giovedì 23 aprile 2015

Le Università assorbono il personale delle province rottamate?

Cose che passano in relativo silenzio, almeno finora, e nulla possiamo farci se non ci ribellassimo in massa: ho appena appreso, che parte del personale delle province rottamate verrà (probabilmente) assorbito dalle Università in quota FFO. Si ragiona di una quota 70-30. Allegria! E' infatti una "direttoriale" del direttore del Miur Livon di venerdì scorso

E infine, la cosa è peggiore: tutta la quota di punti organico derivata dal pensionamento del personale tecnico amministrativo utilizzabile per il limiti di legge (30%) non può essere adoperata per sostituire lo stesso ma per importare personale delle province.   Quindi nessuna assunzione di pta a meno che non avvenga a scapito del personale docente.   E il personale non potrà neanche essere scelto dagli Atenei....

allegria.
mc

domenica 12 aprile 2015

Gianfranco Viesti Marzo 2015 Elementi per un’analisi territoriale del sistema universitario italiano

Un nuovo articolo di Gianfranco Viesti  Marzo 2015 Elementi per un’analisi
territoriale del sistema universitario italiano. Fondazione RES Istituto di Ricerca su Economia e Società in Sicilia Working Papers RES 02/2015 Marzo 2015

Le principali conclusioni a cui giunge il lavoro sono le seguenti.

1) Il ritardo nell’istruzione universitaria dell’Italia, rispetto agli altri paesi europei, è
molto forte; in tutte le sue regioni, ma in misura più intensa nel
Mezzogiorno, specie per i più giovani. Il numero limitato di laureati ha un
forte impatto sulle competenze medie della forza lavoro, e quindi sulla
produttività delle imprese. Esso rappresenta anche un notevole freno ai
processi di mobilità sociale.

2) I dati recenti sulle immatricolazioni nelle università italiane sono molto
negativi. Al netto della fisiologica riduzione delle iscrizioni rispetto agli anni
di avvio dei nuovi cicli, vi è una forte contrazione delle iscrizioni negli ultimi
anni, con minori tassi di passaggio dal diploma alla laurea. Questo
fenomeno è più accentuato nel Mezzogiorno, e in particolare nelle Isole; e si
somma in quei tentativi a tendenze demografiche negative, producendo una
flessione molto forte degli immatricolati. Flettono di più i passaggi
all’università dai diplomi non liceali, e, ancora una volta nel Mezzogiorno, le
iscrizioni di studenti di famiglie meno abbienti. L’Italia è l’unico paese che
vede ridursi il numero di studenti universitari.

3) La mobilità geografica fra regioni degli studenti all’atto dell’iscrizione
riguarda circa un quinto del totale. I flussi in uscita sono molto differenziati
per regione, anche all’interno delle grandi circoscrizioni. Tuttavia, mentre al
CentroNord la mobilità è prevalentemente interna all’area, molti studenti
del Mezzogiorno si iscrivono in atenei del CentroNord. Emilia, Lazio e
Toscana sono le regioni che beneficiano di più di questi flussi. All’interno del
Mezzogiorno la percentuale di studenti che si iscrive nel CentroNord è molto
diversa fra regioni, come pure la scelta delle destinazioni. I flussi in uscita
dalla Campania sono molto contenuti, quelli dalla Sicilia in forte aumento.
Anche se la durata media degli studi in Italia non differisce molto rispetto ad
altri paesi, mostra grandi diversità interne. I percorsi universitari degli
studenti degli atenei del Nord sono molto più veloci di quelli degli studenti
del CentroSud; corrispondentemente bassa la percentuale di fuoricorso. Lo
scarto è netto per i corsi triennali mentre si riduce moltissimo per i biennali.

Media nazionale fuori corso 35% contro 47% (il PoliBA è esattamente alla media del Sud)

gli studenti che completano in tempo gli studi triennali, o dei corsi a livello unico, sono sono il 43% al Nord, e solo il 27% al Centro e il 23% nel Mezzogiorno.  I laureati regolari del Poliba (17,9%) sono inferiori persino alla media del Sud e persino di UniBA.

media crediti (MC) Studenti attivi (SA) Laureati regolari (LR)% Passaggi 2° anno (PA)% Abbandoni2° anno (AB) Fuoricorso(FC)
BARI 31,3 90,4 28,7 16,5 20,4 42,8
POLIBA 23,5 83,5 17,9 16,8 14,8 47,8
Tav 5.10 Indicatori di regolarità degli studi, per Atenei

Non è agevole spiegare questi fenomeni, che possono dipendere da una
pluralità di cause. E’ sensibile, e maggiore nel Mezzogiorno, l’abbandono
dopo il primo anno. Il giudizio degli studenti sulla disponibilità di struttre
negli atenei è anch’esso differenziato, con una situazione molto peggiore nei
grandi atenei del CentroSud.

4) Il numero di docenti universitari italiani si è fortemente ridotto negli ultimi
anni; pur nelle difficoltà delle comparazioni internazionali, il loro numero
appare più basso rispetto agli altri paesi europei. Il rapporto
studenti/docenti è in Italia sui valori più alti in comparazione
internazionale. All’interno del paese è fortemente squilibrato, con una
situazione peggiore al Sud rispetto alle altre circoscrizioni, nonostante il
forte aumento dei docenti nei primi anni duemila. Le figure precarie
(assegnisti) sono molto aumentate: ma loro presenza è molto maggiore al
Nord, rispetto al Centro e ancor più al Sud. Anche gli amministrativi si sono
ridotti: la loro presenza territoriale è più omogenea di quella dei docenti.
Infine, è in calo il numero dei dottorandi, fortissimo nel Mezzogiorno.
In Italia ci sono 96 istituzioni universitarie, di cui 67 statali, un numero che
appare comparabile, se non inferiore, a quello degli altri grandi paesi. La
loro distribuzione territoriale è omogenea, con una densità maggiore al
Centro, dove ci sono diversi piccoli atenei. Nel dopoguerra il Sud ha
recuperato il suo storico ritardo; negli ultimi 25 anni, poi, le università sono
aumentate sensibilmente, nel NordOvest, nel Centro e nel Sud. Ci sono
attività universitarie, alcune con un limitato numero di iscritti, in 164
comuni italiani (un numero in forte contrazione). Nell’ultimo quinquennio
l’offerta didattica (corsi) si è sensibilmente contratta.

5) L’Italia ha il livello di tassazione studentesca più alta fra i paesi dell’Europa
continentale (esclusa l’Olanda); è significativamente aumentato negli ultimi
anni. Le tasse universitarie sono molto diverse all’interno del paese, molto
più alte al Nord rispetto al CentroSud. Ma se si rapportano al reddito
procapite regionale, le differenze si riducono molto: alcune regioni (specie,
ma non solo, al Nord) hanno tuttavia un livello di tassazione rapportato al
reddito più alto della media. Sono significative alcune differenze fra atenei
interne alle regioni. Gli studenti esonerati sono una percentuale maggiore
nel NordEst e nel Mezzogiorno. La percentuale di beneficiari di borse di
studio, così come la disponibilità di posti alloggio e mensa e la spesa delle
università per servizi agli studenti, è molto più alta al CentroNord rispetto al
Mezzogiorno.

6) La spesa per l’istruzione universitaria è in Italia molto più bassa rispetto ai
paesi Ocse, sia misurata sul PIL, sia rispetto al numero di studenti (anche
tenendo conto della diversa durata degli studi). E’ inferiore anche la sola
componente pubblica. La spesa si è ridotta negli anni più recenti, in
particolare a seguito delle riduzioni operate sul Fondo di Finanziamento
Ordinario (FFO). Sul totale delle entrate delle università è aumentato
sensibilmente il peso della contribuzione studentesca e delle entrate
finalizzate da soggetti diversi dal MIUR. Normalizzate rispetto al numero di
docenti, e ancor più di studenti, le entrate sono maggiori per gli atenei del
Nord rispetto a quelli del CentroSud. Fra il 2008 e il 2012 l’FFO è diminuito
più della media nazionale per gli atenei del Centro, e, ancor più, del
Mezzogiorno (specie per i grandi). Sul totale delle spese delle università, nel
Mezzogiorno è maggiore il peso degli stipendi e minore quello dei beni
durevoli e dei servizi agli studenti.

7) La recente valutazione della ricerca universitaria (VQR) è stato un esercizio
complesso, e con aspetti controversi, anche se di fondamentale importanza
per le sue ricadute sul finanziamento degli atenei. I suoi esiti mostrano una
qualità della ricerca sensibilmente inferiore negli atenei del Mezzogiorno
rispetto al resto del paese. Lo scarto è contenuto per ingegneria e per altre
aree scientifiche, molto forte per le aree umanistiche. Forti anche le
differenze interne al Mezzogiorno: alcuni atenei (Sannio-Benevento,
Catanzaro, Napoli-Suor Orsola, Foggia, Salerno e Teramo) hanno risultati
migliori; le grandi università molto peggiori. Rispetto alla precedente
valutazione (VTR) si ha un sensibile peggioramento, con un vero e proprio
tracollo della qualità della ricerca negli atenei più grandi. Ma vi è anche una
forte varianza dei risultati; e non è chiaro in che misura tutto ciò dipenda
dalle differenti metodologie delle analisi.

domenica 5 aprile 2015

jobs act o buona università --- la Riforma Renzi. Di che si tratta: andiamo verso le Teaching Universities USA?

Qualche giorno fa, su Repubblica é stata pubblicata un'intervista al Ministro Giannini - su un tema non specifico dell'Università - in cui la stessa ha dichiarato:
Ora parte la "Buona Università".
"Sarà un anno costituente per gli atenei italiani. Siamo al lavoro da alcune settimane, in estate offriremo il progetto. Toglieremo l'università dal regime contrattuale della funzione pubblica per costruirle attorno un contratto proprio. Università e ricerca hanno regole e obiettivi specifici che non sono quelli del pubblico impiego".

Ci sono 2 novità schizofreniche da parte del governo.  Da un lato si approva un DM che istituzionalizza il precariato dei "contrattisti" della docenza allargando le maglie a quelle Università che ne fanno largo uso (che come al solito sono più furbe di noi), e dall'altro si parla di una Riforma alla Legge Gelmini che abolisca il precariato con forme a tutele crescenti.  In generale, mi pare di leggere tra le righe la tendenza verso una separazione tra didattica e ricerca tipica delle Teaching Universities in USA che affidano a personaggi di varia natura, ma non dediti alla ricerca, l'insegnamento, mentre pochi docenti fanno ricerca e inseguono contratti di ricerca sempre piu' spinti dagli amministrativi per via che ottengono gli overhead.


Non ho ben capito cosa sta succedendo. avevamo un sistema che funzionicchiava, poi hanno voluto cambiare e bloccare i concorsi (turnover bloccato prima al 20% poi a % maggiori ma in funzione della virtuosità delle Università, variamente declinata), per arrivare a sottofinanziare l'università e bloccare il ricambio generazionale necessario per mantenere o anche aumentare il numero di studenti (che invece sta scendendo perchè hanno capito che l'Italia ha scelto un'economia da secondo o terzo mondo), con il risultato che negli ultimi 20 anni (ossia dal primo gov. Berlusconi del 1994) L'italia ha ridotto del 20% la sua spesa pubblica in istruzione, università e ricerca, e siamo agli ultimi posti tra i paesi Ue e OCSE per investimenti nell'università, numero dei laureati, e in molti altri parametri). A parte isole felici come IIT e IMT di Lucca, e beato chi ci lavora...
Ma la Riforma Gelmini-Berlusconi prevede già il sistema di entrata a tutele crescenti... di cui si parla tanto ora con Renzi (RTDa e RTDb) o quello di Renzi è ancora più articolato?   E a cosa serve articolarlo di più se non si iniettano soldi?   Ma non bastava sbloccare il turnover? Senza soldi stiamo tutti qua a prenderci in giro!     Forse parlano di forme intermedie tra docenti a contratto e RTD-A, ossia intermedie tra i 2000 eu/anno che pero' erano a volte erogati a docenti professionisti importanti a titolo rimborso spese, e non per far sopravvivere un precario ma anche senza esperienza), e i 1500 Eu/mese degli RTD-A, che forse Renzi giudica eccessivi, seppure sono per 3 anni?  Mi risulta che i corsi di laurea si possono già coprire con RTD-A, quindi di cosa stiamo parlando?
Non dimentichiamo ciò che è stato. Le parole di Tremonti sull'Università erano: AFFAMA LA BESTIA. E la Gelmini, ammantando di riforme le sue porcherie eseguiva solo tagli indiscriminati dettati dal MEF di Tremonti, Milanese &Co.  Questo l'abbiamo capito ora, non subito (a parte qualche intelligente) e i ricercatori riuscirono a strappare con grande rivolta 200 milioni di piano straordinario associati. Ora Renzi sta dicendo di dare alla bestia dei falsi pezzi di carne per i precari?   Aspettiamo di vedere in concreto di che si tratta: 80 eu in più ai RTD?
Poco chiaro!
Dal sito sindacale della FLC-CGIL leggo una presa di posizione:  L'emergenza Università richiede quindi altri interventi. A fronte del crollo del personale universitario (- 30% per i soli professori ordinari dal 2008 al 2013, -21% il totale dei docenti in meno), del contestuale incremento (in chiave sostitutiva) di ricercatori e docenti precari con svariate (e fantasiose) forme contrattuali; dell'espulsione di più del 93% dei ricercatori precari negli ultimi 10 anni, come testimoniano i dati di “Ricercarsi”; non si può rispondere con giochi di prestigio.





Ci sono somiglianze con la proposta Paleari?  La quale mi sembra seria ed equilibrata e senza troppa retorica.  Ma che parla concretamente di iniettare 300 milioni di Euro stabili per anno di punti organico. Non una sciocchezza e non parole vacue al vento.



Uno degli obiettivi è sicuramente quello di restituire piena autonomia agli atenei, scioglierli da quei lacci e da quei vincoli che troppo spesso ne bloccano l'iniziativa" spiega la senatrice Puglisi, responsabile scuola, università e ricerca della segreteria del Pd, sottolineando come il modello "buona scuola", che ha notevolmente ampliato competenze e responsabilità dei dirigenti scolastici, è la traccia da seguire. I rettori godono tuttavia di un'autonomia piuttosto elevata. Per questo si agirà piuttosto sulla libertà di esercizio di tale discrezionalità piuttosto che sull'aumento dei poteri.


Ma la vera novità, quella destinata a far discutere, è un'altra. Ed è quella della riforma dei contratti universitari. Una sorta di traslazione del jobs act, che tenga conto della particolare autonomia degli atenei, ma che trasformi la miriade di forme contrattuali a tempo di assistenti, ricercatori e collaboratori in un'unico contratto sul modello delle tutele crescenti, per sbloccare in entrata l'ingresso ai giovani, oggi impegnati in uno slalom che può durare anche un decennio tra collaborazioni e borse di studio prima di arrivare alla sospirata regolarizzazione. "Uno sblocca università - riassume Puglisi - che da un lato elimini le norme e i vincoli inutili e dall'altro dia certezza lavorativa a chi è impegnato nei nostri atenei".

Quindi voi pensate che si stia pensando a forme intermedie tra docenti a contratto a RTD-A?

lo dicono alcuni giornalisti parlando (a casaccio) facendo anche confusione ridicola pensando di poter estendere la portata della sentenza della corte di giustizia sui precari della scuola al caso dei contrattisti che non c'entra assolutamente nulla...  In effetti vorrei che qualcuno mi chiarisse 2 cose: (i) le sentenze della corte di giustizia sui precari scuola e come si possono estendere alla Università, e (ii) il jobs-act che forme prevede rispetto a quelle esistenti nella legge Gelmini.

il jobs act non riguarda il pubblico impiego. la corte di giustizia ha stabilito, tra le altre cose, che il lavoro a tempo indeterminato è la regola e quello a tempo determinato l'eccezione che si giustifica solo in presenza di precise circostanze. e che la legge italiana che consente supplenze annuali a oltranza per chi ha avuto già contratti per più di 3 anni viola il diritto ue.

quindi questo come va in conflitto con i cosiddetti precari dell'università? forse stiamo parlando non di RTD-A ma di docenti a contratto a 2000 Eu/anno che vengono usati per 10 anni all'univ come il caso di Matteo Fini (che pero' spesso non hanno titoli o tempo di fare ricerca e quindi non riescono a entrare).



Vedremo......... Intanto non è che si sta pensando molto più semplicemente a non chiudere corsi di laurea (visto che si vuole mantenere in piedi l'offerta a rischio di perdere i già troppo pochi studenti)?

Siamo da sempre sotto la metà della media europea come studenti, e questo restringimento del numero studenti non farebbe che altro male, dal punto di vista politico.   E allora forse sotto sotto quello che dice il "fatto quotidiano"  “Corsi di laurea garantiti da docenti precari? Governo mette toppa pericolosa” sembra probabile.  Si vogliono di fatto solo creare delle categorie precarie per mantenere in piedi i corsi di laurea.  Il Ministero dell’Istruzione ha deciso di includere anche i professori a contratto nel calcolo del numero minimo di docenti necessario a mantenere un corso di laurea. Una mossa della disperazione quasi obbligata, a causa delle sempre più profonde lacune di personale degli atenei dovute al blocco del turnover. Ma per fronteggiare l’emergenza il Miur ha deciso di fare ricorso a docenti precari, invece che bandire nuovi concorsi e procedere a vere assunzioni. Il regalo di Pasqua del Miur all’università italiana è il decreto ministeriale 194/2015, con cui Stefania Giannini stabilisce una svolta abbastanza radicale: per i prossimi tre anni (fino al 2018), gli atenei possono far ricorso anche ai docenti a contratto per attivare corsi. E questa scelta potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio, come spiega Roberto Lagalla, rettore dell’Università degli Studi di Palermo e vicepresidente della Crui (la Conferenza dei rettori): “Oggi si salvano corsi a rischio estinzione, domani al Ministero potrebbero avere non pochi problemi”.


Fino ad oggi questi dovevano essere di ruolo, con una soglia massima del 5% di precari. Il decreto dilata (e non di poco) tale quota, fino a un terzo del totale. E questo permetterà di alleggerire i parametri attuali, riducendo in media del 30% il numero di docenti a tempo indeterminato indispensabili.


Un riassunto di quei dati si trova nell'articolo su ROARS: 10 anni sprecati. Cos’è successo ai precari dell’Università nell’ultimo decennio? 
–      fra il 2003 e il 2013 i contratti precari della ricerca sono quasi raddoppiati, passando da poco meno 18.000 nel 2003 a più 31.000 nel 2013.
–      In questo stesso decennio nelle Università italiane hanno lavorato con contratti precari oltre 65.000 ricercatori. Di questi più del 93% non è stato assunto ad oggi nel sistema universitario.
Anche se non si capisce bene la definizione di "precari", non si può non concordare con la conclusione di CGIL.... All'Università italiana servono piuttosto un reclutamento straordinario di nuovi docenti,sblocco del turnover per tutto il personale universitario e serie politiche di investimento.




Qualcuno dice che per lo strapotere del CUN, dei fautori del ruolo unico, e di altre visioni catastrofiche, siamo vicini ad un collasso dei ruoli, degli stipendi e disastri vari....

Volendo essere propositivi, andrebbe propugnato il modello non dico della
• l’University of California (UC) che e’ notoriamente pubblica ma anche di primissimo livello, e che forma ca 200 mila studenti su 10 campus, permettendo pero’ l’entrata solo al migliore 12.5% degli studenti dei licei su base di test nazionale standard
, ma almeno quello del
• California State University (CSU), di livello inferiore ma ancora discreto permettendo l’entrata solo al 30% dei voti piu’ alti,  con stipendi piu’ bassi per i docenti e il personale, ma con circa 400 mila studenti e 23 campus

Senza scivolare invece alla università puramente teaching simile ai 110 Community Colleges (CCCS) Californiani con oltre 2.5 milioni di studenti, aperta a tutti e completamente gratis per i residenti in California.....

saluti, MC

PS su molti dibattiti nei social vedo che siamo a fare i distinguo sulle categorie esistenti.... pare invece se ne vogliano creare di nuove, presumibilmente intermedie tra prof. a contratto e RTD-A. se pero' qualcuno dice che RTD-A è troppo precario, allora a maggior ragione non aspettasse l'ultimo momento per lamentarsii di quanto vuole fare il governo. Se viceversa, come me, ritiene che RTD-A va benino, e vuole solo piu' soldi nel sistema, allora lo dicesse. Se infine c'e' chi ritiene che qualche forma di lavoro tipo prof. a contratto per chi già lavora altrove è valida soluzione all'americana per i "teaching assistant", creando per la prima volta una categoria che non avrà futuro stabile nell'università perchè non fa ricerca (alla Matteo Fini per intenderci), come avviene già in USA, allora lo dica. Ma non limitiamoci a litigare sull'esistente, è inutile!