere questo articolo sul Washington post. Come dice Andrea Graziosi, la ns Università di massa è ormai paragonabile ai "community college" quasi gratuiti americani.

Ebbene, questi sono in crisi anche in USA, soppiantati, o integrati, da delle "Super-CEPU" come le chiamava qualcuno, che sono letteralmente esplose, e sono supportate dallo Stato che apprezza il loro lavoro, ma ora fanno preoccupare l'Amministrazione Obama. I numeri sono incredibili, e denotano una vitalità che in Italia non ha il minimo parallelo. Gli studenti di questi "for-profit colleges" è triplicato in 8 anni, da 673,000 nel 2000 a 1.8 million nel 2008. Oggi sono sotto accusa perchè seppelliscono gli studenti sotto montagne di debiti -- da dire ai ns studenti italiani che debiti in genere non ne fanno, eppure si lamentano e fanno muri all'aumento delle tasse di poche decine di euro.

Gli aiuti federali a questi "super-cepu" sono nel frattempo non triplicati, ma piu' che quintuplicati, da $4.6 miliardi nel 2000, a $26.5 billion nel 2009, e notare che la cifra è ora oltre 3 volte la spesa totale dell'Università italiana, che pure ha lo stesso numero di studenti! Insomma, gli USA finanziano le "super-CEPU" che hanno lo stesso numero di studenti italiani, con 3 volte la cifra spesa in spesso ben piu' nobili istituzioni. Non credo ci siano da fare commenti, occorrerebbe rivedere il modo di agire di studenti, famiglie, docenti, politici e imprenditori italiani in toto!

(da notare che il giornale Washington post possiede una delle università online for-profit di cui si parla).

lunedì 14 giugno 2010

Tre storie di emigrati eccellenti - settimanale Il resto 12 Giugno 2010



Tre storie di emigrati eccellenti

L’espressione “cervelli in fuga” è già da tempo divenuta di uso quotidiano nella lingua italiana: indica la partenza da parte di molti laureati, spesso all’estero, alla ricerca di quelle gratificazioni e successi professionali che in Italia, seppure con sforzo, non riescono ad ottenere. Seppure in alcuni casi la scelta è motivata dall’esigenza di arricchire il proprio bagaglio culturale o imparare una lingua straniera, sempre più numerosi, ad oggi sono i giovani che lasciano il loro paese per le scarse prospettive di carriera, il mancato riconoscimento delle proprio capacità, stipendi bassi, contratti a tempo con scarse possibilità di rinnovo e pochi soldi per la ricerca. Infatti se inizialmente l’idea è quella di rimpatriare presto, sempre più frequentemente decidono di stabilirsi nel paese d’arrivo.
Ben nota, ricordiamo, è la lettera che Pier Luigi Celli, rettore della Luiss, scrisse al proprio figlio sulla Repubblica il 30 novembre 2009, dove invitava il ragazzo ad andare via dall'Italia.
Di conseguenza l’unica speranza resta l’esodo, la partenza verso luoghi sconosciuti ma certamente più allettanti ai fini di una promettente futuro professionale.

La circolazione dei cervelli

A tal proposito, informato sull’argomento, è il prof e ing Michele Ciavarella, la cui carriera, dopo la laurea in ingegneria a Bari ed un dottorato ad Oxford, si è sviluppata nei principali centri di cultura a livello mondiale quali gli Usa, Germania e Francia. Attualmente è Professore Associato presso la Facoltà "distaccata" di Ingegneria Taranto del Politecnico di Bari dove insegna progettazione meccanica. E' nel comitato editoriale di 3 riviste scientifiche, ed ha pubblicato ca.100 lavori su riviste specializzate. Il professore porta avanti sul l web un blog, “ Il rettore virtuoso”, in cui scrive , tra gli altri, articoli dedicati ai problemi che affliggono l’ università italiana e in particolare al tema della meritocrazia.
“ Oggi si dovrebbe parlare di circolazione e non solo di fuga di cervelli – dichiara il prof Ciavarella -
ai tempi di Erasmo da Rotterdam la circolazione andava bene ma il problema è che in Italia non si prendono cervelli dall'estero, ma solo calciatori. Non c’è brain drain, ma solo legs drain per non parlare, poi, dell’intera politica dell'immigrazione oggi basata su colf e badanti e non per i cervelli”.
Qualche piccola iniziativa è ogni tanto presa in considerazione, anche al momento super partes da alcuni politici, ma sono sempre palliativi”. A tal proposito il professore fa riferimento alla proposta di legge per il rientro dei cervelli seguita dal sì bipartisan della Camera, proprio di questi giorni, sebbene la situazione sia , comunque , ancora incerta. “Oggi – aggiunge il prof Ciavarella – basta vedere i dati di immigrazione: in Usa ci sono 40% di laureati, da noi 1.5% quindi la differenza è abissale”

La via estera del successo

Il dr Vito Tagarielli di Acquaviva delle Fonti, ex allievo del prof Ciavarella, rappresenta un prova concreta di talento nostrano emigrato all’estero. Dopo una laurea in ingegneria meccanica brillantemente conseguita presso l’università di Bari e il deludente tentativo di assunzione presso alcune aziende locali con sede a Bari-Modugno, come Nuovo Pignone e Bosh, soprattutto a causa delle poco convincenti condizioni contrattuali offerte, inizia a maturare l’idea di guardare altrove. Di qui l’idea di tentare la “via estera” attraverso l’invio del curriculum alle più prestigiose università europee. Successivamente arriva con sorpresa la risposta di un luminare inglese. Allo stesso momento, caso vuole, vince un dottorato in Italia, ma considerando le prospettive che questo avrebbe offerto parte per l’Inghilterra dove consegue un Phd (dottorato) presso l’University of Cambridge cui segue un contratto come ricercatore.
Attualmente il dr Tagarielli si trova ad Oxford dove porta avanti la sua carriera come lecturer, ovvero l’equivalente di un professore associato in Italia. “La differenza tra il Regno Unito e l’Italia – riporta il giovane professore – è abissale. In soli 8 anni ho raggiunto traguardi che in Italia avrei raggiunto con il doppio degli anni e chissà cosa mi sarebbe aspettato; per non parlare poi delle gratificazioni professionali qui, in Uk, riconosciute appieno accompagnate da un’ ottima retribuzione economica.
Vorrei tornare in Italia, nel mio paese – prosegue il dr Tagarielli – ma con quali prospettive future?. Ritornare significherebbe anche fare un passo indietro nella mia carriera. le cose in Italia non cambiano. Ho anche aperto la strada a molti miei compaesani tutti con un brillante futuro davanti.
Il Sud , in particolare, non dà alcuna prospettiva e la strada per conseguire delle gratificazioni personali è troppo faticosa e lunga esattamente il contrario di quanto accade qui in Inghilterra”.
Ennesima testimonianza, quindi, che la meritocrazia sia una delle principali piaghe che colpiscono gli studenti italiani.

Un portafoglio da un milione

Altro giovane pugliese che “ce l’ha fatta” è l’ing Daniele Dini, anch’egli ex allievo del prof Ciavarella. “ Subito dopo il conseguimento della mia laurea 2000 – ha raccontato il prof Dini - ebbi l'opportunitá di contattare il gruppo di ricerca che si occupa di meccanica dei solidi all'Universita di Oxford per discutere eventuali borse di studio per intraprendere un dottorato all'estero. L'offerta di borsa arrivo a Gennaio 2001 poi arrivai ad Oxford verso fine Aprile 2001. Durante il mio dottorato, svolto in collaborazione e finanziato direttamente da Rolls-Royce, la mia ricerca é stata focalizzata sulla progettazione di turbine a gas per uso aeronautico. Alla fine del mio dottorato, conseguito nel Luglio del 2004, mi fu offerta l'opportunitá di diventare ricercatore a tempo determinato per tre anni nedl Dipartimento di Ingegneria e di essere associato come Senior Tutor a uno dei collegi di Oxford (St. Hilda's). Una simile opportunitá non sarebbe stata possibile altrove, e soprattutto in Italia. L'impegno come docente e ricercatore, seppure molto impegnativo, ha rinforzato la mia convinzione di voler intraprendere una carriera accademica all'estero.
La sua carriera è evoluta di nuovo nel 2006 nel momento in cui riceve l'offerta di lavoro a tempo indeterminato come Lecturer nel Dipartimeno di ingegneria meccanica presso l’ Imperial College di Londra dove, da poco, è stato promosso a Senior Lecturer.
”Tutto ciò mi consente, all'età di 34 anni, di guidare un gruppo di 6 ricercatori e dottorandi e di gestire un portafoglio di finanziamenti per la ricerca di piú di un milione di euro. La differenza essenziale con il sistema italiano é che sottolinea il prof Dini – se fossi stato in Italia non avrei potuto usufruire di tale libertà sarebbe stato difficile ottenere l'indipendenza sia dal punto di vista della ricerca dei finanziamenti che dal punto di vista dell'insegnamento. Ulteriori benefici sono da ricercarsi nel fatto che il prestigio delle Università in cui ho lavorato mi ha consentito di attrarre collaborazioni con multinazionali interessate a collaborazioni di ricerca a livello avanzato e di instaurare collaborazioni con i migliori ricercatori in diverse istituzioni a livello mondiale.
Non so quanto la fortuna abbia aiutato (parecchio credo), ma dopo 9 anni in Inghilterra sono convinto che non solo rifarei le mie scelte a livello personale e lavorativo ma consiglierei a molti neo-laureandi di intraprendere lo stesso percorso.”

Gianni Scalera

domenica 13 giugno 2010

Dopo i ricercatori, anche i prof. a contratto scendono in guerra! Avremo 90mila da stabilizzare almeno prima dei ricercatori a tempo determinato.

Avremo ora 90 mila docenti da stabilizzare, prima che qualche povero ingenuo che vuole passare per merito e non è passato finora, magari perchè è all'estero, potrà tornare in Italia. Largo allora alle nuove stabilizzazioni! Poichè tuttavia tutti parlano di merito, ne torno a parlarne anche io, come alla lettera al direttore della Gazzetta, anche se mi attiro le critiche, ben meritate visto che ci sono grandi numeri di persone che si muovo contro il merito. Ora mi attirerà le critiche dei professori a contratto, ma ormai ci sono abituato. Chissà che alle urla rumorose degli arroganti, faccia eco il silenzio assordante dei giusti.

Cosa diranno infatti ora i ricercatori in sciopero, visto che i prof. a contratto chiedono regolarizzazione e minacciano la class action... si va avanti con cicli di assunzioni precarie e stabilizzazioni di massa ope legis -- avanti il prossimo!

E chi sarà daccordo ora con la categoria ultra-precaria dei ricercatori a tempo determinato? Nel resto del mondo, come ho già ricordato in precedenti post, per es. questo sui ricercatori, c'e' la categoria dei docenti in prova "Assistant professor", e dopo 5-6 anni, viene contemporaneamente valutato per la promozione ad "Associate professor" e per la conferma- tenure. In Italia, con la classe dei ricercatori, i docenti in prova vengono confermati praticamente al 99-100% delle volte, ma non promossi sempre, e questo ha creato un certo malumore, esploso pero' ora dopo 30 anni in modo curioso, in concomitanza con i tagli più severi della storia dell'Università, e con la messa in esaurimento della categoria. Si teme cosa esattamente? Che scelta di tempi è questa?


Sui corsi e ricorsi del reclutamento italiano, si veda questo commentando il bel libro di Andrea Graziosi sul degrado dell'Università Italiana ad università di massa per allargamento, e questo sulla proposta di prepensionamento Carrozza-Meloni.

Fino al 1968, c'era un sistema di ordinari-direttori di istituti monocattedra (i "baroni") che avevano un codazzo di assistenti e incaricati sottopagati e non regolari. Con il fallimento di tutte le proposte di Riforma, si arriva agli anni '80, in cui entrarono con "ope legis" ossia senza vero concorso, oltre 30 mila docenti, che nei prossimi 10 anni andranno quasi tutti in pensione -- i numeri esatti cambiano da un autore e un giornalista all'altro, ma in sostanza mi fido di questi numeri di Sylos-Labini e Zapperi.

Ora, non contenti di questo mega-concorso, e di altri mega-concorsi anche per ordinari (dal '73 ad oggi), l'Università italiana ha visto il "mega-concorso" Berlinguer negli anni a cavallo del 2000, con un 20% di incremento della classe docente (da 50 mila a 60mila) e un ben più sostanzioso progresso della classe degli ordinari (+50%). Sarebbe interessante capire dei ricercatori nati nel 1982 ossia 30 anni fa, quanti sono passati associati prima della Berlinguer e quindi probabilmente ordinari con il concorso Berlinguer. E sapere quanti degli associati ex-382 degli anni 80 sono passati ordinari. In definitiva, quanti dei 26 mila attuali ricercatori che vogliono passare associati allargando la categoria, non quelli originari degli anni '80, che hanno avuto fior fior di possibilità di passare associati con concorsi.

Comunque, stabilizzare oggi i 26 mila ricercatori, anche se non in modo oneroso subito (ma shiftato di qualche anno tramite una nuova scala di anzianità), è operazione pari quasi alla 382 come grandezza. E questa della class action dei prof. a contratto è una nuova ondata di stabilizzazione, con numeri senza precedenti.

Si tratta infatti di più dell'attuale classe di professori strutturati, visto che il CODACONS parla di 55% del corpo docente è composto da professori a contratto che, come dicono i ricercatori "pur essendo impegnati in mansioni del tutto paritetiche a quelle dei docenti interni, ricevono un trattamento economico a dir poco insignificante e sono privi di qualunque tutela assistenziale e previdenziale”. Se i docenti italiani sono 60mila, deduco che quelli a contratto sono almeno altrettanti.

Insomma, queste operazioni, guai a chiamarle "ope legis", potrebbero stabilizzare o far passare di grado un totale di 26mila + 60mila= quasi 90 mila docenti, mentre la Gelmini parla di tagliare il fondo FFO del 20%, ossia vorrebbe tornare ai 50 mila docenti del prima Concorso Berlinguer. Un gran casino, e certo, il merito di chi vorrebbe passare per concorso meritocratico, è cosa su cui non fare affidamento!

venerdì 11 giugno 2010

Science Debate goes international - Italian, US, German Debates at ESOF2010 7 July, Torino


Science Debate Goes International, see news from here.

News Release | June 11, 2010

Science Debate cofounder Shawn Lawrence Otto will speak at the EuroScience Open Forum in Torino, Italy on July 7. Otto will be a panelist on the plenary session "The missing mediator: Science debates in a knowledge based society," and will tell the European science audience about science in American policymaking and media.

"Since Science Debate 2008, science debates have been embraced in many European countries," said Otto. "The panel is an important discussion of the changing role of science in policymaking in the Century of Science, an exploration of current best practices in varying countries, and a discussion of next steps."

European countries that have organized or are organizing science debates since the American Science Debate 2008 include Germany, the United Kingdom, Italy, and Sweden, as well as an overall EU initiative.

"Since Galileo, science has always been political," said Otto. "Any time we extend the bounds of our knowledge, we must refine our morals and ethics to account for the new knowledge, and that means policy and that is always political. We are now moving into an era where knowledge is exploding and the majority of policy questions our nations face revolve around science. The discussion is about how we achieve successful outcomes for both policymaking and science, while involving the broader public in both. It is one of the most important questions of the century, and we must solve it in order to address our major policy challenges across the planet."

"We are proud to have Shawn Otto with us over here in Europe to share the experiences of the US Science Debate with us", said Hanns-J. Neubert, President of the European Union of Science Journalists' Associations." Although science in Europe is high on the political agenda, and a lot is done to support science in society, society in science still not adequately represented or heard. We want to change this, also by listening to best and successful practices."

Other panelists include:

* Hanns-Joachim Neubert, president of the European Union of Science Journalists’ Associations (EUSJA);
* Wolfgang Goede, of the German Association of Science Writers (TELI) and science editor of Germany's leading popular science magazine P.M. / Knowledge matters, and co-founder of the World Federation of Science Journalists (WFSJ); both co-organizers of the German Science Debate;
* Michele Ciavarella, engineer at Bari Polytechnic and organizer of the Italian Science Debate initiative at www.sciencedebate.it; and
* Barbara Drillsma, moderator, vice president of the European Union of Science Journalists’ Associations (EUSJA) and administrator of the Association of British Science Writers (ABSW), UK.


From the panel description at ESOF:

Members of the German Science Writers TELI started a public science debate in the run-up to the German parliamentary elections 2009. They played out their role as mediators in society. Collecting wishes from scientists and science institutions, the journalists pooled the results and concentrated them into 15 questions which they put forward to candidates. The answers of the politicians were published on the web. This was the starting point of the public “Science Debate Germany 2009” between scientists, public and politicians, transported by the media.

The prototype was the “Science Debate 2008” developed by fellow journalists during the US elections with Barack Obama and John McCain. As a result Obama put science quite high on his agenda. And science became a public topic in a country where the public was considerably less informed about science than in Europe, and where the media strictly separated science and politics from each other.

The speakers will present the results of the science debates in the USA and Germany, look behind the myth that science and science journalism have to be unpolitical, discuss science PR in relation to cognisant decisions in a democratic society, and show options for similar debates in Europe to be performed by EUSJA. In smaller groups, the audience will discuss options for science debates in Europe, develop ideas for their improvement and questions from present scientists will be collected as a basis for debates about European science

If you find our volunteer efforts helpful, please contribute.

Best,

-The Team at ScienceDebate.Org


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thedatabank, inc.

giovedì 10 giugno 2010

La Riforma Gelmini, i ricercatori e reclutamento nel quadro storico e internazionale

Sembra prendere piede la protesta dei ricercatori (anche allargandosi ad associati e ordinari, vi veda il link dove Claudio Procesi, accademico del Lincei e ordinario di algebra alla Sapienza, ha dato avvio a una lista di associati e ordinari già intorno a 1000) e ieri molti amici e colleghi mi hanno chiamato anche perchè è uscito sul sito CNRU il link all'articolo dell'amico David Naso collega del PoliBA che ha risposto a sua volta alla mia lettera al Direttore della Gazzetta, dicendo che ho irritato molti colleghi ricercatori con la mia premessa sugli aspetti "ope legis" di alcune varianti della loro richiesta.

Colgo l'occasione per spiegare meglio il mio punto di vista, anche inquadrando storicamente il "problema" di cui si parla, e peraltro cercando di indicare il quadro internazionale sull'organizzazione della docenza, tanto per fare chiarezza.

1) Quadro Storico
Nella mia lettera alla Gazzetta, io parlavo di "paura dei ricercatori" che la nuova categoria dei ricercatori a Tempo Determinato abbia una corsia preferenziale. Ebbene, dalla proposta ufficiale di Merafina su CNRU (testo qui) leggo

"Su questa crisi, il disegno di legge sceglie delle soluzioni che risultano assolutamente poco credibili e non attuabili se verranno mantenuti i tagli introdotti dalla legge 133 del 2008 e soprattutto impedisce ai Ricercatori Universitari, per la mancanza di concorsi, di uscire dal vicolo cieco cui sono stati posti dalla messa ad esaurimento operata dalla Legge Moratti e dalle cosiddette corsie preferenziali introdotte in questo DDL a favore dei giovani Ricercatori a tempo determinato che potranno essere inquadrati nella fascia dei professori associati con meccanismi più celeri di quelli previsti per chi è già nel ruolo."



Senza sottilizzare sulla parola "ope legis" ora, sempre dalla proposta ufficiale, leggo:-

"La proposta consiste nella richiesta di inquadramento alla seconda fascia docente per tutti quei ricercatori che hanno fatto didattica certificata dalle facoltà (anche diverse e/o di diversi Atenei) per almeno sei anni (in analogia con l’impegno richiesto ai ricercatori a tempo determinato nel DDL) e che mostrano di essere attivi nella ricerca superando i requisiti minimi scientifici già definiti dal CUN e diversificati per area scientifica.
"

Quindi un giudizio di idoneità di "requisiti minimi", forse non uguale a quello che si intende "ope legis" nella 382 del 1980, ma comunque non un concorso, e che si tradurrebbe probabilmente nel passaggio del 90% dei Ricercatori.

L'idea si completa con l'introduzione di nuove curve stipendiali uniche per ricercatori e associati, che al costo di far crescere le curve dei ricercatori, farebbero risparmiare nell'introdurre la classe dei ricercatori a tempo determinato, che si immagina in larga parte entrerà nella categoria associati, su gradini inferiori della curva. Non so bene come si può quantificare il risparmio di una categoria che ancora non esiste e che quindi a maggior ragione non si può sapere con che numeri entrerebbe nella categoria associati con regolare concorso. Ma lasciamo perdere questi dettagli, o creo altra "irritazione".

A me pare che esista già una categoria di "associato" di serie B, e sono i professori "incaricato stabilizzato" (anch'esso ruolo in esaurimento), che sono solo una cinquantina ormai che, per un motivo o per l'altro, non hanno conseguito il giudizio positivo d'idoneità a partire dal 1982. Essi svolgono attività didattica al pari di un professore di II fascia, ma godono di una retribuzione minore.

Ora, l'introduzione della categoria "Ricercatori" segue storicamente l'unico vero tentativo, quello degli anni '60, di studiare la realtà internazionale e ancorarsi ai successi mondiali (ossia degli USA) guidata in Europa dalla Francia. Mi riferisco alla "Commissione d'indagine" formata da parlamentari, da pedagogisti e da esperti nel settore del lavoro e dell'organizzazione industriale. Questa trovò un sistema già in ritardo, ma si concentrarono sull'università, ed emersero "carenze gravissime non solo per quanto riguardava finanziamenti, edilizia, biblioteche, personale, ma anche forme organizzative. Contro la sola presenza della facoltà si proposero tre nuove articolazioni: i corsi di laurea, i dipartimenti e il dottorato di ricerca."

Da questo studio nacquero però riforme fallite, che in parte sono entrate a pezzi negli anni successivi, in parte si ritrovano nella Riforma Gelmini, e in parte sono state distorte in modo abnorme da applicazioni di "testi urgenti" e concorsi finiti ope legis ossia «per il dettato della legge», un'espressione giuridica oggi tanto mal vista ma che a rigori significa solo che l'azione compiuta è stata compiuta "perché lo dice la legge".

Notevole la Riforma progettata da Tristano Codignola, che mirava ad una vera Riforma dal profilo alto e complessivo, DDL612 che nemmeno oggi con la Riforma Gelmini torna dopo 40 anni in modo cosi' radicale -- la soppressione delle facoltà a favore dei corsi di laurea, e la delineazione del docente unico, che rispondeva ad una profonda domanda di democrazia che veniva dai sindacati confederali, ormai presenti, con specifiche articolazioni, non solo nel settore della scuola, ma anche in quello dell'università.

Il DDL, come oggi la Riforma Gelmini, passò la Commissione Istruzione del Senato, e alla Camera furono discussi ed accettati i primi 30 articoli. Ma forti resistenze avevano creato soprattutto la proposta del docente unico e l'abolizione della facoltà. Il PSI si sentiva il vero padre del progetto, ma fu respinto in Senato con i voti contrari della DC, PSDI, PRI e con la sola approvazione del PCI. Oggi viene a poco a poco realizzato in frammenti senza però la forza della globalità.

Interessante in particolare che grandi resistenze avevano creato soprattutto la proposta del docente unico e l'abolizione della facoltà, entrambe proposte che sono poi state accantonate, ma che stanno tornando di fatto di moda.


La legge 382 dell'11 luglio 1980, Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica fu invece un meditato compromesso tra le forze politiche, le confederazioni sindacali, raccoglie il suggerimento del Consiglio Superiore universitario del 1979 di una doppia fascia per i docenti e l'assorbimento in una terza da istituire di tutto il personale precario, i docenti in formazione, o ricercatori, oltre all'istituzione del dipartimento e del dottorato di ricerca.

Per qualche anno l'università italiana fu impegnata nel difficile compito di realizzare la 382 non solo per quanto riguardava i concorsi per ordinari, ma soprattutto per la nuova fascia degli associati e, a livello prevalentemente locale, dei ricercatori. Per i secondi era previsto il giudizio di una commissione nazionale, con tre possibilità di appello, in modo tale che le esclusioni dal ruolo furono estremamente ridotte. Si optò tacitamente per una scelta poco selettiva, gonfiando la seconda fascia di personale non sempre qualificato. Questo nel tempo avrebbe mostrato tutte le patologie di un reclutamento così massiccio non per concorso, ma ope legis. Il numero molto alto di associati, fra l'altro quasi tutti di un'età relativamente giovane, non creava alcun possibile turn over con i ricercatori, condannati nella maggioranza a restare tali nonostante qualificazioni scientifiche e didattiche.

In seguito, i concorsi da ricercatore hanno sempre avuto una caratteristica piuttosto "locale", per cui sono entrati parecchi ricercatori con valutazioni discutibili. Insomma, una categoria che non piace a nessuno, abusata nella durata, e che ha lascia scontenti parecchi per come è stata utilizzata. Tuttavia, quale soluzione mentre si esaurisce? Un ope legis per 26 mila ricercatori italiani oggi, non pare giusto, non pare percorribile, non pare possibile, nemmeno nel transitorio. Ai lettori giudicare quale soluzione sia possibile.


2) Quadro internazionale

Da wikipedia è facile rintracciare i sistemi più in voga nel mondo. I "Ricercatori" sarebbero equivalenti agli "assistant professor" in parte, ma come ricorda Wikipedia, normalmente l'Assistant Professor "does not usually serve to "assist" more senior faculty". Noi subiamo quindi un retaggio storico in Italia, dove prima della 382 esistevano queste figure precarie (Assistenti e Incaricati) che erano molto mal pagati e precari, quindi subivano una dipendenza totale dall'Ordinario.

Grosso elemento a favore dei ricercatori: "There is usually a strict timeline for application for promotion from assistant to associate professor - usually 5 or 6 years following the initial appointment."

Quindi, come nello spirito della 382, che inquadrava nella categoria dei "docenti in prova" i Ricercatori, non si dovrebbe esserlo a vita. Non ha senso una prova a vita, anche se la Conferma da diritto al ruolo a vita.

In genere in effetti il passaggio ad associato "coincide" con la "tenure" ossia la conferma, per cui oggi i ricercatori potrebbero chiedere a posteriori, avendo tutti passato la conferma, di passare ad associati, ma questo ha il sapore dell'automatismo, anche se condito dalla verifica di "requisiti minimi". Non mi pare corretto per es. verso chi ha passato un vero concorso. Da questo punto di vista, la conferma infatti si è data in italia quasi a tutti, mentre il passaggio ad associato, teoricamente solo ai meritevoli.

Nel resto del mondo, la conferma non è automatica, coincide con il passaggio, ed è un processo più serio ed articolato di entrambi. Questo si potrebbe fare in Italia, ma nessuna proposta attualmente lo considera. "Tenure and promotion from assistant to associate levels is made at numerous levels, with a common sequence being: 1) external reviewers—several high-profile researchers will be asked to review the candidate's application for promotion and will submit a confidential report; 2) based on this report and letters provided by members of the university, a subcommittee of members from the candidate's department will make a recommendation for tenure/promotion or denial of such; 3) the department will vote; 4) the department decision is communicated to a university panel of individuals from outside of the department who evaluate the application and decide whether they agree or disagree with the departmental recommendation; 5) the dean; 6) the board of governors/president or other upper level governing body.


Il passaggio successivo a Full Professor invece non è sempre usuale, ma per la maggior parte si, anche se non sempre dopo i 5-6 anni come nel passaggio da Assistant ad Associate: "most will apply for the final promotion to full professor; the timeline for making this application is more flexible than that for assistant to associate positions and the associate professor does not normally lose his/her job if the application is rejected."

La promozione da associate a full comporta anche qui un lungo processo, "requires that the individual has maintained an active research program, and excellent teaching, in addition to taking a leadership role in important departmental and extra-departmental administrative tasks. Full professor is the highest rank that a professor can achieve (other than in a named position) and is seldom achieved before a person reaches their mid-40s. The rank of full professor carries additional administrative responsibilities associated with membership on committees that are restricted to full professors."

Ricapitolando:
* Assistant professor: An introductory level professor. A position generally taken after receiving PhD and/or completing a post-doctoral fellowship. After 4–8 years, assistant professors will be either tenured or dismissed from the university.
* Associate professor: A mid-level, usually tenured, professor.
* Professor (sometimes referred to as "full professor"): a senior, tenured professor.
* Distinguished professor / endowed chair (e.g., "the John Q. Smith Professor of Physics"): An honorary position in which a full professor's salary is increased by being tied to an endowment derived from the university, private individuals, firms, or foundations.

Da notare come interessante l'istituzione in Germania dello "Junior Professor" che ha notoriamente mantenuto molto più a lungo il sistema pre-68, con delle Università che sembrano ancora rette da un solo cattedratico per "Istituto", forse senza aver fatto i troppi danni del sistema italiano, con una promozione persino troppo dura, che pero' permette ricircolo di menti tra industria o l'estero e accademia, prima di stabilizzarsi. Quindi nel 2002 l'abolizione dell'equivalente della "libera docenza" o abilitazione, viene 30 anni dopo l'equivalente italiano (ma con la grossa differenza di avere in aggiunta il titolo di dottore di ricerca a disposizione da molto tempo in Germania). Lo "Junior-Professor" ha proprio i 6-anni previsti dal Ricercatore a Tempo determinato -- e dovrebbe permettere un rinnovamento via un "fast-track for the best", che poi potrebbero entrare come professori, ma che al momento in Germania non avrebbero posizioni cosi' a lungo. C'e' un grande dibattito, e il "main criticism" (ma anche una grande virtù, impensabile in Italia) è che ora i Junior Professor si immagina faranno domanda in altre Università e non quella di appartenenza, differentemente dal modello di tenure-track USA.

Da notare che questo tema è completamente assente dal dibattito italiano. Nessuno pensa, nemmeno la Gelmini, di mettere un tale freno alla conferma o al passaggio di Ruolo, e quando Berlinguer lo aveva inserito nella sua Riforma (insieme alle commissioni con membri internazionali) sappiamo che fine ha fatto, con la trasformazione/degenerazione della sua riforma nei concorsi più localistici e provinciali della storia dell'Università Italiana, che Perotti ha forse giustamente chiamato "il trionfo del cretino locale".

Da notare che queste posizioni in Germania ora non vengono più viste con favore dalle Università, e meglio vedere le pagine in tedesco per chi ha interesse.

Insomma, il nostro dibattito potrebbe respirare di più, volare più alto, e guardare all'estero, una volta per tutte. Per ora, si parla sostanzialmente di "ope legis" da un lato, e di forme di precarietà senza veri virtuosismi dall'altro. Un quadro sconfortante. Con il rischio che alla fine si creeranno solo ulteriori promozioni "a posteriori", riforme parziali, figure intermedie, ma non si avrà il coraggio di prendere il "toro per le corna".

sabato 5 giugno 2010

Commenti al libro di Graziosi e premesse per il fallimento della Riforma Gelmini, o l'ennesima illusione della meritocrazia nell'Università di massa



Il libro dello storico Graziosi (Andrea Graziosi, L’Universita’ per tutti: Riforme e crisi del sistema universitario italiano, ed. il Mulino, 2010) e’ certamente una piacevole e interessante lettura per chi vuole conoscere piu’ a fondo la storia dell’universita’ italiana, e come si sia arrivati alla attuale universalmente riconosciuta profonda crisi, con spunti interessanti di confronto di alcune realta’ europee e mondiali, e dati non tutti noti, che si completa naturalmente con un’ analisi della Riforma Gelmini attualmente in elaborazione. La storia italiana viene descritta in modo approfondito per un breve pamphlet, mentre semmai la parte relative ai confronti con le Universita’ straniere incuriosisce e meriterebbe persino maggiore approfondimento, cosiccome la discussione della Riforma Gelmini lascia in parte sorpresi rispetto alle premesse dei capitoli precedenti. Ma essendo la materia lunga e complessa, la scelta rimane personale e quindi piu’ che critiche, queste note brevi sono spunti di approfondimento.

Stupisce, a fronte della centralità delle questioni "differenziazione" delle Università, e dell'anzianità della classe docente italiana, peraltro passata in larga parte con gli ope legis degli anni '80 e poi promossa coi concorsi "locali" Berlinguer, che l'autore sia cosi' possibilista riguardo la funzionalità della Riforma Gelmini. Sul prepensionamento e la giusta paura di qualcuno di arrivare presto a 65 anni senza aver nemmeno maturato i contributi minimi, ho già scritto sul dibattito interno al PD, con il blocco turnover la proposta potrebbe essere persino un autogol dato che svuoterebbe le università senza aver alcun ricambio. Ricordo che l'anno di nascita con più alto numero di docenti in Italia è il 1947 con 2531 mentre tra i soli ordinari è il 1946, con 1014 ordinari che andrebbero in pensione l'anno prossimo in base alla proposta Meloni-Carrozza. E' chiaro che quest'ultima andrebbe articolata meglio, per es. mandando in pensione solo su richiesta come si fa nelle aziende, con incentivi, e magari segnalando chi è particolarmente non attivo. Su questo c'e' stato un interessante intervento di Ignazio Marino al convegno sulla ricerca, organizzato anche dal Forum Ricerca e Università del PD, alla sede nazionale.

"credo sarebbe opportuno valutare i circa 30.000 professori (associati e ordinari) entrati in ruolo successivamente alla legge del 1980 e chiedere il pre-pensionamento per coloro che nell'ultimo terzo di secolo non hanno prodotto nulla scientificamente. Al tempo stesso si dovrebbero ammettere nel mondo accademico altrettanti giovani pronti e felici nell'essere valutati sulla base dei loro risultati ogni 3-5 anni. Insomma, un criterio di merito più che anagrafico. "




Lo stesso avviene per il recente editoriale di Ernesto Galli della Loggia, che cita anche il testo di Graziosi tra i 3 migliori degli ultimi anni sul tema.

Il punto di vista dell’autore e’ sintetizzabile nei due commenti rispetto alle esperienze di insegnamento presso due famose universita’ private USA, Research Universities nella definizione corrente centrale nel libro, Yale (nel 1997) e Harvard (nel 2003), che certo arricchiscono il confronto con modelli funzionanti e che troppo spesso vengono tralasciati nelle discussioni italiane, per una spesso patetica pretesa di superiorita’ o diversita’, di natura decadente. Graziosi riporta l’impressione di essere passato da un ponte di terza classe (l’Universita’ di Napoli Federico II dove Egli insegna, che pure non e’ tra le piu’ piccole, anzi e’ la Universita’ con piu’ storia del Sud Italia, essendo l’unica che ha piu’ di centanni di storia) ad un ponte di prima nel passaggio a Yale, e addirittura in un bastimento che `ormai va in un’altra direzione` e che quindi con le Research Universities non ha piu’ ormai molto a che fare, per la successiva visita ad Harvard. Rimarrebbe da tener presente questi paragoni quando si pensa di trasformare una nave siffatta, in qualsiasi altra cosa. Ormai, infatti, le Universita’ italiane che si sono trasformate da Universita’ di elite a Universita’di massa, sono ormai indietro di due generazioni essendo le Universita’americane a loro volta minacciate dalle nuove Universita’asiatiche dove vengono investiti miliardi di dollari in ambiziosi programmi precisamente funzionali a raggiungere le piu’ alte posizioni delle classifiche, non a caso sviluppate anche da Universita’ asiatiche come Shangai.

Colpisce peraltro che la crisi si sia aggravata agli occhi dell’autore nello spazio cosi’ breve tra le 2 visite, a causa inevitabilmente delle Riforme Berlinguer, che hanno visto un’implementazione ben lungi da qualsiasi previsione e impostazione iniziale. In particolare, persino i bilanci delle Universita’ sono stati alterati profondamente, passando per la prima volta il capitolo del trasferimento dello stato a coprire quasi per il 90% gli stipendi del personale, le `tasse universitarie` a coprire una percentuale sempre minore dei costi, non solo con un tetto del 20% fissato negli ultimi anni, ma a volte con valori ben minori, specie al Sud, nella rincorsa frenetica e anacronistica verso una grande utopia, chiesta a gran voce ormai da tutti, dagli studenti alle famiglie, che inseguono, a suon di appelli ripetuti e continui cedimenti della qualita’, quello che e’ sempre piu’ un sogno distaccato dalla realta’, quello del pezzo di carta, la laurea, che permette l’accesso alle professioni e quindi ad un futuro certo e privilegiato.

Il processo di `degrado per allargamento` delle ns universita’ viene ricostruito dall’autore tramite le tappe fondamentali degli ultimi 100 anni, a partire da alcune scelte infauste del fascismo, anche con la Riforma Gentile, un `eroico anacronismo` degli anni 20 gia’ al tempo della sua impostazione (prevalentemente umanistica, in linea con gli studi del liceo classico) che ha profondamente pesato sui successivi lunghi decenni.

Se la trasformazione che Graziosi descrive e’ quella sotto gli occhi di tutti, risulta istruttivo pero’ certamente conoscere i numeri dell’universita’ italiana di centanni fa. Mentre infatti intorno al 1900 l’Universita’italiana era ancora tra le leaders mondiali, e vantava almeno 2 Scuole degne di Premi Nobel (e che infatti avrebbero maturato la maggior parte dei pur pochissimi Nobel italiani), quella di Levi e di Fermi, oggi tutte le classifiche ci collocano fuori dalla competizione delle Research Universities mondiali, con l’eccezione della presenza in posizioni comunque basse, di alcune realta’, da quali sembrerebbe ovvio partire per ricostruire dei tentativi di eccellenza, potenziandole nel senso di avvicinarle alle research universities appunto, specie per i numeri riguardanti la percentuale di graduate students, e in particolare aumentando di molto il numero dei dottorandi, rispetto agli studenti dei normali corsi di laurea.

L’Universita’italiana si sarebbe trasformata interamente per via dell’allargamento avvenuto senza mai essere riusciti ad impostare una sola Riforma (il riferimento in dettaglio e’ ai fallimenti delle riforme Gui, Ferrari Aggradi, Codignola, etc), ma con leggi e provvedimenti presi per urgenza, per ‘sanatorie’, megaconcorsi ed ‘ope legis’ successive ad ondate e periodi di fermo prolungato, l’uso anacronistico della ‘pianificazione e programmazione’ centralistica degli anni 70 e 80 ispirata al modello gia’ allora fallimentare sovietico, e per progressivo cedimento verso il provincialismo ed il localismo, senza preservare almeno in parte il ruolo originario di formazione delle elite.



In figura sono tracciati alcuni dati presi dal libro sul numero di docenti (qui si è voluto equiparare incaricati e assistenti ad associati e ricercatori del post 382 degli anni 80, anche se le figure precedenti erano molto piu' precarie delle successive), con i dati rapportati all'unità nel 2008. Si vede chiaramente che tutte le varie categorie hanno avuto un aumento all'incirca simile, con una certa differenza nella dinamica degli assistenti/ricercatori che sono diminuiti di peso negli anni '80 per via delle promozioni di massa ope legis, e invece curiosamene seguono come numero esattamente la dinamica degli ordinari dopo il 1990. La crescita piu' ripida comunque appare chiaramente quella della categoria degli ordinari, che, contrariamente a quanto si dice solitamente, era piu' numerosa in proporzione in passato, anche se con un ruolo infinitamente piu' importante.

Colpisce tutto sommato che le curve dell'aumento del numero di studenti e di docenti siano abbastanza simili, come dimostrato dal rapporto studenti/docenti, che non è nemmeno triplicato in 100 anni.

Cosi’, fa certo impressione vedere i dati nel passaggio da poco piu’ di 1000 ordinari e altrettanti assistenti e incaricati del 1900, a oltre 60mila docenti, dislocati su 3 fasce dalla legge 382 degli anni 80, che sano’ la posizione di quasi 30 mila tra precari e sottoinquadrati, oggi quasi paritetiche in numero dopo le ondate di concorsi Berlinguer del 1998/2003, con leggera prevalenza di quella dei ricercatori, peraltro quella con lo status piu’ discusso e in parte da sempre contestato, e che oggi e’ l’unica categoria a sembrare particolarmente attiva nella protesta, come se i problemi dell’Universita’ si esaurissero con lo status di questa categoria. Se alla contestazione del 1968 gli ordinari erano cresciuti di poco essendo ancora circa 3000, la categoria e’ quella che e’ letteralmente ‘esplosa’ a successive ondate, dai provvedimenti urgenti Malfatti del ‘73 che li quasi raddoppio’, all’aumento degli anni 80, fino allo tsunami del concorso Berlinguer, nato con premesse innovative e molto severe (commissari internazionali e obbligo di presa di servizio in Ateneo diverso da quello di partenza) e partorito in Parlamento invece completamente stravolto come `trionfo del provincialismo` o `del cretino locale`, secondo le parole di qualcuno, ovvero come `norme per l’avanzamento in carriera non competitivo del personale di ruolo all’interno delle Universita’italiane’ secondo altri, con i dati di Perotti messi in bella evidenza dall’autore a dimostrare che, come riportato da alcuni caposcuola, semplicemente negli anni 80 e poi nel concorso del 2000, le scuole migliori che pure in alcuni casi tenevano un “controllo” sulla qualita’, hanno perso tale controllo e non sono riusciti a formare tanti docenti quanti quelli che si trovavano a vincere concorsi. Ricorrente l`uso della parola `cretino` nella descrizione dei vincitori dei concorsi delle ultime due ondate e in particolare in quella degli anni ‘80 dove, secondo un caposcuola appunto, dovendo fare dei cretini, si `preferivano i propri`.

Ma la legge su cui Graziosi giustamente punta il dito con maggiore decisione e’ la 382 del 1980 che stabilizzo’ nelle categorie di associati e ricercatori senza vero concorso oltre 30 mila persone, che oggi costituiscono la `gobba` nel profilo di eta’ dei docenti italiani, costituendo circa il 50% , ormai in larghissima parte con oltre 60 anni, che cominciano ad andare in pensione nei prossimi anni in gran numero, e che essendo in parte transitati nel ruolo di ordinari, probabilmente occupano posizioni di rilevante peso all’interno dell’universita’ di oggi, un fatto da cui qualsiasi Riforma dovrebbe partire.

Graziosi giustamente ricorda che il processo di allargamento verso l’Universita’di massa e’ in parte stato salutare e necessario, richiesto peraltro da tutte le realta’ perlomeno europee rispetto alle quali si continua a stare indietro, con i vecchi vizi italiani che hanno precisi motivi, ossia quelli della eccessiva durata media dei corsi, dell’eccessivo numero di fuori corso, e degli abbandoni.

Il modello che Graziosi prende come paragone principale e’ il modello Californiano (e qualche spunto di paragone lo fa anche con l’Universita’tedesca o francese), con

• l’University of California (UC) che e’ notoriamente pubblica ma anche di primissimo livello, e che forma ca 200 mila studenti su 10 campus, permettendo pero’ l’entrata solo al migliore 12.5% degli studenti dei licei su base di test nazionale standard
• il California State University (CSU), di livello inferiore ma ancora discreto permettendo l’entrata solo al 30% dei voti piu’ alti, con stipendi piu’ bassi per i docenti e il personale, ma con circa 400 mila studenti e 23 campus
• 110 Community Colleges (CCCS) con oltre 2.5 milioni di studenti, aperta a tutti e completamente gratis per i residenti in California

Interessante notare, in eventuale parallelo con l'Università italiana che, dopo la crisi degli ultimi anni, il budget della UoC e della CSU sono stati profondamente e rapidamente rivisti, con un taglio di circa il 33% del budget, ma il governo regionale spende oltre il 3% del suo budget nel sistema educativo, e ciononostante le tasse sono quasi raddoppiate specie per i corsi dottorali, e i finanziamenti privati sono cercati con maggiore impegno (dati da Wikipedia).

L’Universita’italiana, oggi dislocata su 94 atenei (e 300 sedi) sarebbe secondo Graziosi quindi condannata ad essere, nel migliore dei casi, un CSU californiano, ma come numeri e per criterio (quello dell’assenza di selezione all’ingresso, della quasi gratuita iscrizione, e per numero di studenti), molto piu’ vicina ai CCCS. Peccato non avere dei dati precisi sul collocamento delle varie Universita’ Italiane rispetto appunto ai CSU e CCCS, dato piuttosto difficile da avere, visto che le classifiche internazionali si occupano prevalentemente delle Research Universities, in cui quasi non entriamo.

Soprattutto dalla storia dei vari tentativi di Riforma, falliti prima ancora di passare in Parlamento (Gui e Ferrari Agradi degli anni 60, Codignola del 1971) emerge il ritardo italiano ed la problematicita’ probabilmente dovuta ad un insieme di cause, tra cui quella persistente anche oggi, e in cui persino Graziosi sembra cadere, del voler trattare le universita’ tutte allo stesso modo nei processi di Riforma, e lavorando piu’ per abolizione di realta’ che pure in parte funzionavano, piuttosto che per proposizione e imitazione di modelli di successo. Un esempio importante e’ l’abolizione della libera docenza da parte di Codignola nel 1970 con l’appoggio delle sinister sull’onda di alcuni scandali alle Facolta’ di Medicina, che pure era equivalente ad un dottorato o all’abilitazione tedesca e che lascio’ un vuoto per molto piu’ del decennio che passa alla introduzione dei dottorati della 382 degli anni 80. Infatti, il vuoto e’ aggravato di molto dal fallimento dei tentativi di istituire reclutamento stabile e con concorsi seri, che porto’ infine all’entrata in massa degli anni 80, con successivo blocco fino ai concorsi Berlinguer degli anni ‘90, in cui tuttavia essendosi preferito di gran lunga promuovere gli `interni` locali, si e’ di fatto promosso gran parte dei docenti di una certa eta’ entrati proprio con le ope legis degli anni 80. In definitiva, una vera formazione di classe docente e’ mancata per quasi 30 anni.

Ne viene fuori un quadro crudamente ma realisticamente pessimista delle attuali possibilita’ di Riforma.

Da un lato, l’Universita’di massa funziona solo in parte, dal momento che i dati raccolti da Graziosi dimostrano il ritardo italiano nel risolvere alcuni problemi non solo sui fuori corso sulla durata media e sulla % di laureate nel paese, ma anche sull’ingiustizia sociale e sulla bassa redditivita’ dell’universita’ italiana come `investimento` per le famiglie (intorno al 6.5% contro un 18% delle Universita’inglesi). Ritardo che ha resistito persino alla grande occasione mancata della Riforma Berlinguer del `3+2` del ’98 che, mentre da un lato rispondeva alla urgente necessita’ di rientrare in parametri europei, non e’ stata colta appieno per cominciare a differenziare tra le Universita’in grado di offrire solo il `3` e quelle in grado di offrire anche il `2` e il dottorato, trasformandosi peraltro in un `3 e 5`, secondo alcuni autori, con i tentativi di tutti i successive ministri di centrodestra e centrosinistra di correggere il tiro, andati in parte a vuoto, e persino peggiorati nell’istituzione per es delle Universita Telematiche, in gran parte coperta da scandali delle lauree facili con riconoscimento generalizzato di crediti per esperienze lavorative soprattutto di impiegati e funzionari della PA, laureati in gran numero per facilitarne l’avanzamento in grado, in fondo parallelo a quello visto nell’Universita’. Distorsioni ci sono state anche nella creazione di un eccessivo numero di corsi di laurea, di materie, di strutture, tutte purtroppo maggiormente funzionali alla riproduzione della classe accademica, piuttosto che a presunte esigenze del Paese, poi solo in parte rientrate con successive disposizioni, come quelle comunque prevalentemente burocratiche e nemmeno troppo strette, dei garanti, dei requisiti minimi, etc.

Mi sarebbe piaciuto un maggiore approfondimento dei confronti con le crisi dei modelli sovietici, visto che, oltre agli errori generali del sistema sovietico, il cui collasso certo non permette un confronto diretto, alcuni parametri universitari potrebbero essere interessanti, cosiccome qualche confronto dei dati nelle numerose tabelle con i dati equivalenti di altri paesi europei o mondiali.

In altre parole il degrade per allargamento avvenuto in Italia e’ davvero unico nel panorama mondiale, o ci sono casi simili in altri paesi, perlomeno del terzo mondo? Siamo gli unici che hanno aperto ‘ad ondate’ per es la docenza, per incapacita’ di immaginare Riforme organiche e progressive? Certamente l’allargamento e’ avvenuto, e il solo esempio del caso californiano, o i cenni al confronto con il caso Francese, che ha mantenuto le “grandes ecoles” (in parte simili al caso italiano delle scuole normali volute da insieme in Italia e Francia da Napoleone) o il caso Tedesco con i piani di eccellenza che hanno preservato alcune realta’, sembra insufficiente alla mia curiosita’.

Come impressione personale, avendo anche io frequentato universita’ inglesi (Oxford durante il dottorato a fine degli anni 90, una Grand Ecole, il Polytechnique, in sabbatico nel 2008, e varie Universita’ USA in brevi visite), ritengo che le varie Riforme proposte in Italia e in genere fallite prima di diventare legge, e ben descritte dal Graziosi, compresa la proposta attuale Gelmini, hanno dei paragoni solo corrispondenti nelle universita’ di massa, mentre le grandi Research Universities non vengono da processi e impostazioni paragonabili, ma da lunghe tradizioni e da chiare strategie di impostazione verso l’eccellenza.

Colpisce a questo proposito l’analisi della Riforma Gelmini fatta dall’autore. Intanto, viene riconosciuta la criticita’ di un cambiamento di tale portata (se passasse sarebbe la prima riforma organica del dopoguerra) a `costo zero`, ma sembra strano che all’autore sia sfuggito l’intento del taglio del 20% del trasferimento statale, che porterebbe la spesa a prima della grande ondata dei concorsi Berlinguer, che ormai sono stati fatti, e al quale taglio della spesa non sembra corrispondere con chiarezza un piano finanziario serio di come farlo. L’unico passo concreto sembra quello della Manovra Tremonti, che ha aperto al taglio degli scatti di anzianita’ e quindi forse verso quelli solo per merito, dimostrando peraltro un preoccupante parallelo con le precedenti Riforme, non attuate e invece superate da leggi per urgenza. Si starebbe ripetendo gia’ oggi quindi la storia che tante volte si e’ vista in Italia, ancora una volta.

Sarebbe stato utile, a questo proposito, qualche sviluppo di calcolo sulla base di probabili pensionamenti dei prossimi anni, che vengono riconosciuti come critici, e che hanno motivato il blocco dei turn/over da parte del Ministro. La situazione quindi sembra confusa e simile ad un eterno transitorio che sembra preannunciare un nuovo percorso a ondate, come sembra annunciare l’introduzione del ruolo di Ricercatore a Tempo Determinato, che tanto ricorda le figure precarie che causarono le pressioni verso gli ope legis degli anni 80. In questo senso, le attuali agitazioni della categoria ‘ad esaurimento’ dei ricercatori a tempo indeterminato, nulla di buono fanno presagire riguardo al futuro e alla possibilita’ che la Riforma Gelmini sia davvero la Riforma organica auspicate dal Graziosi.

Semmai, sembra interessante ripercorrere i contenuti delle fallite Riforme Gui e Ferrari Aggradi, che nella istituzione dei dipartimenti e l’abolizione delle Facolta’ sembrano ispirare l’attuale Riforma Gelmini, ma nell’introduzione del docente unico, sembrano invece a mio avviso persino piu’ moderne ed organiche.

Graziosi insiste sulla necessita’ oggi di differenziare le universita’, invertendo la rotta rispetto a quelle che definisce, ed in parte condivido, le utopie della sinistra fino al Governo Prodi e al Ministro Berlinguer, che oggi e’ curiosamente aperto ad alcuni aspetti della Riforma Gelmini. Graziosi infatti trova il testo attuale della Riforma Gelmini poco chiaro e netto nei riguardi della differenziazione, che viene solo `annunciata` e `facilitata` da alcuni aspetti della Riforma, compresa la `valutazione`, una parola inseguita almeno da 15 anni ormai come ripercorso nel dettaglio nel libro con l’istutuzione dei nuclei di valutazione, del CIVR, cui mai ha seguito un serio seguito, a parte il caso peraltro molto discutibile del 7% meritocratico distribuito l’anno scorso a Settembre, che hanno visto, come anche notato dal Graziosi, Universita’ minori vedere posizioni di rilievo, solo per avere inseguito alcuni parametri chiaramente definiti a posteriori e di tipo eccessivamente quantitativo di flusso studentesco, come fatto negli anni passati, senza particolare riguardo alla qualita’, se non in piccola parte.
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Coerentemente, mi sarei aspettato nel capitolo sulla Riforma Gelmini qualche spunto in piu’ su come garantire da subito una differenziazione tra le universita’ italiane, e meno enfasi sui dettagli della Riforma, che proprio per la poca chiarezza potrebbe fallire miseramente o essere stravolta in Parlamento.

Interessante la discussione sui cambiamenti proposti dalla R. Gelmini sul ruolo del CdA e dei Rettori, che vengono ben inquadrati come possibili rischi di ulteriore peggioramento verso il regionalismo e l’inquinamento politico locale, come dimostrato dal cenno al caso Tedesco, di una parte del sistema non inquadrato nel piano di eccellenza tedesco.

Stupisce che la Riforma Gelmini non venga inquadrata nell’ambito della classe docente attuale, che in larga parte viene dagli ope legis degli anni 80. Come potrebbe inquadrare in una seria `valutazione` una classe docente che per quasi il 50% ha oltre 60 anni e viene da questo tipo di promozioni? Non sarebbe meglio aspettare il pensionamento, o accelerarlo in parte, o pensare prima a differenziare le universita’, magari creando nuove aggregazioni? Perche’ non valutare nuovamente i docenti prima di pensare ad una Riforma? Come si puo’ pensare di trasformare un ponte di terza classe in una nave di sola prima classe? Sembrerebbe molto curioso pensare di fare una Nazionale di calcio a partire dalla terza categoria, e allora perche’ non dirlo? Nel calcio in Italia mi pare le cose si fanno seriamente, e certo non in questo modo, dato che gli stranieri hanno invaso le squadre di calico, e vengono pagati in modo molto differenziato, cosiccome si faceva una volta anche nella Universita’ italiana di elite, come nel caso che ricorda Graziosi di Padova, che una volta aveva degli stipendi pari anche a 23 volte il salario minimo.

Ancora meglio, perche’ Graziosi non completa interessanti calcoli come quello relativo alla spesa per una famiglia italiana di mantenere un figlio agli studi, che ridimensiona la spesa della piu’ costosa (ma anche migliore) universita’ privata al mondo, Harvard, come solo il doppio di quella italiana, una volta considerati tutti i parametri, come il mantenimento di vitto e alloggio (coperto nelle tasse nel caso di Harvard), la durata effettiva degli studi, e il probabile periodo di disoccupazione che segue ormai la laurea italiana?

Se l’intento delle Riforme da fare e’ quello di garantire finalmente ai capaci e meritevoli l’accesso, tramite un Fondo al Merito (diverso pero’ da quello visto dalla Riforma Gelmini e criticato anche dal Graziosi) ad una istruzione di alta qualita’, perche’ non pensare a soluzioni piu’ semplici ed immediate, che non queste bozze di Riforma che difficilmente vedranno cambiamenti radicali?

Solo due esempi, il modello scandinavo, che permette ai migliori studenti di accedere direttamente ad Harvard, per es., oppure quello di pensare a facilitare, se proprio si deve pensare a modelli privati, l’istaurazione di sedi italiane di grandi Universita’ Private di consolidata reputazione, rispetto alla creazione o il finanziamento di nuove istituzioni come quelle del 2006, le Universita’telematiche, che tanto scandalo hanno suscitato, creando peraltro la falsa impressione che online sia necessariamente di infima qualita’, e perdendo cosi’ forse l’occasione per fornire un servizio di media qualita’ per incrementare il numero di laureati in modo sufficientemente garantito da qualita’, visto che ormai anche in USA il numero di studenti diminuisce nei college tradizionali?

Sulla necessita’ di un Test Standard Nazionale, non si puo’ non essere daccordo con l’autore, e stupirsi che non sia contemplato nelle attuali bozze di Riforma Gelmini, mentre invece faceva parte integrante di interessanti proposte di autorevoli consulenti come Roger Abravanel ex manager di McKenzie, nel testo “Meritocrazia” pubblicato proprio alla vigilia della vittoria del governo Berlusconi nel 2008.

Ma poiche’ il Test Standard Nazionale sara’ di difficile istituzione, perche’ non partire prima a livello sperimentale, solo come accesso alle nuove possibili Research Universities italiane?

Infine, criticabile sembra il poco spazio dato nel testo sul troppo ancora marginale ruolo svolto dalle donne, pare insufficiente il mero riferimento alle percentuali di donne nei vari ruoli, che vedono ora la quasi parita’ nei ruoli di ricercatore, ma solo percentuali minime nei ruoli maggiori.

In definitiva, un testo interessante, con dati in parte gia’ noti, spunti validi per approfondire le tematiche, e che speriamo contribuisca a migliorare il testo della Riforma Gelmini che, cosi’ come appare oggi, alla luce proprio della storia dell’universita’ italiana ben tracciata da Graziosi, appare destinato ad un sicuro fallimento, che potrebbe fare piu’ danni che benefici. A fronte di tanto discutere, se la Riforma passasse, sia cosi’ com’e’ sia magari ritoccata o persino stravolta dal Parlamento, si corre il serio rischio di non cogliere l’ennesima occasione per impostare un processo di cambiamento, quanto mai necessario, ma forse oggi nel momento peggiore per esser fatto, con la classe docente in gran parte vicina alla pensione, proveniente dai peggiori concorsi degli ultimi 40 anni, e con la prospettiva di non poter effettuare nuove Riforme correttive per chissa’ quanto altro tempo.

Appere auspicabile un ripensamento proprio alla luce di un piano di rinnovamento della classe docente che sia saggio ed equilibrato, e che permetta di rilanciare l’eccellenza italiana all’interno di apposite strutture da individuare, separandole dall’Universita’di massa, cui probabilmente la Riforma Gelmini si rivolge. A questo proposito, potrebbe essere utile anche pensare al ruolo dell’Istituto Italiano di Tecnologia, che richiama nella sigla l’MIT, uno dei principali istituti universitari “Research University”, il cui nome da solo suscita perplessita’. Ebbene, l’IIT viene spesso richiamato dal Ministro Gelmini come paradigma da cui l’universita’ italiana dovrebbe ripartire. Ma allora perche’ non trasformarlo appunto propriamente in universita’? MIT, che come le altre “Research Universities”, ha nel numero di dottorandi (graduate students) quasi paritari con gli undergraduate, la maggiore differenza con le universita’ di massa italiane, certo non fa solo ricerca come IIT. Non si stara’ perdendo di vista un’altra possibilita’ di riforma organica per non aver colto il ruolo di IIT appieno?

Infine, perche’ sembra tanto difficile, persino per Graziosi, suggerire il modo in cui individuare le “Research Universities” italiane, se sono cosi’ chiaramente gia’ indicate dalle classifiche internazionali? Non sembra questo gia’ un segno di mancanza di coraggio dap arte delle Riforme? Non abbiamo la Normale di Pisa che, come ricorda Graziosi, ha formato fino ad un certo punto un notevolissimo numero di docenti ordinari italiani, fino a quando le grandi ondate di promozioni non hanno reso la cosa insostenibile? Sembra quindi facile immaginare uno dei problemi italiani, che Graziosi ci ricorda anche nella legge per cui fino al 1980 si doveva essere cittadini italiani per essere docenti. Non aver aperto agli stranieri, come si continua in larga parte a fare. Inutile allora parlare di eccellenza. Qualsiasi “Research University” non si sognerebbe mai di partire da una premessa di questo tipo.




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GRAZIOSI A.

L'università per tutti

Riforme e crisi del sistema universitario italiano

Collana "Contemporanea"


pp. 184, € 13,00
978-88-15-13704-3
anno di pubblicazione 2010


in libreria dal 08/04/2010
Copertina 13704

Istituzioni gigantesche, talvolta sull'orlo del fallimento, dove è forte la tendenza alla chiusura provinciale, le università italiane figurano ormai nelle posizioni medio-basse delle graduatorie internazionali. Come si è arrivati a questa situazione e che cosa si può fare per uscirne? Questa lucida e stringente analisi ripercorre cinquant'anni di riforme e mutamenti che hanno trasformato la vecchia università di élite in una grande e indistinta università di massa, che era indubbiamente necessaria alla moderna società italiana ma che ha messo in secondo piano qualità e ricerca. Scelte politiche, interessi corporativi e buone intenzioni si sono spesso saldati inducendo un degrado progressivo della formazione universitaria. A tale situazione, sostiene l'autore, è urgente porre rimedio con una serie di cambiamenti che mirino a separare nettamente le funzioni dello studio universitario, distaccandone l'istruzione professionale superiore, differenziando gli atenei, incentivando e sostenendo le eccellenze.

Andrea Graziosi insegna Storia contemporanea nell'Università di Napoli "Federico II" ed è presidente della Sissco, la Società italiana per lo studio della storia contemporanea. Con il Mulino ha pubblicato "Guerra e rivoluzione in Europa 1905-1956" (2002), "L'Unione Sovietica in 209 citazioni" (2006) e i due volumi di storia dell'Unione Sovietica "L'Urss di Lenin e Stalin" (2007) e "L'Urss dal trionfo al degrado" (2008).