mercoledì 19 maggio 2010

Lettera al direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, pubblicata 19 Maggio 2010, su Sciopero Ricercatori e Riforma Gelmini


Sullo sciopero contro il decreto GELMINI: perchè questa ossessione pro o contro i ricercatori?


(pubblicato in versione erroneamente bozza su Gazzetta del Mezzogiorno di ieri Mercoledi' 19 Maggio a pag.17 come lettera al Direttore, con il titolo:
ECCO COME FARE MERITOCRAZIA
)

Si fa un gran parlare da molti mesi di Riforma Gelmini, quasi solo dal punto di vista dei ricercatori, che questa settimana hanno dichiarato uno “sciopero” contro l’istituzione dei “ricercatori a tempo determinato”. Questo nuovo ruolo pare estremamente “precario” in teoria, e risponde alla convinzione diffusa che i posti da ricercatore in passato siano stati assegnati senza veri “concorsi” competitivi, a livello locale, gestiti in modo “baronale”, senza possibilità di correzione una volta assegnati. Oggi la categoria, già individuata dal Ministro Moratti, e che propone con forza il Ministro Gelmini (dato che gli ultimi concorsi di vecchio tipo sono ancora in atto, l’ultima tornata “Mussi”) farebbe un salto nel vuoto dopo 3+3 anni, ma nessuno ci crede. Infatti, i vecchi “ricercatori a tempo indeterminato” già in servizio sono preoccupati di risolvere il loro status giuridico e avere qualche garanzia, temendo che i nuovi a “tempo determinato” siano addirittura a loro favoriti in futuro nel passaggio al ruolo superiore di Professori associati. Ecco quindi la proposta di un passaggio ad associati in massa, con o senza aumento stipendiale, che è emerso tra le varie possibilità. La sfiducia nel sistema meritocratico italiano è tanto elevata che ci si muove contro il nuovo ruolo “precario” non tanto perché è più radicale dei sistemi più duri americani, ma solo perché si teme sia l’antecamera di un ope legis generalizzato, che induce i “vecchi” ricercatori a chiedere un “ope legis” preventivo per loro! La riforma “meritocratica” e “liberista” induce desideri a cascata di “ope legis” non meritocratici. I paradossi italiani. Confermati da uno degli emendamenti sul DDL Gelmini che abolisce la tenure (conferma) di associati e ordinari – un segnale appunto della contraddizione della Riforma Gelmini e delle vere spinte che la muovono, non certo meritocratiche. E' vero che in Italia di fatto non serviva la conferma, ma abolirla, perche' mai? Si vuole spostare tutta la fatica e la difficoltà sui giovani? Persino nel durissimo e famoso MIT la selezione durissima in ingresso fa entrare pochissimi (1 su 10 per gli studenti, e uno su varie centinaia per quanto riguarda i docenti), ma di questi mediamente resta dopo la "tenure case" quasi la metà (45% secondo recenti rilevazioni degli ultimi dieci anni)! Quindi Gelmini ci vuole forse fare raggiungere e anche doppiare l’MIT? Ricorda la storia di IIT, che si dichiara estremamente meritocratico e, anche più di MIT, che ha prevalenza di dottorandi su studenti, ha solo dottorandi. Vedremo se IIT farà, con i privati nel CdA, i risultati di MIT, che con poche migliaia di persone laureate all’anno, produce un “PIL” equivalente da parte dei suoi “alumni” che è superiore a quello dell’Italia intera – secondo rilevazioni Istituto Kauffmann.



Ma facciamo anche un quadro generale del momento. La crisi europea induce Tremonti e Brunetta a dire che presto occorrerà fare dei tagli alle pensioni e agli scatti stipendiali automatici, se tutto va bene. Se va male, ci saranno tagli e basta. In queste condizioni, ha dichiarato Brunetta, non si potranno fare le riforme meritocratiche previste. E perché non il contrario? Mi spiego meglio.

Non esiste anche un problema italiano di lassismo e poca efficienza invece dei docenti entrati da tempo? O il “concorso” da loro superato garantisce a vita una dirittura morale, un attaccamento al lavoro, uno spirito di servizio in automatico, per tutti? Difficile che il Ministro Gelmini, o la Emma Marcegaglia, lo possano credere, e risulta curioso quindi che la loro battaglia contro i “Baroni” si riduca a far entrare i giovani in modo precario, con queste mini-riforme parziali e laceranti.

Io avrei proposto questo "emendamento": istituzione di un percorso "tenure-track" esteso a tutte le categorie. A fronte di ogni chiamata di posto tuttavia, ci i sia una garanzia di budget di conferma in ruolo di almeno il 50% dei vincitori di concorso.

Questo, onde evitare che le Università non possano trattenere i migliori per esclusiva mancanza di fondi. O, al tempo stesso, che non possano "liberarsi" dei peggiori una volta entrati.

La questione potrebbe essere spinosa, dato che riguarda il famoso "posto fisso": in Italia, come nella maggior parte dei paesi, si è voluto dare il posto fisso all’università anche con una grande libertà di svolgimento del proprio lavoro e di pensiero e di indipendenza, quando si era usciti dal sistema nazi-fascista (che aveva cacciato molte menti per la loro appartenza razziale), per evitare le persecuzioni da parte dei superiori, i trasferimenti arbitrari, i licenziamenti arbitrari. Questo si fa anche in USA, dove si preferisce correre il rischio che qualche furbo riesca a prendere la conferma senza meritarla ("Tenure") e poi non far più nulla, piuttosto che impedire che qualche pensatore davvero illuminato, mosso da un’idea del tutto geniale, non possa lavorare per 40 anni da solo senza nessun tipo di pressione esterna, e magari portare ad una scoperta da premio Nobel. Si sa infatti che le scoperte migliori seguono la regola di Pareto, ossia l'80% è fatta dal 20% di individui (anzi per i Premi Nobel, il fronte sarà sicuramente più netto). Se ad MIT arrivassero 2 Einstein nello stesso Dipartimento, magari non sarebbero confermati entrambi! E senza scandalo. Noi ci culliamo di fare grande demagogia e di fare entrare tutti e solo i migliori sulla carta, ma poi in realtà quanti Einstein entrano?

Ma se qualcuno ha un comportamento particolarmente grave, in USA esiste la “revocation”. Ebbene, non si tratta di una cosa tanto rara, se uno studio del 7/12/1994 del The Chronicle of Higher Education riporta 50 licenziamenti ogni anno in USA, e un altro del Wall Street Journal del 10 Gennaio 2005 conferma il dato di 50 -75 docenti all’anno. Su un totale di ca.280mila, si tratta del 0.027%. Per la classe dei ca.60mila docenti italiani, dovrebbe corrispondere a 16 docenti licenziati all’anno, non tanto da risparmiare ma almeno un esempio!

La Riforma Gelmini non porta ad un quadro nuovo nell’Università, ma solo lacerazioni tra categorie, e voglia di “ope legis” a catena, in aperto contrasto con la logica “meritocratica”, e in stridente contrasto persino con gli emendamenti che la stessa Maggioranza sta proponendo. Nessuno crede davvero alla meritocrazia, e si stimolano cosi’ rivolte, scioperi, richieste di ope legis.

Questo disordine per mancanza di visione di insieme va di pari passo con il nuovo sistema di valutazione delle Università (VQR?). Non è esso in fatti in aperta contraddizione con l’emendamento della Lega, che introduce un “premio” secondo un nuovo criterio estemporaneo, per 1.5% del Fondo FFO delle Università. Quindi mentre si regolarizza, si fa un ennesimo strappo, qualcuno dice a grande vantaggio delle Università del Nord. Un gran parlare, ma si procede così da 50 anni. Addirittura, si può anche pensare che tutte le Riforme dei concorsi non hanno creato che situazioni transitorie, che si sono risolte nella “paura” che ogni volta fosse “l’ultima utile” per far passare i mediocri allievi, tanto poi i “bravi” passeranno alla tornata con le nuove regole “meritocratiche”. Salvo poi avere altre ondate di riforme, e così via cantando.

Io proporrei passi graduali, e omogenei per tutte le categorie. Quindi, di passare dal 100% di “confermati” che c’e’ ora, non allo 0% che chiede la Gelmini per i ricercatori a tempo determinato (e solo per loro), passaggio estremo e su cui nessuno crede. Chiedo un passaggio al 50%. Sembra logico no? Un primo passo per evitare licenziamenti o tagli di stipendi di massa, e una vera prima, forse, scelta meritocratica.

D'altronde, a cosa servono i ricercatori a tempo determinato? Sono dei Post-Doc a tutti gli effetti, di cui gli USA sono pieni, specie in alcune materie. Evidentemente in Italia il posto di Assegnista di Ricerca o di Post-dottorando non vengono visti bene, quindi la soluzione cui si pensa è cambiare il nome! Che si faccia una tenure sola in una carriera è ragionevole pensarlo, e in questo caso la conferma si potrebbe abolire solo nei passaggi successivi di carriera. Non pensavo certo ad un sistema sbarrato al 50% per tre volte nella carriera, ossia da ricercatore, da associato e da ordinario. Questo è fuori discussione. Però ben venga un inizio di carriera da associato o da ordinario direttamente, così ogni tanto prendiamo qualcuno da fuori.

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Cordiali Saluti, Prof. Ing. Michele Ciavarella
Politecnico di Bari
delegato del Rettore al CNR
tel+390805962811 fax+390805962777
Editor, ITALIAN SCIENCE DEBATE,www.sciencedebate.it,
Associate Editor, Ferrari MilleChili Journal, http://imechanica.org/node/7878
http://poliba.academia.edu/micheleciavarella
http://www.youtube.com/user/RettoreVirtuoso

4 commenti:

  1. E' stata pubblicata una replica al Direttore della Gazzetta del Mezzogiorno da parte del collega e amico Ing. David Naso. Ringrazio David per il Suo contributo utile al dibattito.
    Michele Ciavarella

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  2. DAVID NASO*
    Ricercatori, non fantasmi
    * Rappresentante dei ricercatori in Consiglio di Amministrazione del Politecnico di Bari naso@poliba.it  
    Sento il dovere di replicare ad un recente contributo del collega ed amico prof. Ciavarella sul tema della riforma dell’università pubblicato sul Suo giornale, nella rubrica “Lettere e Commenti”, il 19 maggio scorso, dal titolo: “Ecco come fare meritocrazia”. Lo scritto ha suscitato l’irritazione, di molti miei colleghi ricercatori per l’affermazione iniziale che la nostra categoria vuole una “ope legis” per risolvere i suoi problemi di carriera. L’articolo appare ingannevolmente firmato da Ciavarella in qualità di “dele - gato del Rettore” ma la specificazione della qualifica può ingenerare il dubbio che le opinioni espresse nel testo siano condivise dal nostro Ateneo, o dal suo Rettore Nicola Costantino, cose che io mi sento di escludere in modo categorico.

    In qualità rappresentante dei ricercatori del Politecnico in seno al Consiglio di Amministrazione sento il dovere di ribadire i veri motivi dello stato di mobilitazione dei ricercatori. Com’è noto, il ricercatore universitario è una figura deputata alla ricerca scientifica, e che quindi ha il precipuo compito di svolgere attività di ricerca. Il nostro compito si è tuttavia molto trasformato nell’ultimo decennio per via di un ventaglio di altre attività e impegni (nei fatti diventati istituzionali), tra cui spicca un’intensa attività didattica, prestata con spirito di servizio ed a titolo gratuito, a parte rare eccezioni. Il ricercatore è divenuto nel corso degli anni una sorta di “docente a basso costo”, con gli stessi impegni didattici dei professori, ma tenuto per legge a portare avanti ricerca, auspicabilmente di qualità.

    Nel passato recente, i ricercatori hanno accettato di sostenere questo pesante carico aggiuntivo per l’amore per la ricerca e per il desiderio di veder crescere il proprio Ateneo, con l’auspicio di poter crescere con esso, ma hanno più volte chiesto che questa anomalia operativa fosse regolamentata modernizzando il quadro legislativo. Ad oggi, non solo questo aggiornamento normativo non c’è mai stato, ma paradossalmente il nuovo DDL individua nel ricercatore universitario una figura talmente “sba gliata”, talmente “inutile” da richiederne l’eliminazione, la messa in esaurimento, la sostituzione con una “nuova” figura a tempo determinato, con l’immotivata presunzione che questa certamente funzionerà meglio.

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  3. I ricercatori di tutta Italia questo non lo possono proprio accettare. Non possono accettare che tutto il loro lavoro non solo non sia riconosciuto ma sia addirittura “cesti - nato” dal Ministero, che nel DDL non ci sia la benché minima traccia del loro contributo fondamentale allo sviluppo delle università. Si noti che tra gli elementi innovativi, Il DDL introduce il ricercatore a tempo determinato e nuovi meccanismi di reclutamento e progressione di carriera. Non ho difficoltà ad esprimere il mio forte scetticismo rispetto a questi meccanismi, soprattutto perché trattasi di meccanismi che non apportano nessuna concreta novità rispetto a quelli tuttora vigenti. Mi basta ricordare che attualmente un ricercatore dopo i primi tre anni di attività a partire dalla presa di servizio deve sostenere una verifica di conferma in ruolo da parte di una commissione nominata dal Ministero. Nel caso il ricercatore non consegua la conferma, deve sostenere altri due anni di attività e poi risostenere l’esame di conferma. Se il ricercatore non supera per la seconda volta l’esame di conferma, è soggetto a licenziamento. Il meccanismo in vigore è estremamente meritocratico, ed inconfutabilmente simile a quello proposto dal DDL (quest’ultimo tuttavia non garantisce la disponibilità dell’Ateneo all’inquadramento in ruolo del ricercatore che consegua l’idoneità). L’uni - co reale difetto del sistema vigente è dovuto al fatto che l’evento di non conferma in ruolo è rarissimo, perché è prassi concedere a tutti i ricercatori la conferma senza particolari riserve. Ecco quindi che il DDL Gelmini “reinventa la ruota”, anziché sof fermarsi sul problema ben più cruciale di come la si farà girare: basterebbero commissioni ministeriali di conferma più coraggiose per garantire un adeguato livello di meritocrazia.

    Non è solo questo a lasciarmi perplesso, ma anche tutta questa volontà diffusa di introdurre nel sistema universitario meccanismi darwiniani di sopravvivenza del più forte, di competizione mors tua vita mea. Secondo me, il sistema universitario nazionale ha bisogno di ben altro, di operazioni più lungimiranti volte a tenere in vita l’entusiasmo, la vivacità, la voglia di collaborare e la produttività dei ricercatori italiani nel loro complesso, per far si che il sistema universitario nel suo insieme ed il nostro paese ne traggano adeguati benefici. Ad esempio, in un periodo di forti manovre di contenimento della spesa pubblica, io considero molto valida la proposta di svincolare le carriere dei docenti universitari dai rigidi schemi retributivi dell’attuale normativa. In altri termini, una volta conseguita l’idoneità per la transizione alla fascia di professore associato, -mi preme dirlo chiaramente - con abilitazione a livello nazionale mediante rigidi criteri meritocratici e valutazione oggettiva del merito scientifico e didattico (altro che ope legis!), lascerei ad ogni Ateneo la facoltà di concordare coi ricercatori idonei stipendio e compiti nella nuova posizione. Questo meccanismo, realmente innovativo e, se vogliamo, più vicino ai criteri di libera organizzazione di stampo nordamericano spesso citati come modello esemplare, garantirebbe ragionevoli prospettive di crescita per i ricercatori italiani ed una giusta redistribuzione degli organici delle università.

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  4. SPUNTI DI REPLICA A NASO


    Apprezzando la replica di Naso, e comprendendo senzaltro la difficoltà dei ricercatori (ma segnalando loro che la loro attuale "protesta" in parte mi pare solo un riconoscimento della loro effettiva "libertà" di fare solo ricerca, se credono), colgo lo spirito della sua proposta che pare chiedere una variante della proposta Merafina, ma che in nessun modo vuole si consideri una ope legis, permangono tuttavia le mie perplessità --- che brevemente elenco:-

    1) io sono complessivamente daccordo su criticare la Riforma Gelmini, e non solo nella parte che introduce i ricercatori a tempo determinato, che sono troppo precari secondo me (ecco la mia proposta di una precarietà "intermedia" tra quella esistente molto bassa nonostante i richiami di Naso all'esistenza della conferma non del tutto verosimili), e quella molto alta della nuova figura, cercando il modo per introdurne una al 50%, come era la proposta principale nella lettera alla Gazzetta). Infatti, a me della Riforma Gelmini non piace la contemporanea abolizione della conferma per i professori, non piace la visione debole che non distingue nettamente tra strutture di eccellenza e di massa. Basti dire che di strutture di eccellenza ce ne sono qua e la' come già è noto dalle classifiche internazionali, e tentativi di Centri di Eccellenza, di Scuole di Dottorato di Eccellenza, persino di Istituti di Eccellenza come IIT, ce ne erano, ce ne sono, e non sono richiamati nella Riforma.

    2) mi preoccupano le contraddizioni: se la figura del ricercatore non piace per nulla, o almeno non piace a quelli che sono ricercatori da troppi anni, perchè mai la sua abolizione sarebbe un male? I ricercatori ad esaurimento temono di essere dimenticati? E se un ricercatore da troppi anni finora non è passato alla valutazione comparativa, non farà pensare che ora sta chiedendo una semi-ope-legis? Noi tutti vogliamo migliorare l'università

    3) le "ope legis" non sono del tutto negative, e anzi sono stata la norma finora. Intanto, quasi tutti sono passati "ope legis" in Italia, dato che un concorso serio e meritocratico praticmente non è mai esistito, e almeno 30 mila docenti sono entrati con la "ope legis" degli anni '80. Ora che il debito pubblico cumulato negli anni 80 e' appunto ricaduto su di noi, e gli entrati negli anni 80 stanno per andare in pensione, dovremmo capire come ripartire, senza nessuna ombra di ope legis. A rischio ope legis per es. la proposta PD Carrozza/Meloni di prepensionare tutti a 65 anni e sbloccare il turn-over, che equivale a chiedere 30 mila nuovi posti nei prossimi 10 posti. L'europa che sta licenziando nel pubblico impiego persino in Germania, non ce lo permetterebbe.

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