mercoledì 1 febbraio 2012

Fermiamo l’attacco all’Università pubblica -- una proposta anonima di appello COSTRUTTIVAMENTE contro la abolizione del valore legale della laurea


Appello agli Universitari, agli studenti, ai cittadini da mandare al
Ministro Profumo, al Parlamento, al Governo, e al Presidente Napolitano



Innanzitutto, l’abolizione del valore legale del titolo di studio è un progetto della P2 di Licio Gelli, che è istruttivo rileggere oggi perché dice i veri possibili obiettivi della abolizione del valore legale. Dal programma di rinascita "democratica" di Licio Gelli e la P2. b) Provvedimenti economico-sociali: b1) abolizione della validità legale dei titoli di studio (per sflollare le università e dare il tempo di elaborare una seria riforma della scuola che attui i precetti della Costituzione).(NDR: sflollare è un refuso nel testo, si intende per “sfollare”).


Quindi questo chiarisce subito che nelle intenzioni dichiarate del piano P2, l’abolizione ha il preciso scopo di diminuire il numero di studenti, in contrasto con gli obiettivi che ci siamo dati già nel processo di Bologna, e ancora oggi siamo lungi da attuare, di aumentare il numero di studenti fino a raggiungere le lontane medie europee che sono ancora al doppio circa.


Nell’attuare “i precetti della Costituzione” invece, il piano intende probabilmente far riferimento all’art.34 della Costituzione, che sancisce “La scuola è aperta a tutti. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Dove in questo articolo c’è da un lato il diritto allo studio fino ai gradi più alti (quindi quasi la necessità della Università Pubblica --- de facto, una Privata potrebbe sostituirla solo se ci fosse la concreta possibilità di pagare le tasse in forme di prestiti obbligatori per legge e con condizioni particolarmente tutelate, cose non ancora viste).


Dall’altro punto di vista, si parla di “meritevoli”, e su questo la Università Pubblica ha spesso fatto poco, nel senso di aver dato maggiore spazio alla corsa al reclutamento delle masse, proprio per via del ritardo anche in quella direzione! E i concetti di meritocrazia, che solo da poco sono “tornati di moda”, lo sono stato in modo non solo puramente retorico nella Riforma Gelmini, ma anche strumentale, nascondendo invece ben altri intenti sotto la “meritocrazia”, che sono quelli di avvantaggiare con criteri clientelari e politicamente orientati, la creazione di “Aziende” universitarie sotto controllo politico.


Per fare meritocrazia in forma più quantitativa, andrebbe introdotto l’uso, ormai indispensabile, di criteri di misura standard, affidabili, robusti, trasparenti di tests che hanno decine di anni di esperienza e di correttivi alle distorsioni che possono nascere (vedasi Abravanel, Meritocrazia, Garzanti, 2008), totalmente assenti invece nella Riforma Gelmini.

Si propope oggi la abolizione del titolo di studio, confondendo con le “liberalizzazioni” del governo Monti, ma lo stesso Governo ha fatto già doppia marcia indietro data la sollevazione generale dell’Università a fare qualsiasi cosa che sia cosi’ brutale e poco condivisa, profittando di una maggioranza sciacciante del Governo stesso, che tuttavia ha il compito di SALVARE L’ITALIA dalla crisi, non di distruggere l’Università pubblica!


Mantenere il valore legale, dicono queste sirene della sua abolizione, è “chiudersi nella torre eburnea dell'Accademia trascurando le diversità”. Peccato che il piano nasce dalle stesse correnti politiche che hanno approvato la Legge Gelmini, che più che trascurare le diversità, le annulla proprio, salvando solo i ricchi e i “potenti”, centralizzando tutto sui Rettori, ingrandendo i Dipartimenti come luogi di vero potere, e rendendo i singoli molto meno liberi e autonomi.

In un recente dibattito, per es., il Prof. Gustavo Zagrebelsky, sollecitato dal Prof. Michele Ciavarella del Politecnico di BARI ha dichiarato, testualmente:

“Che il modo con cui si affrontano i problemi dell’Istruzione è purtroppo un modo aziendalistico e questo è un tradimento profondo della vocazione degli studi di Istruzione soprattutto quelli superiori. Perché poi quando si fanno le graduatorie (tra Università, ndr) si va a vedere la “Produttività”, il rapporto iscritti / laureati, il tasso di assorbimento dei laureati nella forza lavoro, nel tessuto produttivo locale. E’ la prosecuzione della “logica delle tre i”: “Impresa, Internet, Inglese”, lanciata questa logica da governi precedenti per le Scuole medie, ma che adesso si sta estendendo all’Università. Se ci riflettete tutto ciò con la “Cultura” non ha quasi nulla a che fare. Queste “tre i” e ciò che si preannuncia (vediamo cosa succederà con l’Università), ciò che è accaduto, inserisce, colloca, i problemi dell’Istruzione nella logica e-se-cu-ti-va, le “tre i” indicano una formazione di tipo esecutivo, ma la cultura è un’altra cosa”.Aldilà dei problemi di Costituzionalità io credo che dovremmo avere anche l’orgoglio di dire che l’Università non può ridursi ad una cosa di questo genere"
.

La stessa Riforma sta stravolgendo i “concorsi”, prima ancora di rendere le Università del tutto Private, creando concorsi inusitati e probabilmente molto meno meritocratici (ex. Art.24 c.6 della Legge Gelmini 240/2010). Non ci sarà più bisogno di far ritirare misteriosamente i concorrenti alternativi ai candidati “iper raccomandati”, come dichiarato da un commissario anonimo del Concorso del Vice Ministro Martone al SecoloXIX, visto che altri candidati non ci saranno, saranno tutti scelti ad personam da Rettori e Direttori di Dipartimento come se fossero vertici di azienda.

Il rischio che la abolizione del titolo legale porti ad un aumento sconsiderato delle tasse universitarie è più che realistico. Lo sottolinea il fatto che tra i firmatari di appello a favore figurano persone come Alberto Alesina e Andrea Ichino che da tempo si battono per aumentarle, creando prestiti che sarebbero pesanti per la maggior parte delle famiglie già gravate dalla Crisi Economica.


Gli Atenei potrebbero avviare una competizione di tipo economico al rialzo, al tempo stesso svilendo la qualità. In definitiva, si affida la valutazione al "mercato", prima ancora di verificare che il Paese sia maturo per una Etica vera. Le valutazioni a posteriori finora fatte in Italia dimostrano il contrario.
La competizione tra Università italiane poi è sempre esistita, e funziona bene, la qualità tra private e pubbliche cambia pochissimo, ed è il complesso delle Università italiane che è carente – parliamo prevelentemente del criterio produzione scientifica, che è il criterio più semplice e oggettivo da misurare. Lo dimostra la classifica mondiale della ricerca delle classifiche SCIMAGO, (che misura indicatori normalizzati per dimensione, con criteri come output, collaborazione internazionale, specializzazione tematica, e impatto scientifico, secondo gli ultimi trend anche in UK),: con risultati sorprendenti. 1) il Politecnico di BARI, nel 2010 considerato dal MIUR “non virtuoso” sulla base di parametri economici, e quindi escluso nel 2011 e 2012 da grossi finanziamenti del Piano Straordinario di Reclutamento di Professori Associati, “risulta l’ateneo al primo posto tra le 67 accademie pubbliche italiane per la qualità dei lavori scientifici prodotti, staccando tutte le altre, da Milano a Palermo comprese le sedi blasonate come Bologna, Padova e Roma la Sapienza.


Soprattutto, il Politecnico barese offusca le concorrenti più dirette, i Politecnici di Torino e Milano nei vari settori dell’architettura e dell’ingegneria.”. La Bocconi è si migliore del Politecnico di BARI, ma di pochissimo, e la sola, tra le private! Tutte le altre invece scompaiono. Tra le Scuole statali ma a statuto speciale (Napoleonico, come le Scuole Normali francesi che volle Napoleone che credeva ai test durissimi di ammissione e al merito, anche sul campo), invece, si ottengono leggeri miglioramenti, con la Scuola Santanna di Pisa al 613° posto.
Ma il punto vero è che lo stato Italiano non tutela i “meritevoli” in quanto non offre nessuna Università in Italia di livello competitivo al mondo! I meritevoli, non solo non sarebbero avvantaggiati dalla abolizione del valore legale, ma non sono aiutati affatto nell’unica soluzione oggi possibile per avere educazione di livello superiore: studiando nelle migliori Università del mondo, e non alla Bocconi che è solo 629° nel mondo. Ci sono ben 628 Università migliori dove studiare. Se tra Bocconi al 629° posto, e il Politecnico di Bari al 642° posto, ci sono solo 13 Università di differenza sul totale di 3042, la differenza è trascurabile, eppure pesata già oggi enormemente come costo dello studente, sia per lo stato che per lo studente stesso.



Semmai quindi dovremmo finanziare molto di più il Politecnico di BARI, e ridurre finanziamenti e tasse Universitarie alla Bocconi. Ma questo potrebbe creare un conflitto di interesse in un Governo guidato dal Presidente della Bocconi stessa. Un governo che ha già il conflitto di interesse enorme del Ministro Profumo, che per la prima volta nella storia italiana, è anche contemporaneamente Presidente del maggiore Ente di Ricerca, il CNR.



Il problema va impostato correttamente allora, perché uno studente e una famiglia che conosca questi dati, messa di fronte alla possibilità di studiare all’estero, a volte a costi persino inferiori (in alcuni Paesi Scandinavi accolgono studenti italiani in condizioni di estremo favore, e anche in Germania le tasse universitarie sono bassissime, e le vogliono completamente azzerare presto), sarà presto de facto invogliato a emigrare.


Al vero top della Classifica SCIMAGO tendono a esserci istituti di ricerca, invece che Università, come è ovvio visto che SCIMAGO misura solo la ricerca. E allora troviamo il Broad Institute of MIT and Harvard, ma anche la Spagna con “Institut d'Estudis Espacials de Catalunya” o il Dana Farber Cancer Institute e il J. Craig Venter Institute (quello che ha sequenziato il genoma, per intenderci), o l’Howard Hughes Medical Institute, o la Microsoft Research a Cambridge vicinissimo alla Università.



Per trovare un istituto di ricerca di livello mondiale tra i primi cento se ne trovano alcuni, come al la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano, al 73 gli Ospedali Riuniti di Bergamo, e al 76 l’Istituto Europeo di Oncologia. Occorre invece scendere parecchio, per trovare l'Istituto Italiano di Tecnologia, che se si trova al 240 posto, ma che con una spesa paragonabile a quella di una Università italiana di medie dimensioni, si sta collocando bene, nonostante le critiche, a solo un posto di distacco dal famoso Caltech.



La fuga dei cervelli quindi ora comincia ai 18 anni, e non è un caso infatti che ormai sono decine di migliaia i giovani italiani che vanno a studiare nelle Università straniere.

Sui concorsi pubblici, se essi devono essere obbligatoriamente aperti a tutti i cittadini europei (come in realtà la Legge Gelmini limita tantissimo, per via dei concorsi ex art.24c.6), allora attribuire un peso diverso alla laurea in base all'ateneo che la ha rilasciata sarebbe non solo sbagliato, ma anche impossibile, a meno che l'ANVUR non stili un ranking di tutte le università dei 27 (quasi 28) Stati membri della UE, se non di tutto il mondo.



In definitiva, un problema sbagliato, e come detto da Luciano Modica su Europa del 26 gennaio 2012, l’abolizione viene proposta “rifacendosi alle “prediche inutili” di Luigi Einaudi o a qualche modello straniero più o meno frainteso”. “Inutilmente analisi rigorose tra cui quelle di Sabino Cassese, ora giudice costituzionale, di Giovanni Cordini, del Servizio Studi del Senato hanno segnalato la complessità del problema. Inutilmente tutti coloro che si intendono davvero di università hanno espresso perplessità.” Basti ricordare il recente caso del ritiro a furor di popolo dell’autorizzazione ad istituire un’università privata che prendeva il nome dal suo proprietario ed era ubicata in una palazzina di sua proprietà nella piccola cittadina di residenza. Si noti peraltro che il regime autorizzativo è presente in forme diverse in tutti i Paesi dell’Unione Europea e una sua abrogazione nel nostro rischierebbe di porci fuori dall’Area Europea dell?Istruzione Superiore (EHEA).



La competizione tra le università scatta veramente e funziona positivamente solo quando si verifica attentamente e si premia la bravura dei rispettivi laureati nel mondo del lavoro, non quando si approntano tabelle in base a complicati e largamente arbitrari parametri quantitativi generali. Inoltre, una volta garantite eguali opportunità di partenza mediante un solido e ampio sistema di diritto allo studio, la valutazione del merito personale dei laureati è l’unico vero motore dell?ascensore sociale. Una proposta di “affievolimento” del valore legale è contenuta in un documento della Conferenza dei Rettori del 1995; le classi di equivalenza del valore legale di lauree differenti sono contenute nel decreto ministeriale del 1999 che ha introdotto la nuova architettura europea degli studi universitari, il cosiddetto 3+2. E sono proprio gli interventi di cui il Ministro Profumo ha fornito anticipazioni. Da molti anni sono sul tavolo dei ministri competenti senza che nessuno sia mai riuscito a realizzarli. Speriamo che anche in questo caso sia la volta buona”

Insomma, un piano complessivamente vicino a quello della “scuola di partito” che profetizzava Calamandrei nel celebre discorso del 1950 . Nell’interpretare l’art.33 della Costituzione “La repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”, egli afferma che “La scuola è aperta a tutti. Lo stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto nell’articolo 33 della Costituzione”. La preoccupazione qui è quella di creare cittadini, non cattolici, né protestanti, non fascisti, né comunisti, collegandosi anche ai concetti di eguaglianza e parità sociale dell’art.3, e dell’art.51 nell’accesso agli uffici pubblici.

Forse, rileggendolo dopo 50 anni, l’enfasi nella visione che lo Stato possa creare apertura a tutti, con scuole ottime per tutti, di tutti i gradi e tipi, e dovunque, lasciando in secondo piano la questione dei “capaci e meritevoli”, pare criticabile, e crea il dibattito di oggi. Dimenticando che le risorse non sono infinite, e scelte vanno fatte La scuola pubblica, non è priva di rischi di creare cittadini “politicizzati”, o di diventare essa stessa non seria, e mal organizzata.

Ma come sono stati valutati i “meriti” anzi le “virtuosità” delle Università? A partire dal primo esperimento del Settembre 2009 (Classifica Gelmini), quando i criteri, fissati a posteriori, in modo non trasparente, sono emersi solo per una fuga di notizie tramite il giornale online lavoce.info! Si veda noisefromamerika.org con l’articolo di Alessandro Figà Talamanca “Università: una graduatoria di merito?”

Una delle firmatarie dell’appello pro Abolizione, Margherita Hack (in "Margherita Hack, Libera scienza in Libero Stato", Rizzoli, 2010), dice che la riforma Berlinguer del 3+2 della fine degli anni 90, ha “certamente avuto un effetto positivo” nel senso, per esempio, che nello stesso anno 2003, mentre con il vecchio ordinamento si laureavano “in corso” meno del 5% degli studenti, con il nuovo ordinamento si sono laureati il 44.1%! Ma un salto in un solo botto di 10 volte, non fa rabbrividire qualsiasi ottimistica previsione di miglioramento? La Margherita Hack pare notevolmente ingenua. Nell’articolo “Il Manuale del Rettore “virtuoso” --- I rischi della meritocrazia “all’italiana” nell’Università” del 7/1/2010, forse si spiega qualcosa.


Si segnalava che con una media nazionale del voto di laurea saltata dal già troppo alto 103, a ben 108.7 (con la lode assegnata ad oltre il 30% dei laureati in media, e con punte di proporzioni incredibili in alcune università), gli effetti degli incentivi per acquisire “virtuosità” da parte del Ministero sono perversi, e lo sarebbero ancora di più con l’abolizione del valore legale del titolo di studio. Sarebbero “todos caballeros”, e in un Paese dove tutti sono Re, nessuno è Re!

Il problema va affrontato con un approccio radicalmente diverso, che con la selvaggia abolizione del valore legale!

La visione della proposta è notevolmente provinciale. Quando si opera per il DIPLOMA SUPPLEMENT, ossia per integrarsi in Europa, già oggi siamo in difficoltà. Secondo le linee guida lo schema ECTS prevede la suddivisione dei voti per percentuali prefissate.
• voto A: contiene circa il 10% dei voti a partire da quelli più alti,
• voto B: contiene il successivo 25% circa dei voti,
• voto C: contiene il successivo 30% circa dei voti,
• voto D: contiene il successivo 25% circa dei voti,
• voto E: contiene il rimanente 10% circa dei voti.

Ma come si fa se il i voti piu' alti sono ben oltre il 10%?? Non si riesce a rispettare le regole pensate in Europa, e noi abbiamo la lode che coincide con le categorie A, B, C del Diploma Supplement! Il che' in effetti chiarisce che da noi la lode vale quanto mediamente un B in Europa.

Il valore legale va tenuto, ma i voti vanno contenuti! Quindi il problema è italiano, e NON della Università Pubblica! Abolire il valore legale non risolve proprio nulla, anzi peggiora lo status quo.

Gli americani, cui sembra la proposta di Abolire il valore legale si ispiri, hanno loro stessi notato il problema della inflazione dei voti, ma loro li inquadrano subito come fasulli, e corretti con misure drastiche --- che da noi non ci sono, perché la nostra Etica non funziona. Sarebbe un Far West. Princeton prese posizione nel 2004 pubblicamente contro la propria politica di eccessiva larga manica.

Tornando ancora al discorso di Calamandrei, egli segnala come un partito dominante che volesse creare scuole di partito (qui il riferimento scottante è sempre all’esperienza del fascismo da cui si era appena usciti): “comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private”. “Tutte le cure cominciano ad andare alle scuole private”. Il circuito vizioso sarebbe quindi quello di allentare i controlli sulle scuole private, e addirittura finanziarle con denaro pubblico, “il metodo più pericoloso”, come si fa in molti casi in Italia! Insomma, nel privato si annida il rischio della “concorrenza al ribasso”, con una “equipollenza” aggirata di fatto. Il pericolo è il “disfacimento morale della Scuola”.

La Hack lo riconosceva nel libro riconoscendo che quanto stava facendo il Ministro Gelmini con “tagli insopportabili alle scuole di ogni ordine e grado”, per cui “invece di migliorare le Scuole pubbliche, in nome di una presunta libertà di favorire le private che, per attirare più studenti, sono notoriamente di manica larga, e hanno docenti spesso sottopagati e alle prime armi”. Come mai la Hack ora ha cambiato idea radicalmente?

La Riforma Gelmini, rischiano di rilanciare la corsa alla concorrenza al ribasso delle Università pubbliche, visto che, con i parametri “meritocratici” introdotti, hanno anche esse vantaggio ad aumentare slealmente gli studenti, e devono farlo se non si vuole rischiare il fallimento, o il commissariamento! La Hack invece non toccava la Bocconi, riconoscendo che “e' di ottimo livello, ma molto cara”.

Da dove viene questa proposta? Da alcuni economisti italiani della Bocconi (Perotti, Giavazzi) o di Harvard (Alesina), che hanno sostenuto che l’università statale fosse talmente “malata”, “truccata” e sfinita, che solo la privatizzazione può ripristinare il merito. Siamo al paradosso del paradosso, tenendo conto che in realtà, dati alla mano, l’Università statale italiana è la meno cara di Europa, mentre la privata italiana è troppo cara (si veda “La cura "privatizzazione" -- Non sarà che la Bocconi spreca molto piu' delle Università pubbliche?”) dimostrando che la Bocconi costa molto più, in proporzione alla Statale, di quanto costi Harvard rispetto alla università statale americana!


Insomma, in materia di Riforme Universitarie, il Governo Monti pare molto più in conflitto di interesse del governo Berlusconi, e la situazione non a caso sta degenerando.

PRIMI FIRMATARI ANONIMI

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