Il nuovo volumetto di Margherita Hack è una lettura scorrevole, che non prende più di un paio di orette. Fa una grande panoramica, dalla Costituzione italiana e ai principi ispiratori della Scuola pubblica del dopoguerra, attraverso un molto noto e citato discorso di Piero Calamandrei del 11/2/1950 al III Congresso dell’associazione a difesa della scuola nazionale, riportato quasi integralmente [occupa le pagine da 9 a 24, di un libro di appena 139 pagine, che lo colloca quindi piuttosto come un libro di storia, che di attualità!].
A partire dall’art.34 della Costituzione, che sancisce “La scuola è aperta a tutti. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Dove quindi sembrerebbero chiari i concetti di meritocrazia, che oggi sembrano apparentemente tornati di moda, o meglio sarebbero tornati se si ascoltassero i richiami di farlo in forma più quantitativa, con l’introduzione ormai ritenuta indispensabile, di criteri di misura standard, affidabili, robusti, trasparenti (vedasi Abravanel, Meritocrazia, Garzanti, 2008), e non nel modo retorico e profondamente insensato delle riforme Gelmini in cui merito è la parola più ricorrente, ma.. rimane una parola!).
Tornando a Calamandrei, nell’interpretare l’art.33 della Costituzione “La repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”, egli afferma che “La scuola è aperta a tutti. Lo stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto nell’articolo 33 della Costituzione”. La preoccupazione qui è quella di creare cittadini, non cattolici, né protestanti, non fascisti, né comunisti, collegandosi anche ai concetti di eguaglianza e parità sociale dell’art.3, e dell’art.51 nell’accesso agli uffici pubblici.
Stupisce, rileggendolo dopo 50 anni, da un lato la nobiltà delle intenzioni, dall’altro quanta enfasi viene nella visione che lo Stato possa creare apertura a tutti, con scuole ottime per tutti, di tutti i gradi e tipi, e dovunque, lasciando in secondo piano la questione dei “capaci e meritevoli”, e soprattutto, dimenticando che le risorse non sono infinite, e scelte vanno fatte [oggi, siamo arrivati al redde rationem…]! Inoltre, sembra quasi che la scuola pubblica, solo perché è nata da questa impostazione, sia priva di rischi di creare cittadini “politicizzati”, o di diventare essa stessa non seria, e mal organizzata. Ossia, basta ispirarsi a principi nobili, e voilà, la perfezione è raggiunta! Nemmeno un bambino ci crederebbe. Plauso alla Dr. Hack che conserva la ingenuità del bambino, forse utile nelle sue ricerche nobilissime, meno però nella concreta guerra globale della leadership tecnologica.
Viceversa, allora (come oggi) i rischi si sarebbero annidati nel privato,, dove per evitare il business selvaggio, squalificato, non controllato, occorre, secondo Calamandrei:-
“1) che lo Stato le sorvegli e le controlli e che sia neutrale, imparziale tra esse. Che non favorisca un gruppo di scuole private a danno di altre.
2) che le scuole private corrispondano a certi requisiti minimi di serietà di organizzazione”.
Solo così si avrebbe sana competizione. Non un cenno a come lo Stato controllerebbe se stesso, per evitare gli stessi rischi! E si sa come in effetti lo Stato non si è controllato affatto, con contratti pubblici bloccati, per cui una volta qualcuno è entrato, non ne esce nemmeno se commette reati gravissimi, con condanne in cassazione, e interdizione dai pubblici uffici, visto che poi il Rettore istituisce una commissione per valutare se licenziare il dipendente, e spesso questo affonda tutto nel dimenticatoio… (qualcosa del genere successe con il Prof De Lorenzo all’Università di Napoli, con un ostacolo interposto dalla Corte Costituzionale http://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_De_Lorenzo).
In effetti, più avanti, nel capitolo “luci ed ombre”, la Hack ricorda un suo collega fiorentino che soleva dire che una volta entrato da straordinario, un professore avrebbe avuto la conferma, a meno che “come minimo avesse ammazzato il padre o la madre”, che le università si sono via via trasformate in veri e propri “feudi” se a dirigerli era sempre lo stesso “Barone”. La Hack ammette inoltre, a pag.42, che i fondi per il funzionamento definiti dall’autonomia della Riforma Ruberti del 1990, “dovrebbero attribuirsi secondo la valutazione delle attività di ricerca e didattica”, ma che questo principio “fondamentale, di cui si discute animatamente, finora non è mai stato attuato”… e un primo tentativo lo fa il ministro Gelmini, ma non si sa ancora con quali criteri di giudizio.
Evidentemente, la Hack ha scritto il testo prima del Settembre 2009, quando i primi criteri sono venuti fuori, fissati a posteriori, in modo non trasparente, e solo per una fuga di notizie tramite il giornale online lavoce.info! Si veda noisefromamerika.org con l’articolo di Alessandro Figà Talamanca “Università: una graduatoria di merito?” e ancora “Il Manuale del Rettore “virtuoso” --- I rischi della meritocrazia “all’italiana” nell’Università” del 7/1/2010 del mio blog.
Tornando ancora al discorso di Calamandrei, egli segnala come un partito dominante che volesse creare scuole di partito (qui il riferimento scottante è sempre all’esperienza del fascismo da cui si era appena usciti): “comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private”. “Tutte le cure cominciano ad andare alle scuole private”. Il circuito vizioso sarebbe quindi quello di allentare i controlli sulle scuole private, e addirittura finanziarle con denaro pubblico, “il metodo più pericoloso”. A questo avrebbe pensato la Costituzione nell’art.33, dicendo che le scuole private devono essere “senza onere per lo Stato”, ma viene aggirato tramite l’idea dell’assegno familiare. E qui il metodo sembra echeggiare quanto avviene, con interessi ancora molto maggiori, nel campo della Sanità pubblica e privata.
Insomma, nel privato si annida il rischio della “concorrenza al ribasso”, con una “equipollenza” aggirata di fatto. Insomma, il pericolo è il “disfacimento morale della Scuola”.
La Hack commenta che tutto questo è estremamente attuale, ed sarebbe esattamente quanto sta facendo il Ministro Gelmini con “tagli insopportabili alle scuole di ogni ordine e grado”, per cui “invece di migliorare le Scuole pubbliche, in nome di una presunta libertà di favorire le private che, per attirare più studenti, sono notoriamente di manica larga, e hanno docenti spesso sottopagati e alle prime armi”.
E qui rivolgo la critica alla ingenua Margherita Hack: oltre al pericolo se non alla certezza che avvenga in qualche università privata di bassa lega, tutto questo cataclisma di cui si preoccupava Calamandrei, è avvenuto anche nelle Scuole Pubbliche, perché prive di qualsiasi forma di controllo, se non l’Etica professionale che per fortuna ha mantenuto, finora, livelli decenti!
La Hack invero lo nota, ma non lo collega all’impostazione troppo retorica e teorica di Calamandrei, ma solo come dato di fatto, per es. a pag.44, quando dice che “con l’apertura a tutti i diplomati, molti entrano all’Università anche in mancanza di uno specifico interesse, magari mentre già lavorano o sono in attesa di un impiego: il titolo può sempre tornare utile, si dice, e comunque le tasse non sono proibitive. Poi le regole sono molto più blande: gli esami non si tengono più soltanto a giugno-luglio e settembre-ottobre, le sessioni si sono moltiplicate, spesso basta accordarsi col docente per fare l’esame quando si vuole, ripetendolo più volte in caso di fallimento o di voto non soddisfacente. Così per tanti l’università è diventata un parcheggio in attesa di trovare un lavoro”.
Un’analisi perfetta, ma da quale causa? La Hack non attribuisce a niente di preciso. Io avrei invece preso proprio la responsabilità nell’impostazione di Calamandrei, che la Hack porta paradossalmente come esempio positivo!
Non solo: le riforme Gelmini, io propongo nel mio “Manuale del Rettore Virtuoso”, certo rischiano di rilanciare la corsa alla concorrenza al ribasso delle Scuole Private, ma persino in modo prepotentemente innovativo, di quelle pubbliche, visto che, con i parametri “meritocratici” introdotti, hanno anche esse vantaggio ad aumentare slealmente gli studenti, e devono farlo se non si vuole rischiare il fallimento, o il commissariamento! Si vedano le mie analisi a parte nel mio articolo/post “Il Manuale del Rettore “virtuoso” --- I rischi della meritocrazia “all’italiana” nell’Università” del 7/1/2010 del mio blog.
La Hack invece non tocca la Bocconi, riconoscendo che e' di ottimo livello, ma molto cara. Quindi, una grande scienziata, ma molto molto ingenua. Infatti la realtà è ancora peggiore, secondo me. Alcuni grandi economisti italiani della Bocconi (Perotti, Giavazzi) o di Harvard (Alesina), sostengono che l’università statale sia talmente “malata”, “truccata” e sfinita, che solo la privatizzazione può ripristinare il merito. Siamo al paradosso del paradosso, tenendo conto che in realtà, dati alla mano, l’Università statale italiana è la meno cara di Europa, mentre la privata italiana è troppo cara (si veda mio intervento in “La cura "privatizzazione" -- Non sarà che la Bocconi spreca molto piu' delle Università pubbliche?”) ossia costa molto più, in proporzione alla Statale, di quanto costi Harvard rispetto alla università statale americana!
Entrando nelle cifre, anche qui la Hack (su temi forse non a Lei congeniali) non mostra uno spirito critico particolarmente profondo, se dice che la riforma Berlinguer del 3+2 della fine degli anni 90, ha “certamente avuto un effetto positivo” nel senso, per esempio, che nello stesso anno 2003, mentre con il vecchio ordinamento si laureavano “in corso” meno del 5% degli studenti, con il nuovo ordinamento si sono laureati il 44.1%!!! Un salto in un solo botto di 10 volte, da far rabbrividire qualsiasi ottimistica previsione di miglioramento…. Ma non era l’università non più riformabile? Questo sembrerebbe un risultato istantaneo di proporzioni gigantesche! Se lo confrontiamo con le medie di cui parlo nel mio altro articolo, ossia con una media nazionale del voto di laurea saltata dal già troppo alto 103, a ben 108.7 (con la lode assegnata ad oltre il 30% dei laureati in media, e con punte di proporzioni incredibili in alcune università), c'e' da perdere ogni speranza, per noi che entriamo...
Intanto una difficoltà nasce quando si opera per il DIPLOMA SUPPLEMENT, ossia per integrarsi in Europa. Secondo le linee guida (http://www.miur.it/UserFiles/2216.pdf)
2. Punto 4.4
La distribuzione statistica dei voti degli esami di profitto deve essere calcolata per Corso di Studio e per un intervallo di anni solari corrispondenti alla durata normale del corso (distribuzione calcolata annualmente a scorrimento), secondo lo schema ECTS che prevede la suddivisione dei voti per percentuali prefissate.
· voto A: contiene circa il 10% dei voti a partire da quelli più alti,
· voto B: contiene il successivo 25% circa dei voti,
· voto C: contiene il successivo 30% circa dei voti,
· voto D: contiene il successivo 25% circa dei voti,
· voto E: contiene il rimanente 10% circa dei voti
Le percentuali devono essere arrotondate in modo da ottenere numeri interi. Per far sì che la somma delle percentuali sia uguale a 100, la percentuale più alta va calcolata per differenza togliendo al valore 100 la somma delle altre percentuali arrotondate.
Ma come si fa se il i voti piu' alti sono ben oltre il 10%?? Non si riesce a rispettare le regole pensate in Europa, e noi abbiamo la lode che coincide con le categorie A, B, C del Diploma Supplement!!! Il che' in effetti chiarisce che da noi la lode vale quanto mediamente un B in Europa.
Gli americani, che usando metodi di misura abbastanza oggettivi e statistici più sensibili, con feedback immediato, hanno a volte notato questi cambiamenti cosi’ repentini, e li hanno subito inquadrati come fasulli, e corretti con misure drastiche. Per esempio basta leggere Wikipedia (http://en.wikipedia.org/wiki/Grade_inflation) per trovare “Grade inflation is the increase over time of academic grades, faster than any real increase in standards. It is frequently discussed in relation to U.S. education, and to GCSEs and A levels in England and Wales. Grade inflation is an issue in Canada as well.”, e il caso di Princeton che prese posizione nel 2004 pubblicamente contro la propria politica di eccessiva larga manica:
In recent years, Princeton University had earned itself a reputation for awarding some of the highest average marks among the top American universities. In an attempt to combat this grade inflation and reverse this reputation, Princeton began in the fall of 2004 to employ guidelines for grading distributions across departments. Under the new guidelines, departments have been encouraged to re-evaluate and clarify their grading policies. The administration suggests that, averaged over the course of several years in an individual department, A-range grades should constitute 35% of grades in classroom work, and 55% of grades in independent work such as Senior Theses. To date, the administration has not taken steps to strictly enforce these guidelines, instead opting to rely on departments to apply them. Since the policy's inception, A-range grades have declined significantly in Humanities departments, while remaining nearly constant in the Natural Science departments, which were typically at or near the 35% guideline already.
I risultati si sono subito visti:
In 2009, it was confirmed that the policy implemented in 2004 had brought undergraduate grades under control. In 2008-09, A grades (A+, A, A-) accounted for 39.7 percent of grades in undergraduate courses across the University, the first time that A grades have fallen below 40 percent since the policy was approved. The results were a marked improvement from 2002–03, when A's accounted for a high of 47.9 percent of all grades.[9]
Come mai da noi si rimane ancorati alle retoriche degli anni ’50, e non si misura niente di tutto questo, e non si prendono mai provvedimenti? Da noi le commissioni di esame sono del tutto arbitrarie, non ci sono registri, non ci sono statistiche, e dei 60mila docenti, ognuno fa quello che vuole, sperando si richiami ai principi nobili della Costituzione e di Calamandrei. Troppo poco, Dott.ssa Hack, troppo ingenuo!
Il libro si conclude con un esame del “Manifesto di Universitas Futura”, e le proposte della Commissione Lincea, che ripetono lo spirito nobile e le idee vaghe di valutazione, magari con “agenzie”. Come se le Agenzie di valutazione, osteggiate per anni da tutti, avessero mai scoperto niente che non fosse noto già da tempo e gratis con rilevazioni straniere. Si veda il mio articolo “Lettera a ISSNAF -- associazione di scienziati italiani in Nord America”, in cui segnalo l’ottimo lavoro di Mauro degli Esposti, e della sua VIA-Academy, associazione di scienziati Italiani in UK, che ha scoperto che CIVR, dopo tanti sforzi, ha trovato risultati tutto sommato già noti nelle classifiche fatte da istituti stranieri, mentre le “classifiche Gelmini delle Università Virtuose”, con parametri innovativi, sono del tutto scorrelate con qualsiasi rilevazione di altro tipo, mostrando una completa arbitrarietà.
Nelle “alcune mie proposte per una riforma dell’università”, la Hack non fa che ripetere, per l’ennesima volta, lo spirito della retorica “valutazione”, stavolta allargata ai singoli docenti, ai singoli dipartimenti, un colossale esercizio che, fatto con il solito spirito, si conosce già nel risultato: una montagna che partorisce un topolino! Con la solita richiesta di maggiori finanziamenti, perché “senza lilleri non si lallera”, e le indicazioni generiche di fermare le proliferazioni, i nepotismi, etc. etc. un disco rotto!
In definitiva, un bel libro come lettura veloce, che ricostruisce qualcosa di buono che c’era nella vecchia università, ma che paradossalmente aiuta a cogliere tra le righe il vero motivo dell'attuale collasso, senza purtroppo arrivare a concepire nulla di concreto per arginarlo.
Uno spunto per farlo: prendersi i finanziamenti con politiche aggressive sul campo, senza aspettare che il governo li aumenti, facendo politiche di marketing aggressive ma da parte delle Università pubbliche, anche qui seguendo l'esempio davvero "virtuoso" anche se tutto da costruire con fatica, ricostruendo le carriere dei migliori studenti, per seguirli e sollecitare loro le donazioni, come nel vero percorso virtuoso americano.
Ma su questo tornerò nella versione completa del mio Manuale del Rettore Virtuoso.
Direi che la Hack ci aiuta involontariamente a capire perché l’Università è collassata in questo modo: troppa ispirazione a principi nobili, nessun controllo!
Prof. Ing. Michele CIAVARELLA
Politecnico di BARI
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