In questo breve articolo, cercherò di delineare cosa dovrebbe fare, alla luce di dati oggettivi e un approccio scientifico e solo “eticamente” sleale, cui forse si vedrà costretto a ricorrere, un Rettore di una Università italiana, per seguire alla lettera la “competizione” lanciata dai parametri indicati dalle normative in vigore per le Università “Virtuose”. La saggezza popolare dice che, a volte, “il meglio è nemico del bene”.
I processi di riforma in "senso europeo" dell’Università cominciati dieci anni fa (il processo “Bologna”), con l’intento di “allineare” i nostri laureati ai parametri medi europei, ridurre il ritardo nell’età media alla laurea e la bassa percentuale dei laureati (circa la metà della media dei paesi OECD), partorirono la Riforma “3+2” DM 509 del 1999 (Laurea Breve più Laurea Specialistica). I risultati, a fronte di molto dispendio di energie, sono modesti: i laureati che completano il ciclo di cinque anni, ossia il 60% dei laureati triennali, sono aumentati solo del 20% .
La proliferazione in teoria positiva dei corsi di laurea (ormai oltre 5000), e delle piccole sedi periferiche, attuata per carpire la domanda di chi vuole stare “sotto casa”, e quindi con lo scopo preciso di aumentare il numero di studenti, è stata considerata eccessiva e la Legge 270 del 2004 ha cercato correzioni. Queste ultime già 5 anni dopo sono giudicate insufficienti da un governo dello stesso colore, e attualmente la “Legge 271” è allo studio. Essa fa tremare molti per la minaccia di parametri strettissimi, e situazioni paradossali, tipo Facoltà senza corsi di laurea ma con Docenti che non possono essere nè spostati nè licenziati. Questo forse spiega l’indecisione nel promulgarla. La saggezza popolare, di nuovo, consiglierebbe di “prendere il toro per le corna”.
Intanto, aver inseguito il “numero” di studenti, e non la loro qualità, a me sembra aver creato un problema ben maggiore della proliferazione dei corsi di laurea e delle sedi, di cui però nessuno parla. Una laurea con lode per tutti? Ma la mia impressione è, purtroppo, supportata dai dati: il voto di laurea medio, già altissimo dieci anni fa (103 su 110), oggi raggiunge valori prossimi al massimo nelle lauree specialistiche (108,7 su 110!). Un voto di laurea “svenduto”, e giustifica la sensazione diffusa che “una “lode” non si nega a nessuno”, un “todos caballeros” di Carloquintiana memoria. In Inghilterra, viceversa, dove il valore legale non ha senso, solo l’11% dei candidati conquista il voto massimo “First”, e rarissimamente si inserisce un “Starred First” (Cambridge, York) o “Congratulatory First” (Oxford) .
Mi è venuto quindi spontaneo un dubbio, e cioè che le nuove norme “meritocratiche” del “Pacchetto Università” varato nel Luglio 2009, con la classifica delle Università “virtuose”, non finiranno con generare altri effetti collaterali, incentivando la svendita delle lauree, degli esami, e dei voti, senza curare la malattia. Con il risultato di rendere la vita molto più difficile a chi studia seriamente e intende distinguersi, nonchè l’alimentazione o persino la creazione di un mercato del lavoro ultra-flessibile ma dequalificato. Tutto questo, magari in buona fede del Ministro, e per mancanza di opportune contromisure e retroazioni. E allora ho tentato di studiare con metodo scientifico, da Ingegnere, i dati sui laureati, e sul mercato del lavoro, incrociando alcuni in modo a me pare originale.
Nel mix di parametri usati dal Ministero per compilare la recente classifica delle università “virtuose”, relativamente alla “qualità della didattica” (che pesano per 1/3) troviamo:-
1) quasi la metà (il 40%) dipende della quantità degli studenti (non ho capito se numero assoluto o percentuale) che si iscrivono al secondo avendo fatto almeno i 2/3 degli esami del primo anno. Questo “per premiare le Università che curano la didattica e in generale gli atenei che limitano la dispersione”. Ma non ci vorrebbe molto a regalare tutti gli esami del primo anno, andando al massimo del punteggio! In che pericolo si incorre? Chi punisce i docenti che facessero così? Un Rettore “sleale” suggerirebbe di farlo, magari senza fare troppo rumore, docente per docente.
Riguardo ai rimanenti tre parametri che pesano ciascuno per un 20%:
2) la “percentuale dei laureati che trovano lavoro a 3 anni dal conseguimento della laurea”. Ma lavoro di che tipo? Oggi abbiamo visto che con i tipi di contratto “flessibili”, il mercato può proporre lavoro da inserire ai minimi livelli (si pensi ai “call center”). Sotto gli 800 euro mensili (calcoli Ires) c'è il 28,2 per cento dei laureati (mentre solo il 14 per cento dei licenziati elementari, e il 14,1 dei diplomati), e nei paesi Ocse siamo quello che paga meno i laureati tra i 30 e i 40 anni --- chiare tendenze verso il paese sottosviluppato in cui conviene cominciare a lavorare presto piuttosto che studiare. Il “pezzo di carta” costa forse meno che in altri paesi ma è comunque un errore in termini di tempo e denaro, in media. La percentuale di “lavoratori-studenti” su scala nazionale invece è in costante rialzo, ormai al 10% del totale studenti. Un ottimo bacino per il Rettore “virtuoso” che riuscirà ad accaparrarsi lavoratori-studenti in massa, attuando agevolazioni sleali a chi non frequenta regolarmente, magari sfruttando le risorse telematiche in modo pretestuoso.
3) “per il 20% delle Università che tengono corsi con i propri insegnanti di ruolo e che limitano il ricorso a contratti e docenti esterni”. In questo modo “si vuole limitare la pratica non virtuosa della proliferazione di corsi ed insegnamenti non necessari e affidati a personale non di ruolo”; ma chi ha creato questa proliferazione, se non l’idea iniziale di attrarre più studenti possibili? Si è certo accentuata la italica tendenza a studiare “sotto casa” (51,3% nel 2008 invece che 46,4% nel 2001), particolarmente fra i laureati di primo livello, meno nelle lauree specialistiche, dove gli studenti forse sentono la necessità di muoversi. Occorrerà forse tagliare, ma si creerà una gran confusione. Il Rettore “virtuoso” che non vuole scontentare nessuno applicherà i migliori geni italici a trovare delle soluzioni per aggirare il problema (“confederazioni” tra Atenei, corsi “inter-universitari”) con risultati ad oggi non prevedibili ma probabilmente vicini alla regola commutativa dell’algebra: cambiando l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia! Non potendolo risolvere data l’assenza di veri strumenti decisionali: spostare i docenti da una Sede all’altra, o licenziare, che spetterebbero ad una Riforma di colossali dimensioni, e sarebbe considerato ingiusto, anche se all’estero succede. Paradossalmente, si tornerà di nuovo alla malattia di partenza in quanto a numero di studenti con buona pace del Bologna process, e lasciando sul campo solo gli effetti collaterali, e tanta fatica inutile. Il Rettore “Virtuoso” non potrà convincere rapidamente grandi quantità di studenti a trasferirsi fuori sede, e viceversa cercherà di far percepire che la laurea si può ottenere senza frequentare e senza sforzo. Pagare docenti esterni di prestigio magari dal mondo del lavoro, il primo intento nel sistema sano, con i deficit in bilancio, va invece considerato non virtuoso, e da evitare come la peste.
4) per il 20% delle Università che danno la possibilità agli studenti di valutare attraverso un questionario la qualità della didattica e la soddisfazione per i corsi di laurea frequentati. Ma quanti studenti non sarebbero ben contenti di avere regalati voti ed esami? Se il Rettore convince i docenti a “regalare” gli esami, anche questo parametro sarà altissimo. Con una convenienza anche in termini di fatica a insegnare e studiare. Se nel frattempo il Ministro opporrà l’uso del badge per “controllare” i Professori nella loro attività, allora il Rettore dirà che è “Virtuoso” timbrare il cartellino, e poi andare a prendersi i vari caffè. Ecco come l’Università Italiana, la più antica del mondo, con talenti che nonostante tutto nel loro complesso riescono ancora a collocarci all’ottava posizione per produzione di documenti scientifici di qualità al mondo , si potrà ridurre ad un ufficio di zombie ambulanti.
Per quanto riguarda infine i parametri legati alla qualità della ricerca (che pesano per i 2/3), un Rettore, nemmeno quello “virtuoso”, può fare granchè nell’immediato, visto che le prospettive di assumere docenti nuovi validi o di trasferirne alcuni sono modeste, e vanno in contrasto con tantissime altre richieste, e con la mancanza di fondi: la più virtuosa delle Università di quest’anno, Trento, ottiene 6 milioni in più, briciole. Un Rettore “Virtuoso” non perderebbe troppo tempo. Risultato: rischiamo di tornare indietro a dieci anni fa come numero di studenti, saranno tutti 110 e Lode, il mercato proporrà solo lavori quasi gratuiti a tutti, i professori riscalderanno la sedia (anche perchè mancherà il riscaldamento) o porteranno altri lavori da casa, e tutti i parametri “meritocratici” saranno altissimi. Uno scenario realistico, già visto nei paesi dell’Est dopo il crollo. L’elefante delle grandi riforme meritocratiche ha partorito il topolino, ma questo è nato malato, e ha pure contagiato tutti gli altri topolini, sterminandoli.
Nel “Manuale esteso”, mi cimento nella più difficile pars construens del discorso, facendo possibili proposte.
Caro Michele,
RispondiEliminaVorrei aggiungere qualche considerazione generale:
1) la qualita` degli atenei si dovrebbe misurare rispetto alla ricerca (molto piu` facile da quantificare che non la didattica, per le ragioni che spieghi tu), usando dei parametri oggettivi e ben accettati dalla comunita` scientifica, come publicazioni su peer-reviewed journals, conferences, citation index, h-index, e fondi ottenuti da enti nazionali ed europei (in USA si guarda ai fondi federali, come NSF, DARPA, DOD, NIH etc ...), brevetti, transfer tecnologico universita` -- industria e via dicendo .. tutte cose che, a dispetto di quanto ogni tanto si sente dire (da chi ha paura di essere valutato), sono facilmente misurabili in modo oggettivo e quantitativo.
2) La qualita` della didattica si dovrebbe per prima cosa misurare sul ``terzo ciclo'', cioe` i dottorati di ricerca. In particolare, numero delle tesi, delle borse di stutio di dottorato, e di dottorati che ottengono posizioni accademiche non nella loro sede. Per esempio, negli USA e' quasi impensabile che uno che finisce il dottorato (per esempio) al MIT, diventi assistant professor al MIT. Normalmente, se e' bravo, diventa assistant professor da qualche altra parte, a Berkeley o a UCLA o chissa` dove, e poi magari torna al MIT verso la meta` della carriera, da associate professor (con tenure), oppure non ci torna per nulla. La capacita` di un dipartimento/facolta` o via dicendo di ``produrre'' PhDs che possono competere al massimo livello per posizioni accademiche e' un indice primario della qualita` della didattica per il terzo ciclo. Ovviamente, questo funziona se si riesce ad evitare i clientelismi e i concorsi truccati ... percio` bisogna premiare la ricerca (misurabile): se un rettore, o direttore di dipartimento si porta troppi scalzacani dentro ... non produrra` nulla e uccidera` (zero fondi, bassa reputazione) il suo stesso dipartimento o facolta`.
3) Per quanto riguarda le lauree a livello ``BS r MS'' (primo e secondo livello), bisognerebbe introdurre misure quantitative della qualita`: per esempio, negli USA ci sono degli esami standardizzati come il GRE, il GMAT, USMLE etc ... per applicare per la graduate school, MBA e Medical School residency programs. Questi esami sono estremamente capillari, a risposte multiple, su materie di base. Basterebbe introdurre delle valutazioni simili, da amministrare on-line, gestite da un ente indipendente (per esempio dal ministero) in modo da misurare l' apprendimento di materie di base degli studenti dopo il primo anno e forse anche dopo il secondo. Visto che siamo ingegneri ... uso un po di matematica: facendo il prodotto del numero di studenti ammessi al secondo anno per il loro punteggio, con opportune normalizzazioni per tenere in conto la dimensione del corso di laurea, si arriva ad una misura non solo di ``quanti passano'' ma del ``throughput'' di apprendimento dopo il primo anno. A questo punto, regalare 30 e lode non serve piu`: se gli studenti non imparano, e meglio tenerli indietro se no abbassano il punteggio.
Giuseppe Caire
Professor of Electrical Engineering
University of Southern California
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminamichele,
RispondiEliminapremettendo che condivido la tua analisi ti suggerirei però di ricercare le vere cause che hanno portato a questo pantano universitario, culturale e sociale nel DNA della società italiana che a mio avviso, per come è strutturata (siamo in mano ad un branco di caproni incapaci, politicanti e baronetti e soprattutto gente che non conosce neanche lontanamente cosa significhi sudare sia nel lavoro che nello studio!) non consente nessuna forma di valutazione oggettiva e premiazione della meritocrazia al di là di ogni riforma.
Le riforme giuste o sbagliate che siano rappresentano comunque una sperimentazione ma ti assicuro che in questo contesto l'esito è sempre lo stesso!
Per intenderci è come se ci trovassimo di fronte ad un sistema (la società) in cui anche se ci sono variazioni sugli input (le riforme) lui modifica la sua risposta impulsiva al fine di tenere costante l'output, insomma la classica cosa all'italiana come giustamente dici tu nel titolo!
Infine ti dico che se un giorno dovessi dire a mio figlio cosa fare dopo il diploma non esiterei a leggergli le parole scritte nella lettera che segue e sperare di avere soldi a sufficienza per supportarlo:
http://www.repubblica.it/2009/11/sezioni/scuola_e_universita/servizi/celli-lettera/celli-lettera/celli-lettera.html
Ti saluto
a presto
fpp
Ricevo dal Rettore Giovanni Cannata e con Suo permesso, pubblico volentieri.
RispondiEliminaCaro Ciavarella,
ho letto l’articolo e condivido la necessità di una discussione non omologante e banalmente acquiescente.
Ho affrontato alcune delle questioni in occasione dell’Inaugurazione dell’Anno Accademico e nel mio discorso ne troverai traccia.
Purtroppo siamo in una stagione di banale conformismo ma va anche detto che molti nostri colleghi professori danno il meglio di se stessi per fare schifezze che determinano un generico e qualunquistico urgente e reclamato (oltre che reclamizzato!) bisogno di riforme.
Ragionare, discutere, confrontarsi.
Mah! Parole di altri tempi.
Buon anno
Giovanni Cannata
Cordiali saluti
Segreteria Rettorato
Università degli Studi del Molise
ricevo dal Rettore del Politecnico di BARI Nicola Costantino e volentieri pubblico:
RispondiEliminaCaro Michele,
il tuo manuale, al di là del tono scherzoso, è un documento sul quale bisognerebbe riflettere con attenzione. Sempre più le modalità di erogazione dei finanziamenti alle università pubbliche stanno diventando strumenti di condizionamento delle relative strategie. In gioco ci sono partite importantissime, quali il valore legale del titolo di studio, la sopravvivenza dell'università pubblica, il diritto allo studio.
Nicola Costantino
dal blog del rettore di Foggia Prof.Giuliano Volpe
RispondiEliminahttp://www.rettore.unifg.it/dblog/articolo.asp?articolo=177
"Il Manuale del Rettore Virtuoso": il blog del prof. Michele Ciavarella
Di Giuliano Volpe (del 24/01/2010 @ 10:34:15, in Blog, letto 22 volte)
Il collega del Politecnico di Bari Michele Ciavarella ha dato vita ad un blog http://rettorevirtuoso.blogspot.com/ , che invito a visitare, nel quale rende noti i risultati di una sua analisi e anticipa, in breve, il testo di un "Manuale del Rettore virtuoso" che sta per dare alle stampe. L'analisi prende in esame i parametri ustilizzati lo scorso anno dal MiUR per stilare la ben nota graduatoria e per distribuire in "maniera meritocratica" parte del FFO. Poiché si è aperto un dibattito sui parametri utilizzati (la Regione Puglia e le università pugliesi hanno costituito un gruppo di lavoro, al quale partecipa per Unifg il Prorettore Andrea Di Liddo) e si prevede che anche per il 2010 si effettuerà l'attribuzione di una quota del FFO sulla base di criteri che, per fortuna, non dovrebbero coincidere con quelli utilizzati lo scorso anno, è auspicabile che si apra un ampio confronto e che si elaborino proposte concrete.
Il prof. Ciavarella mette in evidenza i rischi di una "meritocrazia all'italiana", che potrebbe indurre a comportamenti assai poco virtuosi (esami e voti facili, attenzione alla quantità più che alla qualità, ecc.) pur di ottenere i finanziamenti. Inoltre è evidente che l'uso di parametri che non tengano conto degli specifici contesti territoriali, sociali ed economici nei quali ogni Ateneo opera e dei progetti, degli obiettivi e dei risultati raggiunti da ciascuna Università, e, soprattutto, l'uso non di risorse aggiuntive per premiare i migliori ma la pratica del taglio di risorse, già sottodimensionate, spostate da Atenei 'poveri' ad Atenei 'ricchi', possano mandare in crisi l'intero sistema universitario italiano, ed in particolare quello meridionale.
Riporto di seguito il testo del prof. Ciavarella, tratto dalla prima pagina del suo blog, invitando i componenti della nostra comunità accademica a partecipare anche al sondaggio da lui proposto.