Dalla mia analisi originale del primo articolo su questo blog, ho individuato nella categoria degli studenti-lavoratori, l'unica categoria davvero in boom nell'università italiana. Non e' un caso, dato che abbiamo solo l'11% di lavoratori laureati, quindi un totale di 18 milioni non lo sono. Un ottimo "mercato", su cui sinora timidi sono stati i tentativi da parte delle Università Pubbliche di operare.
Eccezioni sono le università che hanno sapientemente saputo sfruttare la possibilità introdotta nel DM509 [http://almalaurea.it/universita/profilo/profilo2008/premessa/pdf-file/sezione15.pdf] e pare voluta da Zich allora Rettore di PoliTO, del tempo "non pieno", ossia in cui uno si iscrive dichiarando quanti esami vuole fare via via allungando la laurea se vuole. Cosi' spariscono i fuori corso!
Gli immatricolati "in ritardo" ossia chi si iscrive dopo una breve esperienza di lavoro di 2 o piu' anni, sono intorno al 20%, circa i due terzi degli immatricolati all’università con un ampio ritardo sono lavoratori-studenti (Graf. 15.4). Paradossalmente, è interessante osservare, in questa sede, che quasi il 50 per cento degli studenti adulti ritiene di avere concluso un percorso di studi decisamente sostenibile, mentre fra gli iscritti in età regolare tale percentuale è inferiore al 30 per cento (Graf. 15.6). Ossia i lavoratori studenti, nonostante il carico di lavoro piu' pesante, sono meno lamentosi!
Da notare [http://almalaurea.it/universita/profilo/profilo2008/premessa/pdf-file/premessa.pdf] che la percentuale di lavoratori studenti è enormemente aumentata, e viaggia intorno al 10% (ossia 180mila studenti), mentre la percentuale di studenti "non a tempo pieno" è oggi su 41000 studenti il chè vuole dire che solo uno studente-lavoratore su 4 usufruisce della iscrizione "non a tempo pieno". Sicuramente la resistenza delle università a implementare questo sistema, non favorisce il pieno sviluppo. Con iscritti non tempo pieno, spiccano
PoliTO - 5914 su totale di 24554 ossia 24%!
UniTO - 6955 su totale di 64884 ossia 10%!
Salerno - 3924 su totale di 39003 ossia 10%!
PoliMI - 10108 su totale di 36232 ossia 10%!
Macerata 2400 su totale di 11898 ossia 20%!
genova 1552 su totale di 35111 ossia 4%!
Cagliari 1757 su totale di 34293 ossia 5%!
PoliBA ---- un vergognoso 9!
Occorrerebbe vedere le serie storiche, per vedere chi si e' mosso prima, ma certo PoliTO (da cui l'idea era nata da Zich) si vede che e' avanti, e Poliba si vede che e' a zero!
Riguardo alla ovvia possibilità che gli studenti lavoratori vadano presso università telematiche, ci sono sorprese. Il totale degli studenti delle telematiche è oggi 17328, ossia 1% degli studenti totali, e 10% dei 180mila studenti lavoratori.
Dal momento che per ora gli studenti lavoratori preferiscono le università tradizionali, ma con corsi a iscrizione "non piena" (tuttavia, la frequenza è normalmente in classe), ci sono enormi margini di crescita delle università telematiche e infatti, mentre le principali università hanno numero di iscritti piu' o meno stabile
univ anno 2000 anno 2008 increm. %
PoliMI 38864 34331 -10%
PoliTO 22145 24106 +10%
Bocconi 12276 12634 stab
PoliBA 10624 11274 +7%
Nettuno pochi 2171 +inf (con raddoppio solo l'anno scorso!)
Credo che Nettuno, messo in rete con altri atenei in forma opportuna, potrebbe avere un boom dalle proporzioni inusitate, se calcoliamo la classe lavoratrice italiana NON laureata di 18milioni di individui. Anche solo prendendo un 10%, ossia 1.8 mil, avremmo raddoppiato il numero di studenti, e siccome Nettuno costa ca.2000 Eu all'anno, parliamo di 3.5 Miliardi di Euro, di che infischiarsene dei tagli della Gelmini!
Il Rettore poliTO, che è Virtuoso, ha notato questo mercato enorme, e mentre noi stiamo a perdere tempo a lamentarci con la Gelmini, ha lanciato in COLLABORAZIONE con UNINETTUTO
http://corsiadistanza.polito.it/presentazione/index.php
Presentazione a.a. 2009/2010
I Corsi di Laurea a Distanza
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I Corsi di Laurea a Distanza in Ingegneria costituiscono una valida e ormai consolidata alternativa ai corsi di laurea tradizionali. Pensati con la finalità di rispondere alle esigenze degli studenti lavoratori, dei residenti in località prive di sedi universitarie, dei disabili e di tutti coloro che intendono affrontare un corso di studi universitario gestendo in modo autonomo e flessibile il proprio percorso formativo, i Corsi di Laurea a Distanza riscontrano oggi un crescente interesse anche da parte di tutti coloro che desiderano riprendere gli studi universitari, nonché di coloro che necessitano di riqualificazione professionale o di educazione permanente. Il bacino di utenza attualmente copre l'intero ambito nazionale, ed in taluni casi lo supera.
Il modello didattico, consolidato da più di quindici anni di esperienza, prevede la totale assenza di obblighi di presenza in sede (se non per gli esami), l'espletamento di tutte le pratiche burocratiche a distanza, l'uso massiccio delle nuove tecnologie per la diffusione dell'informazione e del materiale didattico, la possibilità di calibrare autonomamente il carico didattico annuale, un supporto costante e personalizzato da parte dei tutori delle varie discipline.
L'offerta formativa ricopre numerosi ambiti dell'ingegneria; per l'anno accademico 2009/2010 sono attivati i Corsi di Laurea in:
Ingegneria Civile
Ingegneria Elettrica
Ingegneria Elettronica
Ingegneria Informatica
Ingegneria Logistica e della Produzione
Ingegneria Meccanica
Ingegneria delle Telecomunicazioni
I corsi hanno la durata di tre anni accademici; al termine del percorso formativo si consegue il titolo di "Dottore in Ingegneria".
I corsi sono attivati presso la sede di Torino (Ingegneria Informatica, delle Telecomunicazioni, Elettronica, Civile, Meccanica, Elettrica, Logistica e della Produzione). Per il corso di Ingegneria Informatica è possibile fruire dei servizi offerti dal Centro di Ascolto di Scano di Montiferro. Per i corsi di Ingegneria Elettrica e Meccanica è infine possibile usufruire dei servizi offerti dal Centro di Servizi di Verona.
Non conosco i dati degli iscritti a questo corso, ma non siamo molto lontani dalla terza Revolucion Educativa di Castro, che tramite un'introduzione massiccia di televisori e computers in ogni piccolo villaggio di Cuba, conta di avere un maestro per ogni 15 alunni. Cuba ha 11 milioni di abitanti, di cui 2.7 studenti (25%), 300.000 "educadores" o "profesores"; esistono 13.543 centri di istruzione, e la spesa nell'istruzione è nel 2005 al 20% del PIL. A seguito della crisi degli anni '90, si era raggiunto una demoralizzazione nella scuola
"Lo que estamos viviendo hoy es la tercera revolución educativa", asegura Néstor Ruiz, director de la Televisión Educativa, adscrita al Ministerio de Educación. La primera se dio en los inicios de los setenta, con la campaña de alfabetización. La segunda, en plenos setenta, consistió en la formación masiva de maestros de secundaria. Y esta tercera "se basa en la introducción masiva de medios audiovisuales en la enseñanza", asegura Ruiz.
Sono stati distribuiti 109.117 tv con 40.858 videoregistratori, esiste dal 2002 un "Canal Educativo" che trasmette dalle 8 della mattina alle 5 del pomeriggio. Sono stati formati piu' di 40.000 "profesores generales integrales", che insegnano appoggiandosi alla "teleclases elaboradas por la Televisión Educativa". C'e' anche un secondo canale di trasmissioni culturali.
Anche la "universalización de la educación superior": sembrerebbe che 380.000 sonno studenti universitari, raddoppiando il numero dell'anno prima.
Naturalmente a Cuba come per le Telematiche italiane, ci sono dubbi sulla qualità (che non è tuttavia necessariamente garantita dalle non-telematiche), e convegni di studio sul tema.
Che la micro-parcellizzazione delle sedi italiane non fosse solo un passo timido verso il modello telematico e cubano? Perche' allora tornare indietro se questo andava semmai di molto potenziato e reso piu' efficiente con i sistemi informatici?
Cordiali Saluti, MC
Fonti:
http://www.miur.it
http://www.educacionenvalores.org/Revolucion-en-la-aulas-de-Cuba.html
http://www.escolares.com.ar/profesionales/cuba.-la-tercera-revolucion-educacional.html
http://www.rimed.cu/
http://www.portalesmedicos.com/publicaciones/articles/777/1/Las-microuniversidades-en-la-formacion-de-profesionales-de-Enfermeria-Retos-y-perspectivas.html
"In our time it is broadly true that political writing is bad writing. Where it is not true, it will generally be found that the writer is some kind of rebel, expressing his private opinions and not a "party line." Orthodoxy, of whatever color, seems to demand a lifeless, imitative style." George Orwell, "Politics and the English Language," 1946
sabato 30 gennaio 2010
mercoledì 27 gennaio 2010
Recensione molto critica di "Margherita Hack, Libera scienza in Libero Stato", Rizzoli, 2010.
Il nuovo volumetto di Margherita Hack è una lettura scorrevole, che non prende più di un paio di orette. Fa una grande panoramica, dalla Costituzione italiana e ai principi ispiratori della Scuola pubblica del dopoguerra, attraverso un molto noto e citato discorso di Piero Calamandrei del 11/2/1950 al III Congresso dell’associazione a difesa della scuola nazionale, riportato quasi integralmente [occupa le pagine da 9 a 24, di un libro di appena 139 pagine, che lo colloca quindi piuttosto come un libro di storia, che di attualità!].
A partire dall’art.34 della Costituzione, che sancisce “La scuola è aperta a tutti. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Dove quindi sembrerebbero chiari i concetti di meritocrazia, che oggi sembrano apparentemente tornati di moda, o meglio sarebbero tornati se si ascoltassero i richiami di farlo in forma più quantitativa, con l’introduzione ormai ritenuta indispensabile, di criteri di misura standard, affidabili, robusti, trasparenti (vedasi Abravanel, Meritocrazia, Garzanti, 2008), e non nel modo retorico e profondamente insensato delle riforme Gelmini in cui merito è la parola più ricorrente, ma.. rimane una parola!).
Tornando a Calamandrei, nell’interpretare l’art.33 della Costituzione “La repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”, egli afferma che “La scuola è aperta a tutti. Lo stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto nell’articolo 33 della Costituzione”. La preoccupazione qui è quella di creare cittadini, non cattolici, né protestanti, non fascisti, né comunisti, collegandosi anche ai concetti di eguaglianza e parità sociale dell’art.3, e dell’art.51 nell’accesso agli uffici pubblici.
Stupisce, rileggendolo dopo 50 anni, da un lato la nobiltà delle intenzioni, dall’altro quanta enfasi viene nella visione che lo Stato possa creare apertura a tutti, con scuole ottime per tutti, di tutti i gradi e tipi, e dovunque, lasciando in secondo piano la questione dei “capaci e meritevoli”, e soprattutto, dimenticando che le risorse non sono infinite, e scelte vanno fatte [oggi, siamo arrivati al redde rationem…]! Inoltre, sembra quasi che la scuola pubblica, solo perché è nata da questa impostazione, sia priva di rischi di creare cittadini “politicizzati”, o di diventare essa stessa non seria, e mal organizzata. Ossia, basta ispirarsi a principi nobili, e voilà, la perfezione è raggiunta! Nemmeno un bambino ci crederebbe. Plauso alla Dr. Hack che conserva la ingenuità del bambino, forse utile nelle sue ricerche nobilissime, meno però nella concreta guerra globale della leadership tecnologica.
Viceversa, allora (come oggi) i rischi si sarebbero annidati nel privato,, dove per evitare il business selvaggio, squalificato, non controllato, occorre, secondo Calamandrei:-
“1) che lo Stato le sorvegli e le controlli e che sia neutrale, imparziale tra esse. Che non favorisca un gruppo di scuole private a danno di altre.
2) che le scuole private corrispondano a certi requisiti minimi di serietà di organizzazione”.
Solo così si avrebbe sana competizione. Non un cenno a come lo Stato controllerebbe se stesso, per evitare gli stessi rischi! E si sa come in effetti lo Stato non si è controllato affatto, con contratti pubblici bloccati, per cui una volta qualcuno è entrato, non ne esce nemmeno se commette reati gravissimi, con condanne in cassazione, e interdizione dai pubblici uffici, visto che poi il Rettore istituisce una commissione per valutare se licenziare il dipendente, e spesso questo affonda tutto nel dimenticatoio… (qualcosa del genere successe con il Prof De Lorenzo all’Università di Napoli, con un ostacolo interposto dalla Corte Costituzionale http://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_De_Lorenzo).
In effetti, più avanti, nel capitolo “luci ed ombre”, la Hack ricorda un suo collega fiorentino che soleva dire che una volta entrato da straordinario, un professore avrebbe avuto la conferma, a meno che “come minimo avesse ammazzato il padre o la madre”, che le università si sono via via trasformate in veri e propri “feudi” se a dirigerli era sempre lo stesso “Barone”. La Hack ammette inoltre, a pag.42, che i fondi per il funzionamento definiti dall’autonomia della Riforma Ruberti del 1990, “dovrebbero attribuirsi secondo la valutazione delle attività di ricerca e didattica”, ma che questo principio “fondamentale, di cui si discute animatamente, finora non è mai stato attuato”… e un primo tentativo lo fa il ministro Gelmini, ma non si sa ancora con quali criteri di giudizio.
Evidentemente, la Hack ha scritto il testo prima del Settembre 2009, quando i primi criteri sono venuti fuori, fissati a posteriori, in modo non trasparente, e solo per una fuga di notizie tramite il giornale online lavoce.info! Si veda noisefromamerika.org con l’articolo di Alessandro Figà Talamanca “Università: una graduatoria di merito?” e ancora “Il Manuale del Rettore “virtuoso” --- I rischi della meritocrazia “all’italiana” nell’Università” del 7/1/2010 del mio blog.
Tornando ancora al discorso di Calamandrei, egli segnala come un partito dominante che volesse creare scuole di partito (qui il riferimento scottante è sempre all’esperienza del fascismo da cui si era appena usciti): “comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private”. “Tutte le cure cominciano ad andare alle scuole private”. Il circuito vizioso sarebbe quindi quello di allentare i controlli sulle scuole private, e addirittura finanziarle con denaro pubblico, “il metodo più pericoloso”. A questo avrebbe pensato la Costituzione nell’art.33, dicendo che le scuole private devono essere “senza onere per lo Stato”, ma viene aggirato tramite l’idea dell’assegno familiare. E qui il metodo sembra echeggiare quanto avviene, con interessi ancora molto maggiori, nel campo della Sanità pubblica e privata.
Insomma, nel privato si annida il rischio della “concorrenza al ribasso”, con una “equipollenza” aggirata di fatto. Insomma, il pericolo è il “disfacimento morale della Scuola”.
La Hack commenta che tutto questo è estremamente attuale, ed sarebbe esattamente quanto sta facendo il Ministro Gelmini con “tagli insopportabili alle scuole di ogni ordine e grado”, per cui “invece di migliorare le Scuole pubbliche, in nome di una presunta libertà di favorire le private che, per attirare più studenti, sono notoriamente di manica larga, e hanno docenti spesso sottopagati e alle prime armi”.
E qui rivolgo la critica alla ingenua Margherita Hack: oltre al pericolo se non alla certezza che avvenga in qualche università privata di bassa lega, tutto questo cataclisma di cui si preoccupava Calamandrei, è avvenuto anche nelle Scuole Pubbliche, perché prive di qualsiasi forma di controllo, se non l’Etica professionale che per fortuna ha mantenuto, finora, livelli decenti!
La Hack invero lo nota, ma non lo collega all’impostazione troppo retorica e teorica di Calamandrei, ma solo come dato di fatto, per es. a pag.44, quando dice che “con l’apertura a tutti i diplomati, molti entrano all’Università anche in mancanza di uno specifico interesse, magari mentre già lavorano o sono in attesa di un impiego: il titolo può sempre tornare utile, si dice, e comunque le tasse non sono proibitive. Poi le regole sono molto più blande: gli esami non si tengono più soltanto a giugno-luglio e settembre-ottobre, le sessioni si sono moltiplicate, spesso basta accordarsi col docente per fare l’esame quando si vuole, ripetendolo più volte in caso di fallimento o di voto non soddisfacente. Così per tanti l’università è diventata un parcheggio in attesa di trovare un lavoro”.
Un’analisi perfetta, ma da quale causa? La Hack non attribuisce a niente di preciso. Io avrei invece preso proprio la responsabilità nell’impostazione di Calamandrei, che la Hack porta paradossalmente come esempio positivo!
Non solo: le riforme Gelmini, io propongo nel mio “Manuale del Rettore Virtuoso”, certo rischiano di rilanciare la corsa alla concorrenza al ribasso delle Scuole Private, ma persino in modo prepotentemente innovativo, di quelle pubbliche, visto che, con i parametri “meritocratici” introdotti, hanno anche esse vantaggio ad aumentare slealmente gli studenti, e devono farlo se non si vuole rischiare il fallimento, o il commissariamento! Si vedano le mie analisi a parte nel mio articolo/post “Il Manuale del Rettore “virtuoso” --- I rischi della meritocrazia “all’italiana” nell’Università” del 7/1/2010 del mio blog.
La Hack invece non tocca la Bocconi, riconoscendo che e' di ottimo livello, ma molto cara. Quindi, una grande scienziata, ma molto molto ingenua. Infatti la realtà è ancora peggiore, secondo me. Alcuni grandi economisti italiani della Bocconi (Perotti, Giavazzi) o di Harvard (Alesina), sostengono che l’università statale sia talmente “malata”, “truccata” e sfinita, che solo la privatizzazione può ripristinare il merito. Siamo al paradosso del paradosso, tenendo conto che in realtà, dati alla mano, l’Università statale italiana è la meno cara di Europa, mentre la privata italiana è troppo cara (si veda mio intervento in “La cura "privatizzazione" -- Non sarà che la Bocconi spreca molto piu' delle Università pubbliche?”) ossia costa molto più, in proporzione alla Statale, di quanto costi Harvard rispetto alla università statale americana!
Entrando nelle cifre, anche qui la Hack (su temi forse non a Lei congeniali) non mostra uno spirito critico particolarmente profondo, se dice che la riforma Berlinguer del 3+2 della fine degli anni 90, ha “certamente avuto un effetto positivo” nel senso, per esempio, che nello stesso anno 2003, mentre con il vecchio ordinamento si laureavano “in corso” meno del 5% degli studenti, con il nuovo ordinamento si sono laureati il 44.1%!!! Un salto in un solo botto di 10 volte, da far rabbrividire qualsiasi ottimistica previsione di miglioramento…. Ma non era l’università non più riformabile? Questo sembrerebbe un risultato istantaneo di proporzioni gigantesche! Se lo confrontiamo con le medie di cui parlo nel mio altro articolo, ossia con una media nazionale del voto di laurea saltata dal già troppo alto 103, a ben 108.7 (con la lode assegnata ad oltre il 30% dei laureati in media, e con punte di proporzioni incredibili in alcune università), c'e' da perdere ogni speranza, per noi che entriamo...
Intanto una difficoltà nasce quando si opera per il DIPLOMA SUPPLEMENT, ossia per integrarsi in Europa. Secondo le linee guida (http://www.miur.it/UserFiles/2216.pdf)
2. Punto 4.4
La distribuzione statistica dei voti degli esami di profitto deve essere calcolata per Corso di Studio e per un intervallo di anni solari corrispondenti alla durata normale del corso (distribuzione calcolata annualmente a scorrimento), secondo lo schema ECTS che prevede la suddivisione dei voti per percentuali prefissate.
· voto A: contiene circa il 10% dei voti a partire da quelli più alti,
· voto B: contiene il successivo 25% circa dei voti,
· voto C: contiene il successivo 30% circa dei voti,
· voto D: contiene il successivo 25% circa dei voti,
· voto E: contiene il rimanente 10% circa dei voti
Le percentuali devono essere arrotondate in modo da ottenere numeri interi. Per far sì che la somma delle percentuali sia uguale a 100, la percentuale più alta va calcolata per differenza togliendo al valore 100 la somma delle altre percentuali arrotondate.
Ma come si fa se il i voti piu' alti sono ben oltre il 10%?? Non si riesce a rispettare le regole pensate in Europa, e noi abbiamo la lode che coincide con le categorie A, B, C del Diploma Supplement!!! Il che' in effetti chiarisce che da noi la lode vale quanto mediamente un B in Europa.
Gli americani, che usando metodi di misura abbastanza oggettivi e statistici più sensibili, con feedback immediato, hanno a volte notato questi cambiamenti cosi’ repentini, e li hanno subito inquadrati come fasulli, e corretti con misure drastiche. Per esempio basta leggere Wikipedia (http://en.wikipedia.org/wiki/Grade_inflation) per trovare “Grade inflation is the increase over time of academic grades, faster than any real increase in standards. It is frequently discussed in relation to U.S. education, and to GCSEs and A levels in England and Wales. Grade inflation is an issue in Canada as well.”, e il caso di Princeton che prese posizione nel 2004 pubblicamente contro la propria politica di eccessiva larga manica:
In recent years, Princeton University had earned itself a reputation for awarding some of the highest average marks among the top American universities. In an attempt to combat this grade inflation and reverse this reputation, Princeton began in the fall of 2004 to employ guidelines for grading distributions across departments. Under the new guidelines, departments have been encouraged to re-evaluate and clarify their grading policies. The administration suggests that, averaged over the course of several years in an individual department, A-range grades should constitute 35% of grades in classroom work, and 55% of grades in independent work such as Senior Theses. To date, the administration has not taken steps to strictly enforce these guidelines, instead opting to rely on departments to apply them. Since the policy's inception, A-range grades have declined significantly in Humanities departments, while remaining nearly constant in the Natural Science departments, which were typically at or near the 35% guideline already.
I risultati si sono subito visti:
In 2009, it was confirmed that the policy implemented in 2004 had brought undergraduate grades under control. In 2008-09, A grades (A+, A, A-) accounted for 39.7 percent of grades in undergraduate courses across the University, the first time that A grades have fallen below 40 percent since the policy was approved. The results were a marked improvement from 2002–03, when A's accounted for a high of 47.9 percent of all grades.[9]
Come mai da noi si rimane ancorati alle retoriche degli anni ’50, e non si misura niente di tutto questo, e non si prendono mai provvedimenti? Da noi le commissioni di esame sono del tutto arbitrarie, non ci sono registri, non ci sono statistiche, e dei 60mila docenti, ognuno fa quello che vuole, sperando si richiami ai principi nobili della Costituzione e di Calamandrei. Troppo poco, Dott.ssa Hack, troppo ingenuo!
Il libro si conclude con un esame del “Manifesto di Universitas Futura”, e le proposte della Commissione Lincea, che ripetono lo spirito nobile e le idee vaghe di valutazione, magari con “agenzie”. Come se le Agenzie di valutazione, osteggiate per anni da tutti, avessero mai scoperto niente che non fosse noto già da tempo e gratis con rilevazioni straniere. Si veda il mio articolo “Lettera a ISSNAF -- associazione di scienziati italiani in Nord America”, in cui segnalo l’ottimo lavoro di Mauro degli Esposti, e della sua VIA-Academy, associazione di scienziati Italiani in UK, che ha scoperto che CIVR, dopo tanti sforzi, ha trovato risultati tutto sommato già noti nelle classifiche fatte da istituti stranieri, mentre le “classifiche Gelmini delle Università Virtuose”, con parametri innovativi, sono del tutto scorrelate con qualsiasi rilevazione di altro tipo, mostrando una completa arbitrarietà.
Nelle “alcune mie proposte per una riforma dell’università”, la Hack non fa che ripetere, per l’ennesima volta, lo spirito della retorica “valutazione”, stavolta allargata ai singoli docenti, ai singoli dipartimenti, un colossale esercizio che, fatto con il solito spirito, si conosce già nel risultato: una montagna che partorisce un topolino! Con la solita richiesta di maggiori finanziamenti, perché “senza lilleri non si lallera”, e le indicazioni generiche di fermare le proliferazioni, i nepotismi, etc. etc. un disco rotto!
In definitiva, un bel libro come lettura veloce, che ricostruisce qualcosa di buono che c’era nella vecchia università, ma che paradossalmente aiuta a cogliere tra le righe il vero motivo dell'attuale collasso, senza purtroppo arrivare a concepire nulla di concreto per arginarlo.
Uno spunto per farlo: prendersi i finanziamenti con politiche aggressive sul campo, senza aspettare che il governo li aumenti, facendo politiche di marketing aggressive ma da parte delle Università pubbliche, anche qui seguendo l'esempio davvero "virtuoso" anche se tutto da costruire con fatica, ricostruendo le carriere dei migliori studenti, per seguirli e sollecitare loro le donazioni, come nel vero percorso virtuoso americano.
Ma su questo tornerò nella versione completa del mio Manuale del Rettore Virtuoso.
Direi che la Hack ci aiuta involontariamente a capire perché l’Università è collassata in questo modo: troppa ispirazione a principi nobili, nessun controllo!
Prof. Ing. Michele CIAVARELLA
Politecnico di BARI
A partire dall’art.34 della Costituzione, che sancisce “La scuola è aperta a tutti. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Dove quindi sembrerebbero chiari i concetti di meritocrazia, che oggi sembrano apparentemente tornati di moda, o meglio sarebbero tornati se si ascoltassero i richiami di farlo in forma più quantitativa, con l’introduzione ormai ritenuta indispensabile, di criteri di misura standard, affidabili, robusti, trasparenti (vedasi Abravanel, Meritocrazia, Garzanti, 2008), e non nel modo retorico e profondamente insensato delle riforme Gelmini in cui merito è la parola più ricorrente, ma.. rimane una parola!).
Tornando a Calamandrei, nell’interpretare l’art.33 della Costituzione “La repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”, egli afferma che “La scuola è aperta a tutti. Lo stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto nell’articolo 33 della Costituzione”. La preoccupazione qui è quella di creare cittadini, non cattolici, né protestanti, non fascisti, né comunisti, collegandosi anche ai concetti di eguaglianza e parità sociale dell’art.3, e dell’art.51 nell’accesso agli uffici pubblici.
Stupisce, rileggendolo dopo 50 anni, da un lato la nobiltà delle intenzioni, dall’altro quanta enfasi viene nella visione che lo Stato possa creare apertura a tutti, con scuole ottime per tutti, di tutti i gradi e tipi, e dovunque, lasciando in secondo piano la questione dei “capaci e meritevoli”, e soprattutto, dimenticando che le risorse non sono infinite, e scelte vanno fatte [oggi, siamo arrivati al redde rationem…]! Inoltre, sembra quasi che la scuola pubblica, solo perché è nata da questa impostazione, sia priva di rischi di creare cittadini “politicizzati”, o di diventare essa stessa non seria, e mal organizzata. Ossia, basta ispirarsi a principi nobili, e voilà, la perfezione è raggiunta! Nemmeno un bambino ci crederebbe. Plauso alla Dr. Hack che conserva la ingenuità del bambino, forse utile nelle sue ricerche nobilissime, meno però nella concreta guerra globale della leadership tecnologica.
Viceversa, allora (come oggi) i rischi si sarebbero annidati nel privato,, dove per evitare il business selvaggio, squalificato, non controllato, occorre, secondo Calamandrei:-
“1) che lo Stato le sorvegli e le controlli e che sia neutrale, imparziale tra esse. Che non favorisca un gruppo di scuole private a danno di altre.
2) che le scuole private corrispondano a certi requisiti minimi di serietà di organizzazione”.
Solo così si avrebbe sana competizione. Non un cenno a come lo Stato controllerebbe se stesso, per evitare gli stessi rischi! E si sa come in effetti lo Stato non si è controllato affatto, con contratti pubblici bloccati, per cui una volta qualcuno è entrato, non ne esce nemmeno se commette reati gravissimi, con condanne in cassazione, e interdizione dai pubblici uffici, visto che poi il Rettore istituisce una commissione per valutare se licenziare il dipendente, e spesso questo affonda tutto nel dimenticatoio… (qualcosa del genere successe con il Prof De Lorenzo all’Università di Napoli, con un ostacolo interposto dalla Corte Costituzionale http://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_De_Lorenzo).
In effetti, più avanti, nel capitolo “luci ed ombre”, la Hack ricorda un suo collega fiorentino che soleva dire che una volta entrato da straordinario, un professore avrebbe avuto la conferma, a meno che “come minimo avesse ammazzato il padre o la madre”, che le università si sono via via trasformate in veri e propri “feudi” se a dirigerli era sempre lo stesso “Barone”. La Hack ammette inoltre, a pag.42, che i fondi per il funzionamento definiti dall’autonomia della Riforma Ruberti del 1990, “dovrebbero attribuirsi secondo la valutazione delle attività di ricerca e didattica”, ma che questo principio “fondamentale, di cui si discute animatamente, finora non è mai stato attuato”… e un primo tentativo lo fa il ministro Gelmini, ma non si sa ancora con quali criteri di giudizio.
Evidentemente, la Hack ha scritto il testo prima del Settembre 2009, quando i primi criteri sono venuti fuori, fissati a posteriori, in modo non trasparente, e solo per una fuga di notizie tramite il giornale online lavoce.info! Si veda noisefromamerika.org con l’articolo di Alessandro Figà Talamanca “Università: una graduatoria di merito?” e ancora “Il Manuale del Rettore “virtuoso” --- I rischi della meritocrazia “all’italiana” nell’Università” del 7/1/2010 del mio blog.
Tornando ancora al discorso di Calamandrei, egli segnala come un partito dominante che volesse creare scuole di partito (qui il riferimento scottante è sempre all’esperienza del fascismo da cui si era appena usciti): “comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private”. “Tutte le cure cominciano ad andare alle scuole private”. Il circuito vizioso sarebbe quindi quello di allentare i controlli sulle scuole private, e addirittura finanziarle con denaro pubblico, “il metodo più pericoloso”. A questo avrebbe pensato la Costituzione nell’art.33, dicendo che le scuole private devono essere “senza onere per lo Stato”, ma viene aggirato tramite l’idea dell’assegno familiare. E qui il metodo sembra echeggiare quanto avviene, con interessi ancora molto maggiori, nel campo della Sanità pubblica e privata.
Insomma, nel privato si annida il rischio della “concorrenza al ribasso”, con una “equipollenza” aggirata di fatto. Insomma, il pericolo è il “disfacimento morale della Scuola”.
La Hack commenta che tutto questo è estremamente attuale, ed sarebbe esattamente quanto sta facendo il Ministro Gelmini con “tagli insopportabili alle scuole di ogni ordine e grado”, per cui “invece di migliorare le Scuole pubbliche, in nome di una presunta libertà di favorire le private che, per attirare più studenti, sono notoriamente di manica larga, e hanno docenti spesso sottopagati e alle prime armi”.
E qui rivolgo la critica alla ingenua Margherita Hack: oltre al pericolo se non alla certezza che avvenga in qualche università privata di bassa lega, tutto questo cataclisma di cui si preoccupava Calamandrei, è avvenuto anche nelle Scuole Pubbliche, perché prive di qualsiasi forma di controllo, se non l’Etica professionale che per fortuna ha mantenuto, finora, livelli decenti!
La Hack invero lo nota, ma non lo collega all’impostazione troppo retorica e teorica di Calamandrei, ma solo come dato di fatto, per es. a pag.44, quando dice che “con l’apertura a tutti i diplomati, molti entrano all’Università anche in mancanza di uno specifico interesse, magari mentre già lavorano o sono in attesa di un impiego: il titolo può sempre tornare utile, si dice, e comunque le tasse non sono proibitive. Poi le regole sono molto più blande: gli esami non si tengono più soltanto a giugno-luglio e settembre-ottobre, le sessioni si sono moltiplicate, spesso basta accordarsi col docente per fare l’esame quando si vuole, ripetendolo più volte in caso di fallimento o di voto non soddisfacente. Così per tanti l’università è diventata un parcheggio in attesa di trovare un lavoro”.
Un’analisi perfetta, ma da quale causa? La Hack non attribuisce a niente di preciso. Io avrei invece preso proprio la responsabilità nell’impostazione di Calamandrei, che la Hack porta paradossalmente come esempio positivo!
Non solo: le riforme Gelmini, io propongo nel mio “Manuale del Rettore Virtuoso”, certo rischiano di rilanciare la corsa alla concorrenza al ribasso delle Scuole Private, ma persino in modo prepotentemente innovativo, di quelle pubbliche, visto che, con i parametri “meritocratici” introdotti, hanno anche esse vantaggio ad aumentare slealmente gli studenti, e devono farlo se non si vuole rischiare il fallimento, o il commissariamento! Si vedano le mie analisi a parte nel mio articolo/post “Il Manuale del Rettore “virtuoso” --- I rischi della meritocrazia “all’italiana” nell’Università” del 7/1/2010 del mio blog.
La Hack invece non tocca la Bocconi, riconoscendo che e' di ottimo livello, ma molto cara. Quindi, una grande scienziata, ma molto molto ingenua. Infatti la realtà è ancora peggiore, secondo me. Alcuni grandi economisti italiani della Bocconi (Perotti, Giavazzi) o di Harvard (Alesina), sostengono che l’università statale sia talmente “malata”, “truccata” e sfinita, che solo la privatizzazione può ripristinare il merito. Siamo al paradosso del paradosso, tenendo conto che in realtà, dati alla mano, l’Università statale italiana è la meno cara di Europa, mentre la privata italiana è troppo cara (si veda mio intervento in “La cura "privatizzazione" -- Non sarà che la Bocconi spreca molto piu' delle Università pubbliche?”) ossia costa molto più, in proporzione alla Statale, di quanto costi Harvard rispetto alla università statale americana!
Entrando nelle cifre, anche qui la Hack (su temi forse non a Lei congeniali) non mostra uno spirito critico particolarmente profondo, se dice che la riforma Berlinguer del 3+2 della fine degli anni 90, ha “certamente avuto un effetto positivo” nel senso, per esempio, che nello stesso anno 2003, mentre con il vecchio ordinamento si laureavano “in corso” meno del 5% degli studenti, con il nuovo ordinamento si sono laureati il 44.1%!!! Un salto in un solo botto di 10 volte, da far rabbrividire qualsiasi ottimistica previsione di miglioramento…. Ma non era l’università non più riformabile? Questo sembrerebbe un risultato istantaneo di proporzioni gigantesche! Se lo confrontiamo con le medie di cui parlo nel mio altro articolo, ossia con una media nazionale del voto di laurea saltata dal già troppo alto 103, a ben 108.7 (con la lode assegnata ad oltre il 30% dei laureati in media, e con punte di proporzioni incredibili in alcune università), c'e' da perdere ogni speranza, per noi che entriamo...
Intanto una difficoltà nasce quando si opera per il DIPLOMA SUPPLEMENT, ossia per integrarsi in Europa. Secondo le linee guida (http://www.miur.it/UserFiles/2216.pdf)
2. Punto 4.4
La distribuzione statistica dei voti degli esami di profitto deve essere calcolata per Corso di Studio e per un intervallo di anni solari corrispondenti alla durata normale del corso (distribuzione calcolata annualmente a scorrimento), secondo lo schema ECTS che prevede la suddivisione dei voti per percentuali prefissate.
· voto A: contiene circa il 10% dei voti a partire da quelli più alti,
· voto B: contiene il successivo 25% circa dei voti,
· voto C: contiene il successivo 30% circa dei voti,
· voto D: contiene il successivo 25% circa dei voti,
· voto E: contiene il rimanente 10% circa dei voti
Le percentuali devono essere arrotondate in modo da ottenere numeri interi. Per far sì che la somma delle percentuali sia uguale a 100, la percentuale più alta va calcolata per differenza togliendo al valore 100 la somma delle altre percentuali arrotondate.
Ma come si fa se il i voti piu' alti sono ben oltre il 10%?? Non si riesce a rispettare le regole pensate in Europa, e noi abbiamo la lode che coincide con le categorie A, B, C del Diploma Supplement!!! Il che' in effetti chiarisce che da noi la lode vale quanto mediamente un B in Europa.
Gli americani, che usando metodi di misura abbastanza oggettivi e statistici più sensibili, con feedback immediato, hanno a volte notato questi cambiamenti cosi’ repentini, e li hanno subito inquadrati come fasulli, e corretti con misure drastiche. Per esempio basta leggere Wikipedia (http://en.wikipedia.org/wiki/Grade_inflation) per trovare “Grade inflation is the increase over time of academic grades, faster than any real increase in standards. It is frequently discussed in relation to U.S. education, and to GCSEs and A levels in England and Wales. Grade inflation is an issue in Canada as well.”, e il caso di Princeton che prese posizione nel 2004 pubblicamente contro la propria politica di eccessiva larga manica:
In recent years, Princeton University had earned itself a reputation for awarding some of the highest average marks among the top American universities. In an attempt to combat this grade inflation and reverse this reputation, Princeton began in the fall of 2004 to employ guidelines for grading distributions across departments. Under the new guidelines, departments have been encouraged to re-evaluate and clarify their grading policies. The administration suggests that, averaged over the course of several years in an individual department, A-range grades should constitute 35% of grades in classroom work, and 55% of grades in independent work such as Senior Theses. To date, the administration has not taken steps to strictly enforce these guidelines, instead opting to rely on departments to apply them. Since the policy's inception, A-range grades have declined significantly in Humanities departments, while remaining nearly constant in the Natural Science departments, which were typically at or near the 35% guideline already.
I risultati si sono subito visti:
In 2009, it was confirmed that the policy implemented in 2004 had brought undergraduate grades under control. In 2008-09, A grades (A+, A, A-) accounted for 39.7 percent of grades in undergraduate courses across the University, the first time that A grades have fallen below 40 percent since the policy was approved. The results were a marked improvement from 2002–03, when A's accounted for a high of 47.9 percent of all grades.[9]
Come mai da noi si rimane ancorati alle retoriche degli anni ’50, e non si misura niente di tutto questo, e non si prendono mai provvedimenti? Da noi le commissioni di esame sono del tutto arbitrarie, non ci sono registri, non ci sono statistiche, e dei 60mila docenti, ognuno fa quello che vuole, sperando si richiami ai principi nobili della Costituzione e di Calamandrei. Troppo poco, Dott.ssa Hack, troppo ingenuo!
Il libro si conclude con un esame del “Manifesto di Universitas Futura”, e le proposte della Commissione Lincea, che ripetono lo spirito nobile e le idee vaghe di valutazione, magari con “agenzie”. Come se le Agenzie di valutazione, osteggiate per anni da tutti, avessero mai scoperto niente che non fosse noto già da tempo e gratis con rilevazioni straniere. Si veda il mio articolo “Lettera a ISSNAF -- associazione di scienziati italiani in Nord America”, in cui segnalo l’ottimo lavoro di Mauro degli Esposti, e della sua VIA-Academy, associazione di scienziati Italiani in UK, che ha scoperto che CIVR, dopo tanti sforzi, ha trovato risultati tutto sommato già noti nelle classifiche fatte da istituti stranieri, mentre le “classifiche Gelmini delle Università Virtuose”, con parametri innovativi, sono del tutto scorrelate con qualsiasi rilevazione di altro tipo, mostrando una completa arbitrarietà.
Nelle “alcune mie proposte per una riforma dell’università”, la Hack non fa che ripetere, per l’ennesima volta, lo spirito della retorica “valutazione”, stavolta allargata ai singoli docenti, ai singoli dipartimenti, un colossale esercizio che, fatto con il solito spirito, si conosce già nel risultato: una montagna che partorisce un topolino! Con la solita richiesta di maggiori finanziamenti, perché “senza lilleri non si lallera”, e le indicazioni generiche di fermare le proliferazioni, i nepotismi, etc. etc. un disco rotto!
In definitiva, un bel libro come lettura veloce, che ricostruisce qualcosa di buono che c’era nella vecchia università, ma che paradossalmente aiuta a cogliere tra le righe il vero motivo dell'attuale collasso, senza purtroppo arrivare a concepire nulla di concreto per arginarlo.
Uno spunto per farlo: prendersi i finanziamenti con politiche aggressive sul campo, senza aspettare che il governo li aumenti, facendo politiche di marketing aggressive ma da parte delle Università pubbliche, anche qui seguendo l'esempio davvero "virtuoso" anche se tutto da costruire con fatica, ricostruendo le carriere dei migliori studenti, per seguirli e sollecitare loro le donazioni, come nel vero percorso virtuoso americano.
Ma su questo tornerò nella versione completa del mio Manuale del Rettore Virtuoso.
Direi che la Hack ci aiuta involontariamente a capire perché l’Università è collassata in questo modo: troppa ispirazione a principi nobili, nessun controllo!
Prof. Ing. Michele CIAVARELLA
Politecnico di BARI
martedì 26 gennaio 2010
recensione del libro di Sylos Labini e Zapperi I ricercatori non crescono sugli alberi, 2010, Laterza, http://ricercatorialberi.blogspot.com/
Negli ultimi anni, riviste scientifiche di grosso calibro hanno lanciato l'SOS sulla Scienza Italiana, che da tutti è percepita dal glorioso passato, ma che ha sostanzialmente passato la leadership agli USA durante la seconda guerra mondiale, non avendo saputo definire una strategia di lungo termine nel dopoguerra, come ammesso da Andreotti in “Intervista a DeGasperi”. Il libro di Sylos Labini e Stefano Zapperi, non a caso due ottimi scienziati coraggiosi perché nella durissima fase del “ritorno” dalla fuga, è un’ottima sintesi di questo declino, ma anche dell’orgoglio delle punte di eccellenza che sopravvivono, con un approccio asciutto, e sintetico, scevro dalle prolissità che caratterizzano la sterminata letteratura sul tema.
Il cuore del problema è, come mettono in luce i due autori, che in Italia si fanno analisi superficiali, inseguendo slogan ideologici e cercando titoli “ben congegnati” per vendere le proprie ricerche statistiche come best-sellers, per cui l’università sarebbe “malata”, “truccata”, “una casta”, e nello “splendido isolamento” --- questi slogan di studiosi (Perotti, Giavazzi, et al) rimbalzano poi tra i politici, che ne fanno motivo di ulteriore scempio e taglio (e questo anche con i governi di sinistra!). Tutte conseguenze dell’abbandono in cui è stata lasciata di fatto l'università da 50 anni, nonostante le riforme tattiche e cosmetiche di piccolo calibro.
Una logica cui la classe accademica si è adattata (sviluppando "anticorpi gattopardeschi" al cambiamento), e quindi culminata verso il 2003, quando il bocconiano Giavazzi, Alesina da Harvard, in un acceso dibattito su lavoce.info, e poi Tremonti, Moratti, e Bossi, hanno dichiarato (quest’ultimo in varie edizioni di Porta a Porta) che appunto “l’università italiana ormai fa solo didattica”, va “abbandonata al suo destino”, mentre l’unica ricerca andava prospettata nel nascente Istituto Italiano di Tecnologia, l’ MIT italiano.
Ora, se Zapperi e Sylos Labini non sembrano condividere il metodo di fondazione dell’IIT che giudicano “arbitrario” e con conflitti di interesse (e certo, convulso lo è stato), io suggerirei agli autori di fare il parallelo tra come è difficile per loro due singoli ricercatori “rientrare in Italia”, e come deve essere dura mettere su dal niente un Istituto con logiche nuove, al di fuori della classe accademica attuale (in realtà, in pratica, ora sta recuperando molte risorse universitarie italiane tra le obiettivamente eccellenti come Scuola Normale etc). Sospendiamo il giudizio, visto che il direttore Cingolani sta facendo cose interessanti, e il budget pur significativo di 100ml di Eu all’anno, non è nulla in confronto a quello appunto dell’MIT. Qualche straniero in più si è visto nella struttura IIT rispetto alla media delle Università e dei centri di ricerca italiani, anche se certo non premi Nobel e nemmeno scienziati "ISIHighlyCited", e quindi lascerei la possibilità che ci sia un effetto traino positivo.
Non certo mi illudo che si tratti della panacea ai mali dell’università, in cui comunque i nostri figli dovremo mandare, non potendo 2 milioni di nostri figli tutti trasferirsi ad Harvard, che ne accetta solo 20 mila!
Volendo fare degli appunti al libro, nella parte in cui fa confronti con l’estero, avrei rinforzato il concetto della differenza nell’approccio culturale: per quanto anche in USA c’è una tendenza a preoccuparsi più del “legs drain” che del “brain drain”, alla fine si riesce ad alzare il tono del dibattito con leaders scientifici e politici di grande sensibilità al tema. Si veda Sciencedebate2008, e il richiamo a una "Science White House" di due premi Nobel. Sono poco noti in Italia, e il libro dei ns due autori non li menziona, i cosiddetti “European Paradox”, e l’ ”American PARADOX”, per cui nonostante gli investimenti, l’Europa non riesce ad avere una strategia ed una percezione del suo ruolo importante nella sfida globale (visto che i Paesi, come l’Italia, continuano a misurarsi da soli), mentre gli USA cominciano il declino nonostante gli investimenti. Obama sta combattendo questo declino con dei premi Nobel nel suo staff (Steven Chu) all’energia, e Larry Summers, ex-Rettore di Harvard, già noto per aver lanciato sfide strategiche per il prossimo millennio e non per i prossimi 3 anni di legislatura…, al National Economic Council.
Noi, secondo l’analisi dello stesso Perotti che accusa di “splendido isolamento” e di “università truccata”, abbiamo la classe politica meno colta dei paesi di G8, con una percentuale di laureati scesa dal 90% del dopoguerra, al 60% attuale (mentre lo stipendio aumentava 8 volte più che quello dei lavoratori medi, compresi i ricercatori…). Forse, prima ancora che l’università vada abbandonata al suo destino, andrebbe abbandonata la classe parlamentare. Facciamo quindi, come IIT imitava MIT, un nuovo parlamento da zero che chiamiamo “Italian Congress”? Non sarebbe una cattiva idea.
p.s. una domanda: Il nostro giovane Ministro avvocato forse sta facendo del suo meglio, ma, non avendo molta esperienza nel campo, e non avendo assunto premi Nobel, da chi si fa consigliare? Del sottosegretario Giuseppe Pizza si è fatta ironia, anche dagli italiani in fuga in UK, che gli chiedono di inventare il “Pizza corrector”, abbassando l’età pensionabile dell’università a 65 anni, una soluzione ragionevole in termini economici visto che almeno le casse dell’INPS in Italia sono in attivo, mentre quelle delle Università sono al 50% in negativo.
Bibliografia
R.D. Shelton, Relations between national research investment and publication output: application to an American Paradox, Scientometrics, Vol. 74, No. 2 (2008) 191–205, DOI: 10.1007/s11192-008-0212-2
Intervista a de Gasperi. Giulio Andreotti ; a cura di Antonio Gambino Bari : Laterza Fratelli, copyr. 1977 (Saggi Tascabili ; 32) 177 p.
Antonio Merlo, Vincenzo Galasso, Massimiliano Landi and Andrea Mattozzi, The labor market of italian politicians, convegno Fondazione Rodolfo De Benedetti, see also S. Rizzo and GA Stella “La Casta”, 2007 Rizzoli.
C. Zagaria, “Processo all’Università. Cronache dagli atenei italiani tra inefficienze e malcostume”, Edizioni Dedalo, Bari, 2007
T. Maccacaro (a cura di), “La ricerca tradita. Analisi di una crisi e prospettive di rilancio”, Garzanti, Milano, 2007 con i relativi risultati del Gruppo 2003 www.gruppo2003.org
T. Boeri, R. Faini, A. Ichino, G. Pisauro, C. Scarpa, “Oltre il declino”, Il Mulino – Studi e Ricerche, Bologna, 2005, nel quale è anche riportato il capitolo scritto da A. Ichino, S. Gagliarducci, G. Perri, R. Perotti, “Lo splendido isolamento dell’università italiana”, anche reperibile a www2.dse.unibo.it/ichino/gipp_declino_18.pdf
Roberto Perotti 20.11.2003, Per una riforma radicale dell'università, http://www.lavoce.info/articoli/pagina774.html
Roberto Perotti: "The Italian University System: Rules vs. Incentives", in: "Annual Report on Monitoring Italy 2002", Istituto di Studi e Analisi Economica (ISAE), Roma 2002
Perotti R. (2008) L’Università truccata Einaudi Torino
Giuseppe Pizza http://rpc264.cs.man.ac.uk/VIA/index.php/Giuseppe_Pizza
Il cuore del problema è, come mettono in luce i due autori, che in Italia si fanno analisi superficiali, inseguendo slogan ideologici e cercando titoli “ben congegnati” per vendere le proprie ricerche statistiche come best-sellers, per cui l’università sarebbe “malata”, “truccata”, “una casta”, e nello “splendido isolamento” --- questi slogan di studiosi (Perotti, Giavazzi, et al) rimbalzano poi tra i politici, che ne fanno motivo di ulteriore scempio e taglio (e questo anche con i governi di sinistra!). Tutte conseguenze dell’abbandono in cui è stata lasciata di fatto l'università da 50 anni, nonostante le riforme tattiche e cosmetiche di piccolo calibro.
Una logica cui la classe accademica si è adattata (sviluppando "anticorpi gattopardeschi" al cambiamento), e quindi culminata verso il 2003, quando il bocconiano Giavazzi, Alesina da Harvard, in un acceso dibattito su lavoce.info, e poi Tremonti, Moratti, e Bossi, hanno dichiarato (quest’ultimo in varie edizioni di Porta a Porta) che appunto “l’università italiana ormai fa solo didattica”, va “abbandonata al suo destino”, mentre l’unica ricerca andava prospettata nel nascente Istituto Italiano di Tecnologia, l’ MIT italiano.
Ora, se Zapperi e Sylos Labini non sembrano condividere il metodo di fondazione dell’IIT che giudicano “arbitrario” e con conflitti di interesse (e certo, convulso lo è stato), io suggerirei agli autori di fare il parallelo tra come è difficile per loro due singoli ricercatori “rientrare in Italia”, e come deve essere dura mettere su dal niente un Istituto con logiche nuove, al di fuori della classe accademica attuale (in realtà, in pratica, ora sta recuperando molte risorse universitarie italiane tra le obiettivamente eccellenti come Scuola Normale etc). Sospendiamo il giudizio, visto che il direttore Cingolani sta facendo cose interessanti, e il budget pur significativo di 100ml di Eu all’anno, non è nulla in confronto a quello appunto dell’MIT. Qualche straniero in più si è visto nella struttura IIT rispetto alla media delle Università e dei centri di ricerca italiani, anche se certo non premi Nobel e nemmeno scienziati "ISIHighlyCited", e quindi lascerei la possibilità che ci sia un effetto traino positivo.
Non certo mi illudo che si tratti della panacea ai mali dell’università, in cui comunque i nostri figli dovremo mandare, non potendo 2 milioni di nostri figli tutti trasferirsi ad Harvard, che ne accetta solo 20 mila!
Volendo fare degli appunti al libro, nella parte in cui fa confronti con l’estero, avrei rinforzato il concetto della differenza nell’approccio culturale: per quanto anche in USA c’è una tendenza a preoccuparsi più del “legs drain” che del “brain drain”, alla fine si riesce ad alzare il tono del dibattito con leaders scientifici e politici di grande sensibilità al tema. Si veda Sciencedebate2008, e il richiamo a una "Science White House" di due premi Nobel. Sono poco noti in Italia, e il libro dei ns due autori non li menziona, i cosiddetti “European Paradox”, e l’ ”American PARADOX”, per cui nonostante gli investimenti, l’Europa non riesce ad avere una strategia ed una percezione del suo ruolo importante nella sfida globale (visto che i Paesi, come l’Italia, continuano a misurarsi da soli), mentre gli USA cominciano il declino nonostante gli investimenti. Obama sta combattendo questo declino con dei premi Nobel nel suo staff (Steven Chu) all’energia, e Larry Summers, ex-Rettore di Harvard, già noto per aver lanciato sfide strategiche per il prossimo millennio e non per i prossimi 3 anni di legislatura…, al National Economic Council.
Noi, secondo l’analisi dello stesso Perotti che accusa di “splendido isolamento” e di “università truccata”, abbiamo la classe politica meno colta dei paesi di G8, con una percentuale di laureati scesa dal 90% del dopoguerra, al 60% attuale (mentre lo stipendio aumentava 8 volte più che quello dei lavoratori medi, compresi i ricercatori…). Forse, prima ancora che l’università vada abbandonata al suo destino, andrebbe abbandonata la classe parlamentare. Facciamo quindi, come IIT imitava MIT, un nuovo parlamento da zero che chiamiamo “Italian Congress”? Non sarebbe una cattiva idea.
p.s. una domanda: Il nostro giovane Ministro avvocato forse sta facendo del suo meglio, ma, non avendo molta esperienza nel campo, e non avendo assunto premi Nobel, da chi si fa consigliare? Del sottosegretario Giuseppe Pizza si è fatta ironia, anche dagli italiani in fuga in UK, che gli chiedono di inventare il “Pizza corrector”, abbassando l’età pensionabile dell’università a 65 anni, una soluzione ragionevole in termini economici visto che almeno le casse dell’INPS in Italia sono in attivo, mentre quelle delle Università sono al 50% in negativo.
Bibliografia
R.D. Shelton, Relations between national research investment and publication output: application to an American Paradox, Scientometrics, Vol. 74, No. 2 (2008) 191–205, DOI: 10.1007/s11192-008-0212-2
Intervista a de Gasperi. Giulio Andreotti ; a cura di Antonio Gambino Bari : Laterza Fratelli, copyr. 1977 (Saggi Tascabili ; 32) 177 p.
Antonio Merlo, Vincenzo Galasso, Massimiliano Landi and Andrea Mattozzi, The labor market of italian politicians, convegno Fondazione Rodolfo De Benedetti, see also S. Rizzo and GA Stella “La Casta”, 2007 Rizzoli.
C. Zagaria, “Processo all’Università. Cronache dagli atenei italiani tra inefficienze e malcostume”, Edizioni Dedalo, Bari, 2007
T. Maccacaro (a cura di), “La ricerca tradita. Analisi di una crisi e prospettive di rilancio”, Garzanti, Milano, 2007 con i relativi risultati del Gruppo 2003 www.gruppo2003.org
T. Boeri, R. Faini, A. Ichino, G. Pisauro, C. Scarpa, “Oltre il declino”, Il Mulino – Studi e Ricerche, Bologna, 2005, nel quale è anche riportato il capitolo scritto da A. Ichino, S. Gagliarducci, G. Perri, R. Perotti, “Lo splendido isolamento dell’università italiana”, anche reperibile a www2.dse.unibo.it/ichino/gipp_declino_18.pdf
Roberto Perotti 20.11.2003, Per una riforma radicale dell'università, http://www.lavoce.info/articoli/pagina774.html
Roberto Perotti: "The Italian University System: Rules vs. Incentives", in: "Annual Report on Monitoring Italy 2002", Istituto di Studi e Analisi Economica (ISAE), Roma 2002
Perotti R. (2008) L’Università truccata Einaudi Torino
Giuseppe Pizza http://rpc264.cs.man.ac.uk/VIA/index.php/Giuseppe_Pizza
La cura "privatizzazione" -- Non sarà che la Bocconi spreca molto piu' delle Università pubbliche?
Chiedo un aiuto, da dilettante che sono, alla comunità universitaria, a fare due conti.
Ho appena letto il libro di Margherita Hack e ne consiglio vivamente la lettura. Fa una grande panoramica, dalla costituzione a Calamandrei, sulla storia della Scuola pubblica vs Scuola Privata. Ricordando i rischi della "privatizzazione" che nasconda business selvaggio, squalificato, non controllato, particolarmente grave come rischio in Italia perche' al valore "legale" non corrisponde nessun vero controllo....
Ma la Hack non tocca la Bocconi, riconoscendo che e' di ottimo livello, ma molto cara. Io pero' vorrei approfondire.
Non tanto nel dire che se Perotti & co. continuano a dire che l'Università italiana
spreca, è "truccata", è "nello splendido" isolamento, è "malata" va "abbandonata", oltre a vendere qualche best-seller, non concludono nulla. Scusate, oltre alla loro carriera ovviamente. Non voglio sapere come giustificano che invece la spesa media per studente e' la piu' bassa di Europa? Perche' su questo c'e' stata già discussione, con il loro "trucco" di raddoppiare la spesa con i "fuori corso".
Mi permetto di fare un altro conto. Non sarà che la Bocconi spreca molto piu' delle Università pubbliche?
Mi domando, a fronte di tanta retorica e ideologica opposizione tra “pubblico” e “privato”, quali siano i numeri davvero del sistema Americano (che è ovviamente additato come modello da chi vorrebbe “privatizzare”, magari con “fondazioni”). Forse, per via che la letteratura è così vasta, mi sono sfuggiti i conti di larga massima.
Ho capito che ci sono circa 5000 Università in USA, contro le nostre 94.
Ho capito che ci sono ca. 15—18 milioni di studenti, contro i ns. 1.8milioni.
Ho capito che il ns sistema riceve finanziamento pubblico di ca.7 mld Euro, mentre le tasse universitarie fanno entrare un aggiunta di ca.10%, ossia 700milioni.
Ho capito che gli stati degli USA finanziano ca. 66 miliardi di $ alle università pubbliche, e lo studente paga in media 4mila $ all’anno.
Ho capito che lo studente paga in media 18mila $ nelle università private, quindi ca. 5 volte di più. Senza contare che ci sono molte “borse di studio”, prestiti agevolati, e dubito in quantità lontanamente paragonabile si trovino in Italia.
Il costo totale sarebbe 289miliardi $, ossia cos’è la differenza 289-66=223miliardi?
Entrambe le università pubbliche e private avrebbero “donazioni”, il cui totale per le prime 765 università vale 340 miliardi. Harvard da sola avrebbe 29 miliardi di $, mentre mi pare di capire il suo budget è intorno al 10% di tale cifra, ossia 3 miliardi. Quanti studenti ha Harvard? Risulta un totale Studente 20,230 di cui Undergraduates 7,160 e Postgraduates 13,070.
Un calcolo “della serva” proprio brutale potrebbe usare su scala nazionale una media di 10mila $ a studente, che per 15 milioni di studenti, vuol dire 150miliardi di $, ossia ca. la metà della spesa totale di 289miliardi. Su scala di Harvard, a 50mila $ per studente, 20mila studenti, 1 miliardo di $, ossia 1/3. In effetti, una verifica dal bilancio di Harvard dice che le tasse sono il 21% delle entrate nel bilancio.
In definitiva, se il ns livello di tasse è intorno al 10% del costo totale, su che livello siamo in USA, in quelle private, e in quelle pubbliche? E’ più alto?
Quando abbiamo stabilito questo, allora possiamo decidere se “privatizzare” vuol dire semplicemente aumentare le tasse. Certo, le università pubbliche “costano” al privato molto meno che le “private”. La media nazionale in Italia è di soli 700Eu, mentre quelle “private” tipo Bocconi mi risulta intorno a 10 volte più alto (vedi sotto). Non è che alla fine scopriremo che le Università Private italiane sono meno efficienti, rispetto a quelle pubbliche, di quanto siano le private USA rispetto alle Pubbliche USA?
E in questo caso, chi lo va a dire a Perotti, Alesina, Giavazzi, e gli altri grandi economisti, che questi conti non riesco a trovare se li hanno fatti?
Prof Ing Michele CIAVARELLA
Politecnico di BARI
Riferimenti vari:
1) http://www.uniurb.it/it/numerozero/articolo.php?uscita=1&id=1020
2) http://en.wikipedia.org/wiki/Universities_in_the_United_States
3) C. Zagaria, “Processo all’Università. Cronache dagli atenei italiani tra inefficienze e malcostume”, Edizioni Dedalo, Bari, 2007
3) R. Perotti, “L’università truccata”, Gli struzzi Einaudi, Torino, 2008,
4) http://www.magna-carta.it/
5) T. Maccacaro (a cura di), “La ricerca tradita. Analisi di una crisi e prospettive di rilancio”, Garzanti, Milano, 2007 con i relativi risultati del Gruppo 2003 www.gruppo2003.org
6) T. Boeri, R. Faini, A. Ichino, G. Pisauro, C. Scarpa, “Oltre il declino”, Il Mulino – Studi e Ricerche, Bologna, 2005, nel quale è anche riportato il capitolo scritto da A. Ichino, S. Gagliarducci, G. Perri, R. Perotti, “Lo splendido isolamento dell’università italiana”
7) S. Casillo, S. Aliberti, V. Moretti, “Come ti erudisco il pupo. Rapporto sull’Università italiana”, Ediesse, Roma, 2007, in cui si riportano alcuni risultati delle trasformazioni introdotte nel sistema universitario italiano con il D.L. 3/11/1999 n. 509, denominato Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli Atenei.].
8) R. Perotti (op. cit., paragrafo intitolato “Una via alternativa: le fondazioni universitarie su base volontaria”, pp. 122-125)
Ho appena letto il libro di Margherita Hack e ne consiglio vivamente la lettura. Fa una grande panoramica, dalla costituzione a Calamandrei, sulla storia della Scuola pubblica vs Scuola Privata. Ricordando i rischi della "privatizzazione" che nasconda business selvaggio, squalificato, non controllato, particolarmente grave come rischio in Italia perche' al valore "legale" non corrisponde nessun vero controllo....
Ma la Hack non tocca la Bocconi, riconoscendo che e' di ottimo livello, ma molto cara. Io pero' vorrei approfondire.
Non tanto nel dire che se Perotti & co. continuano a dire che l'Università italiana
spreca, è "truccata", è "nello splendido" isolamento, è "malata" va "abbandonata", oltre a vendere qualche best-seller, non concludono nulla. Scusate, oltre alla loro carriera ovviamente. Non voglio sapere come giustificano che invece la spesa media per studente e' la piu' bassa di Europa? Perche' su questo c'e' stata già discussione, con il loro "trucco" di raddoppiare la spesa con i "fuori corso".
Mi permetto di fare un altro conto. Non sarà che la Bocconi spreca molto piu' delle Università pubbliche?
Mi domando, a fronte di tanta retorica e ideologica opposizione tra “pubblico” e “privato”, quali siano i numeri davvero del sistema Americano (che è ovviamente additato come modello da chi vorrebbe “privatizzare”, magari con “fondazioni”). Forse, per via che la letteratura è così vasta, mi sono sfuggiti i conti di larga massima.
Ho capito che ci sono circa 5000 Università in USA, contro le nostre 94.
Ho capito che ci sono ca. 15—18 milioni di studenti, contro i ns. 1.8milioni.
Ho capito che il ns sistema riceve finanziamento pubblico di ca.7 mld Euro, mentre le tasse universitarie fanno entrare un aggiunta di ca.10%, ossia 700milioni.
Ho capito che gli stati degli USA finanziano ca. 66 miliardi di $ alle università pubbliche, e lo studente paga in media 4mila $ all’anno.
Ho capito che lo studente paga in media 18mila $ nelle università private, quindi ca. 5 volte di più. Senza contare che ci sono molte “borse di studio”, prestiti agevolati, e dubito in quantità lontanamente paragonabile si trovino in Italia.
Il costo totale sarebbe 289miliardi $, ossia cos’è la differenza 289-66=223miliardi?
Entrambe le università pubbliche e private avrebbero “donazioni”, il cui totale per le prime 765 università vale 340 miliardi. Harvard da sola avrebbe 29 miliardi di $, mentre mi pare di capire il suo budget è intorno al 10% di tale cifra, ossia 3 miliardi. Quanti studenti ha Harvard? Risulta un totale Studente 20,230 di cui Undergraduates 7,160 e Postgraduates 13,070.
Un calcolo “della serva” proprio brutale potrebbe usare su scala nazionale una media di 10mila $ a studente, che per 15 milioni di studenti, vuol dire 150miliardi di $, ossia ca. la metà della spesa totale di 289miliardi. Su scala di Harvard, a 50mila $ per studente, 20mila studenti, 1 miliardo di $, ossia 1/3. In effetti, una verifica dal bilancio di Harvard dice che le tasse sono il 21% delle entrate nel bilancio.
In definitiva, se il ns livello di tasse è intorno al 10% del costo totale, su che livello siamo in USA, in quelle private, e in quelle pubbliche? E’ più alto?
Quando abbiamo stabilito questo, allora possiamo decidere se “privatizzare” vuol dire semplicemente aumentare le tasse. Certo, le università pubbliche “costano” al privato molto meno che le “private”. La media nazionale in Italia è di soli 700Eu, mentre quelle “private” tipo Bocconi mi risulta intorno a 10 volte più alto (vedi sotto). Non è che alla fine scopriremo che le Università Private italiane sono meno efficienti, rispetto a quelle pubbliche, di quanto siano le private USA rispetto alle Pubbliche USA?
E in questo caso, chi lo va a dire a Perotti, Alesina, Giavazzi, e gli altri grandi economisti, che questi conti non riesco a trovare se li hanno fatti?
Prof Ing Michele CIAVARELLA
Politecnico di BARI
Riferimenti vari:
1) http://www.uniurb.it/it/numerozero/articolo.php?uscita=1&id=1020
2) http://en.wikipedia.org/wiki/Universities_in_the_United_States
3) C. Zagaria, “Processo all’Università. Cronache dagli atenei italiani tra inefficienze e malcostume”, Edizioni Dedalo, Bari, 2007
3) R. Perotti, “L’università truccata”, Gli struzzi Einaudi, Torino, 2008,
4) http://www.magna-carta.it/
5) T. Maccacaro (a cura di), “La ricerca tradita. Analisi di una crisi e prospettive di rilancio”, Garzanti, Milano, 2007 con i relativi risultati del Gruppo 2003 www.gruppo2003.org
6) T. Boeri, R. Faini, A. Ichino, G. Pisauro, C. Scarpa, “Oltre il declino”, Il Mulino – Studi e Ricerche, Bologna, 2005, nel quale è anche riportato il capitolo scritto da A. Ichino, S. Gagliarducci, G. Perri, R. Perotti, “Lo splendido isolamento dell’università italiana”
7) S. Casillo, S. Aliberti, V. Moretti, “Come ti erudisco il pupo. Rapporto sull’Università italiana”, Ediesse, Roma, 2007, in cui si riportano alcuni risultati delle trasformazioni introdotte nel sistema universitario italiano con il D.L. 3/11/1999 n. 509, denominato Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli Atenei.].
8) R. Perotti (op. cit., paragrafo intitolato “Una via alternativa: le fondazioni universitarie su base volontaria”, pp. 122-125)
lunedì 25 gennaio 2010
Lettera a ISSNAF -- associazione di scienziati italiani in Nord America
Cara Marina Lapo e Presidente Vito
recentemente è uscito sulla Stampa un bel articolo di Mauro degli
Esposti un brillante economista di Manchester, con cui ho avuto
qualche scambio di Email (peraltro inizialmente ruvido, perchè Mauro
deve essere un tipo "tosto"), e vi segnalo l'ottimo lavoro, se non lo
conoscete, sulla riforma Gelmini
http://rpc264.cs.man.ac.uk/VIA/index.php/Main_Page
Vi volevo segnalare in particolare che Mauro ha segnalato giustamente,
come anche io dico nel mio Manuale del Rettore Virtuoso (per ora non
ancora in forma completa) che i parametri Gelmini, come anche CIVR,
insomma TUTTI gli esercizi di valutazione italiana, sono spesso
inutili, perche' alla fine quelli ben fatti coincidono con quelli già
pronti di istituti seri....
Siccome Mauro in particolare ha trovato una correlazione tra la
provenienza dei cervelli all'estero in UK e le università virtuose, mi
domando se con un rapidissimo sguardo ai Vs database, potete compilare
la equivalente classifica ISSNAF25.
Nel caso, mi basterebbe un grazie per l'idea, se usciamo sulla stampa
con un lavoro piu' completo. Ricordando infine che Riccardo Rossi a
suo tempo aveva raccolto i dati di TUTTI i cervelli italiani in fuga
NEL MONDO, potremmo fare davvero un lavoro che farebbe impatto.
Saluti, Michele
http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=124&ID_articolo=738&ID_sezione=&sezione=
Un ateneo per scappare
La classifica del Via Academy sulle università italiane più
prestigiose ma anche quelle che forniscono più ricercatori
FLAVIA AMABILE
In questi giorni la classifica del Times sulle migliori università del
mondo ha creato un dibattito acceso sul perché ancora una volta le
università italiane non appaiano nemmeno tra le prime cento. Per dare
un contributo al dibattito in rete mi ha inviato una lettera Mauro
Degli Esposti, uno dei cervelli italiani in fuga che vive all'estero
continuando a guardare da lontano all'Italia e a provare a fare
qualcosa.
Tra le tante iniziative, Mauro ha dato vita insieme ad altri cervelli
il VIA-Academy, un'accademia virtuale che vorrebbe mettere in
comunicazione tanti altri cervelli italiani in fuga nel Regno Unito e
in Europa. Il suo contributo al dibattito di questi giorni è la
lettera ma anche una classifica del tutto diversa dalle altre. Si
chiama Via-25, e per la prima volta prende in considerazione anche la
storia e il prestigio delle università italiane e che rovescia
sensibilmente i risultati di altre classifiche più note.
''World ranking delle universita' italiane: piangere o valutare bene?
Come ogni anno di questi giorni, il supplemento Higher Education del
Times pubblica la sua oramai famosa classifica delle migliori
universita' del mondo, 'world ranking'. E a noi Italiani che ci
teniamo allo stato dell'universita' viene quasi da piangere. Come ha
dichiarato ieri con marcato disappunto il ministro Mariastella
Gelmini, nelle prime 200 universita' del mondo c'e' solo un'italiana,
quella di Bologna, che quest'anno si colloca alla 174esima posizione
(e pure ex equo ad altre due, Tsukuba in Giappone e all'istituto KTH
in Svezia). Le altre universita' italiane che rientrano nel Times
World ranking allargato fino alla 400esima posizone rimangino nella
stessa sequenza dell'anno scorso: Roma La Sapienza seconda, seguita
dal Politecnico di Milano, Padova e Pisa.
Dobbiamo quindi rassegnarci ad un confermato declino delle nostre
migliori universita' a livello mondiale, come rilevo' con disappunto
un editoriale del Times di esattamente un anno fa (9-10-08) dal
titolo: ma che fine ha fatto l'Universita' di Bologna? Oppure non
e'che sia il caso di valutare bene il merito delle universita'
italiane, il quale non e' necessariamente misurato in modo accurato
dal world ranking del Times? In effetti, il prestigio relativo di una
universita' non e' misurabile in assoluto e qualsiasi classifica non
puo' che dare una valutazione limitata del 'merito' che
quell'universita' ha accumulato nel tempo. E Bologna del tempo ne ha
avuto piu' di tutte le altre universita' del mondo occidentale - ben
nove secoli! In effetti, per me che ho lavorato sia alla venusta Alma
Mater di Bologna che alla nuovissima Monash university di Melbourne e'
sconcertante vedere come la seconda si collochi cosi' meglio di
Bologna nel world ranking del Times (alla 45esima posizione!). Cio'
non corrisponde certo al prestigio percepito quando uno dice a
colleghi che si incontrano in giro per il mondo - sai, io lavoro alla
Monash; M O N A S H what? La differenza fra prestigio percepito e
valore di ranking assegnato dal Times, la cui elaborazione e' poi
affidata all'agenzia Quacquarelli Symonds Ltd, deriva anche dall'uso
dei criteri scelti da questa agenzia per quantificare il valore delle
universita'. Questi sono 'biased' per il sistema anglosassone e
comprendono la percentuale di studenti e scienziati stranieri -
chiaramente altissima in universita' come la Monash che vivono proprio
sulle rette di studenti asiatici.
Le universita' italiane generalmente hanno pochi studenti e tantomeno
scienziati stranieri, il rovescio della medaglia dell'esodo di
cervelli italiani all'estero. Pero' dall'analisi di questo esodo si
puo' estrarre un ranking delle universita' italiane che danno la
miglior preparazione, o predisposizione, per lavorare e fare carriera
all'estero. Facendo un censimento fra i colleghi qua in UK connessi
alla Virtual Italian Academy (VIA) si evince la seguente classifica di
provenienza accademica, in ordine decrescente: Milano, Roma 1 La
Sapienza, Bologna, Padova, Napoli, Pisa e Torino. Questo ranking 'di
basi per la fuga', se si vogliono chiamar cosi' le universita' da cui
proveniamo, quasi combacia col ranking delle prime sette universita'
italiane elaborato dalla Universita' di Leiden, nel suo ranking orange
top-250 delle universita' europee. Questo orange ranking e' basato
solo sulla produzione scientifica delle universita', calibrata in modo
accurato a seconda del diverso impatto dei vari campi della
conoscenza. Quindi, esiste una forte corrispondenza fra il merito
delle universita' italiane misurato sulla base della loro
produttivita' scientifica e la distribuzione dei loro laureati che ora
lavorano in UK - dove attualmente risiedono un quarto di tutti i
cervelli fuggiti dall'Italia.
Se uno va pero' a guardare la corrispondenza fra il ranking del Times
e quello orange top-250 di Leiden si ritrova un basso valore di
correlazione. La correlazione e' invece molto alta fra il ranking di
Leiden e quello derivato dai colleghi della VIA e, udite udite, anche
quello recentemente stilato dalla UDU rifacendo i conti con i
parametri usati dal ministero. Parametri che, ricalibrati attraverso
astrusi filtri amministrativi, hanno prodotto il primo ranking
'ufficiale' delle Universita' italiane da parte del Ministero, lo
scorso luglio - la cosidetta classifica Gelmini delle 27 universita'
virtuose. Un ranking molto importante, perche' determina la
distibuzione di parte dei (sempre piu' limitati) fondi che il
ministero assegna quest'anno alle singole universita'.
Sorprendentemente, l'analisi comparativa di questo ranking ufficiale
con altri rankings prodotti usando criteri internazionali, sia Times
che Leiden o VIA, mostra dei valori di correlazione intorno a zero! E'
come se il ministro Gelmini, o chi per lei, avesse scelto un gruppo
'random' di atenei italiani e li avesse disposti in una classifica a
casaccio, senza considerare i risultati covergenti di altri rankings.
La realta' di fondo e' che mentre in UK Cambdridge e Oxford saranno
sempre fra le prime universita' (anche se talvolta Oxford scende sotto
una di Londra come e' successo quest'anno nel world ranking del
Times), cosi'in Italia Padova e Bologna rimarranno probabilmente
sempre fra le prime 3-4 universita' nazionali, riflettendo la loro
plurisecolare storia, nonostante che il prestigio consolidato nel
tempo si stia progressivamente appannando.
Ha quindi ragione il ministro Gelmini a scandalizzarsi dei bassi
livelli che occupano le universita' italiane nei ranking
internazionali. Ma dovrebbe pure assicurarsi che le classifiche di
'merito' stilate dal suo ministero siano congruenti con gli stessi
ranking internazionali!
Mauro Degli Esposti
Classifica VIA25
1 - 8.13 Padova
2 - 7.93 Bologna
3 - 7.12 Milano
4 - 7.02 Roma 1 La Sapienza
5 - 6.99 Torino
6 - 6.33 Pisa
7 - 5.81 Firenze
8 - 5.20 Pavia
9 - 5.12 Trento
10- 5.06 Napoli
11- 5.02 Trieste
12 - 4.97 Genova
13 - 4.88 Politecnico MI
14 - 4.20 Politecnico TO
15 - 3.62 Modena RE
16 - 2.94 Ferrara
17 - 2.90 Bari
18 - 2.72 Roma 2 Tor Vergata
19 - 2.68 Palermo
20 - 2.66 Ancona
21- 2.61 Udine
22 - 2.56 Catania
23 - 2.48 Siena
24 - 2.48 Parma
25 - 2.46 Venezia
--
Prof. Michele Ciavarella
Politecnico di BARI
V.le Gentile 182
70125 BARI, Italy
tel+390805962811
fax+390805962777
http://rettorevirtuoso.blogspot.com/
facebook: michele ciavarella
skype: micheleciavarella
recentemente è uscito sulla Stampa un bel articolo di Mauro degli
Esposti un brillante economista di Manchester, con cui ho avuto
qualche scambio di Email (peraltro inizialmente ruvido, perchè Mauro
deve essere un tipo "tosto"), e vi segnalo l'ottimo lavoro, se non lo
conoscete, sulla riforma Gelmini
http://rpc264.cs.man.ac.uk/VIA/index.php/Main_Page
Vi volevo segnalare in particolare che Mauro ha segnalato giustamente,
come anche io dico nel mio Manuale del Rettore Virtuoso (per ora non
ancora in forma completa) che i parametri Gelmini, come anche CIVR,
insomma TUTTI gli esercizi di valutazione italiana, sono spesso
inutili, perche' alla fine quelli ben fatti coincidono con quelli già
pronti di istituti seri....
Siccome Mauro in particolare ha trovato una correlazione tra la
provenienza dei cervelli all'estero in UK e le università virtuose, mi
domando se con un rapidissimo sguardo ai Vs database, potete compilare
la equivalente classifica ISSNAF25.
Nel caso, mi basterebbe un grazie per l'idea, se usciamo sulla stampa
con un lavoro piu' completo. Ricordando infine che Riccardo Rossi a
suo tempo aveva raccolto i dati di TUTTI i cervelli italiani in fuga
NEL MONDO, potremmo fare davvero un lavoro che farebbe impatto.
Saluti, Michele
http://www.lastampa.it/_web/CMSTP/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=124&ID_articolo=738&ID_sezione=&sezione=
Un ateneo per scappare
La classifica del Via Academy sulle università italiane più
prestigiose ma anche quelle che forniscono più ricercatori
FLAVIA AMABILE
In questi giorni la classifica del Times sulle migliori università del
mondo ha creato un dibattito acceso sul perché ancora una volta le
università italiane non appaiano nemmeno tra le prime cento. Per dare
un contributo al dibattito in rete mi ha inviato una lettera Mauro
Degli Esposti, uno dei cervelli italiani in fuga che vive all'estero
continuando a guardare da lontano all'Italia e a provare a fare
qualcosa.
Tra le tante iniziative, Mauro ha dato vita insieme ad altri cervelli
il VIA-Academy, un'accademia virtuale che vorrebbe mettere in
comunicazione tanti altri cervelli italiani in fuga nel Regno Unito e
in Europa. Il suo contributo al dibattito di questi giorni è la
lettera ma anche una classifica del tutto diversa dalle altre. Si
chiama Via-25, e per la prima volta prende in considerazione anche la
storia e il prestigio delle università italiane e che rovescia
sensibilmente i risultati di altre classifiche più note.
''World ranking delle universita' italiane: piangere o valutare bene?
Come ogni anno di questi giorni, il supplemento Higher Education del
Times pubblica la sua oramai famosa classifica delle migliori
universita' del mondo, 'world ranking'. E a noi Italiani che ci
teniamo allo stato dell'universita' viene quasi da piangere. Come ha
dichiarato ieri con marcato disappunto il ministro Mariastella
Gelmini, nelle prime 200 universita' del mondo c'e' solo un'italiana,
quella di Bologna, che quest'anno si colloca alla 174esima posizione
(e pure ex equo ad altre due, Tsukuba in Giappone e all'istituto KTH
in Svezia). Le altre universita' italiane che rientrano nel Times
World ranking allargato fino alla 400esima posizone rimangino nella
stessa sequenza dell'anno scorso: Roma La Sapienza seconda, seguita
dal Politecnico di Milano, Padova e Pisa.
Dobbiamo quindi rassegnarci ad un confermato declino delle nostre
migliori universita' a livello mondiale, come rilevo' con disappunto
un editoriale del Times di esattamente un anno fa (9-10-08) dal
titolo: ma che fine ha fatto l'Universita' di Bologna? Oppure non
e'che sia il caso di valutare bene il merito delle universita'
italiane, il quale non e' necessariamente misurato in modo accurato
dal world ranking del Times? In effetti, il prestigio relativo di una
universita' non e' misurabile in assoluto e qualsiasi classifica non
puo' che dare una valutazione limitata del 'merito' che
quell'universita' ha accumulato nel tempo. E Bologna del tempo ne ha
avuto piu' di tutte le altre universita' del mondo occidentale - ben
nove secoli! In effetti, per me che ho lavorato sia alla venusta Alma
Mater di Bologna che alla nuovissima Monash university di Melbourne e'
sconcertante vedere come la seconda si collochi cosi' meglio di
Bologna nel world ranking del Times (alla 45esima posizione!). Cio'
non corrisponde certo al prestigio percepito quando uno dice a
colleghi che si incontrano in giro per il mondo - sai, io lavoro alla
Monash; M O N A S H what? La differenza fra prestigio percepito e
valore di ranking assegnato dal Times, la cui elaborazione e' poi
affidata all'agenzia Quacquarelli Symonds Ltd, deriva anche dall'uso
dei criteri scelti da questa agenzia per quantificare il valore delle
universita'. Questi sono 'biased' per il sistema anglosassone e
comprendono la percentuale di studenti e scienziati stranieri -
chiaramente altissima in universita' come la Monash che vivono proprio
sulle rette di studenti asiatici.
Le universita' italiane generalmente hanno pochi studenti e tantomeno
scienziati stranieri, il rovescio della medaglia dell'esodo di
cervelli italiani all'estero. Pero' dall'analisi di questo esodo si
puo' estrarre un ranking delle universita' italiane che danno la
miglior preparazione, o predisposizione, per lavorare e fare carriera
all'estero. Facendo un censimento fra i colleghi qua in UK connessi
alla Virtual Italian Academy (VIA) si evince la seguente classifica di
provenienza accademica, in ordine decrescente: Milano, Roma 1 La
Sapienza, Bologna, Padova, Napoli, Pisa e Torino. Questo ranking 'di
basi per la fuga', se si vogliono chiamar cosi' le universita' da cui
proveniamo, quasi combacia col ranking delle prime sette universita'
italiane elaborato dalla Universita' di Leiden, nel suo ranking orange
top-250 delle universita' europee. Questo orange ranking e' basato
solo sulla produzione scientifica delle universita', calibrata in modo
accurato a seconda del diverso impatto dei vari campi della
conoscenza. Quindi, esiste una forte corrispondenza fra il merito
delle universita' italiane misurato sulla base della loro
produttivita' scientifica e la distribuzione dei loro laureati che ora
lavorano in UK - dove attualmente risiedono un quarto di tutti i
cervelli fuggiti dall'Italia.
Se uno va pero' a guardare la corrispondenza fra il ranking del Times
e quello orange top-250 di Leiden si ritrova un basso valore di
correlazione. La correlazione e' invece molto alta fra il ranking di
Leiden e quello derivato dai colleghi della VIA e, udite udite, anche
quello recentemente stilato dalla UDU rifacendo i conti con i
parametri usati dal ministero. Parametri che, ricalibrati attraverso
astrusi filtri amministrativi, hanno prodotto il primo ranking
'ufficiale' delle Universita' italiane da parte del Ministero, lo
scorso luglio - la cosidetta classifica Gelmini delle 27 universita'
virtuose. Un ranking molto importante, perche' determina la
distibuzione di parte dei (sempre piu' limitati) fondi che il
ministero assegna quest'anno alle singole universita'.
Sorprendentemente, l'analisi comparativa di questo ranking ufficiale
con altri rankings prodotti usando criteri internazionali, sia Times
che Leiden o VIA, mostra dei valori di correlazione intorno a zero! E'
come se il ministro Gelmini, o chi per lei, avesse scelto un gruppo
'random' di atenei italiani e li avesse disposti in una classifica a
casaccio, senza considerare i risultati covergenti di altri rankings.
La realta' di fondo e' che mentre in UK Cambdridge e Oxford saranno
sempre fra le prime universita' (anche se talvolta Oxford scende sotto
una di Londra come e' successo quest'anno nel world ranking del
Times), cosi'in Italia Padova e Bologna rimarranno probabilmente
sempre fra le prime 3-4 universita' nazionali, riflettendo la loro
plurisecolare storia, nonostante che il prestigio consolidato nel
tempo si stia progressivamente appannando.
Ha quindi ragione il ministro Gelmini a scandalizzarsi dei bassi
livelli che occupano le universita' italiane nei ranking
internazionali. Ma dovrebbe pure assicurarsi che le classifiche di
'merito' stilate dal suo ministero siano congruenti con gli stessi
ranking internazionali!
Mauro Degli Esposti
Classifica VIA25
1 - 8.13 Padova
2 - 7.93 Bologna
3 - 7.12 Milano
4 - 7.02 Roma 1 La Sapienza
5 - 6.99 Torino
6 - 6.33 Pisa
7 - 5.81 Firenze
8 - 5.20 Pavia
9 - 5.12 Trento
10- 5.06 Napoli
11- 5.02 Trieste
12 - 4.97 Genova
13 - 4.88 Politecnico MI
14 - 4.20 Politecnico TO
15 - 3.62 Modena RE
16 - 2.94 Ferrara
17 - 2.90 Bari
18 - 2.72 Roma 2 Tor Vergata
19 - 2.68 Palermo
20 - 2.66 Ancona
21- 2.61 Udine
22 - 2.56 Catania
23 - 2.48 Siena
24 - 2.48 Parma
25 - 2.46 Venezia
--
Prof. Michele Ciavarella
Politecnico di BARI
V.le Gentile 182
70125 BARI, Italy
tel+390805962811
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Lettera ai Magnifici Rettori
C.A. Magnifici Rettori,
p.c. ISSNAF, Gruppo2003
21 Gennaio 2010
Oggetto: Lancio di un "sondaggio" sul blog http://rettorevirtuoso.blogspot.com/, con
preghiera di diffonderlo e segnalarlo a tutta la comunità (docenti e studenti e tecnici etc)
Magnifici,
a seguito della mia lettera “Il manuale del Rettore "Virtuoso" --- I rischi della meritocrazia “all’italiana” nell’Università.” del 8 Gennaio u.s. che in sostanza ripete quanto avevo scritto nel messaggio di apertura del blog
http://rettorevirtuoso.blogspot.com/
ho avuto il piacere di ricevere varie segnalazioni di stima da parte di Rettori per l’analisi da loro definita lucida, e spesso condivisa, ma tutti mi hanno chiesto con curiosità: si, ma cosa proponi? Anche stuzzicati dalla mia chiusura in cui rimando alla versione “estesa” del manuale con la “pars construens”. Non ho lanciato nemmeno il blog proprio in attesa della pubblicazione del manuale “esteso”. Già qualche Rettore più rapido ha commentato sul blog, e molti mi hanno promesso di volerlo fare ad horas.
Tuttavia, tanto per citare qualcosa di immediato, una delle prime risposte che ho avuto è stata credo scritta di getto in pochi minuti da un brillante Professore italiano in California, preparato in uno dei ns politecnici Virtuosi (Torino), Giuseppe Caire: in 3 piccoli punti già mi pare sintetizzi un’ottima proposta anche semplice che risolverebbe molti problemi. Ne consiglio lettura, che prende pochi secondi. Naturalmente, in Italia impegniamo il ns genio a fondo a fare 4000 proposte, ognuna di 4000 pagine, ricche di riferimenti incrociati normativi, con i recenti paradossi persino di incentivare la “semplificazione” con leggi appunto che superano i record del numero di articoli -- il ddl Gelmini, tanto per fare nomi, che secondo qualcuno passerà a Febbraio, secondo altri che non condividono la fretta di un testo debole e probabilmente paradossale come dico senza entrare nel merito, potrebbe con calma andare al periodo della Finanziaria per trovare qualche motivazione concreta... Ma io vado molto oltre, non avendo tempo per seguire i dettagli di queste procedure, e non essendo un politico ma un normale docente universitario.
Sono in trattative per la pubblicazione del Manuale Esteso, e non mi sembra corretto inviarla in giro. L’Editore potrebbe essere http://lascienzainrete.it/ la rivista online del Gruppo2003 degli scienziati più citati di Italia secondo la classifica ISIhighlycited.com, che comprende nomi come Nicolais, Garattini, Mannucci, Remuzzi, Mantovani, e circa altri 80 (purtroppo, ne abbiamo meno in Italia di quanti ce ne siano nella sola Harvard, e in tutti gli USA ce ne sono oltre 4200 sul totale di 5000…). Lungi da essere un programma politico, delinea alcuni scenari, se non proposte, che facili non sono…in Italia! Vi allego tuttavia il sommario insieme alla presente lettera. Il punto è che deve finire l’ingenuità di ritenere che una legge, per quanto ricca, possa risolvere ad anello aperto problemi così complessi! E’ una presa in giro che va avanti da (almeno) 50 anni. Nessuno mai ha studiato teoria dei controlli? Occorre lavorare sull’anello chiuso. Altrimenti, fatta la legge, si troverà l’inganno, e non sembra maturato molto il paese dai tempi di Tomasi di Lampedusa, che stranamente nemmeno voleva pubblicare in vita il suo Gattopardo….
Potrei segnalarVi le proposte del gruppo20031 che suonano tremendamente liberali con le 3 GRANDI ABOLIZIONI (del posto fisso, del valore legale e dei concorsi), e il DECALOGO di cose “normali", che "esistono normalmente non solo nell’Eldorado America, ma in tutti i principali paesi Europei". [Editoriale PM Mannucci Università: Ministro, più coraggio! del 3 gennaio, 2009 http://www.scienzainrete.net/node/116]
Sembra di sentire Alesina dalla sua cattedra di Harvard (e purtroppo anche Giavazzi dalla sua cattedra Bocconi negli Editoriali del Corriere) che sentenziano che l’Università italiana va abbandonata al suo destino! Ovvero mandiamo tutti i nostri figli ad Harvard? Se gli scienziati italiani sono ingenui, questi mi pare lo siano troppo per essere in buona fede. Ebbene, l’editoriale di Mannucci, in oltre un anno, ha ricevuto solo 186 letture... direi molto poche. Non so se i grandi scienziati italiani sono talmente sfiniti dal cercare soluzioni che credano davvero alle 3 abolizioni, e l’intelligenza di Mannucci, autore non a caso di oltre 1400 pubblicazioni scientifiche, viene fuori alla fine quando dice Tutte cose ormai così dette e stradette - finora del tutto inutilmente - che a scriverle ci si sente come un disco inceppato! Sono solo degli sfoghi semplicistici che soluzioni.
Potrei segnalarVi le proposte congiunte di gruppo2003 e ISSNAF (l’associazione di
scienziati Italiani in nord america, con nomi molto prestigiosi) a valle del convegno "INSIEME PER LA RICERCA. Scienziati italiani d'ITALIA e USA per una nuova governance" il 21 settembre 2009 all’Università Bocconi con relatori di spicco come Bordignon, Remuzzi, Mantovani, Boeri, Dosi, Peccei, Celi, Einaudi , Sangiovanni-Vincentelli, Dompé, Maccacaro, Campese. Riassumo solo
(i) il giusto richiamo al fatto che mentre Obama ha reagito alla crisi finanziaria con rapidità nel Febbraio 2009 con un pacchetto “stimulus” aggiuntivo di risorse di 21 miliardi di dollari, da erogare subito e su progetti per rilanciare l’occupazione, e oggi sono stati probabilmente quasi tutti erogati --- noi abbiamo invece solo raschiato 500milioni dallo scudo fiscale, e quasi altrettanti per scuole private, che non mi pare rientrino nelle “ferree” meritocrazie delle “classifiche” di virtuosità
(ii) la proposta di Governance “di istituire una rete di agenzie o strutture ad hoc, coordinate da un'unica cabina di regia e di avviare il riordino degli Enti pubblici di ricerca, che sono gli attori fondamentali della ricerca finanziata dallo Stato.”
Non mi cimento nella valutazione di queste proposte, e in attesa di pubblicare il mio “manuale esteso”, preferisco chiederVi di aiutarmi a svolgere un sondaggio sul mio blog, composto da 10 proposte (che qui commento un poco), un misto di cose provocatorie, cose facili da fare, e cose più difficili o già tentate.
1) Indire la “giornata del 30 e lode politico” per richiamare l’attenzione dei media
2) Mettere numero chiuso per le lodi
3) Misure di qualità didattica con test standard informatizzati (GMAT, SAT etc) su materie base all’ingresso e all’uscita primo anno --- la proposta di Giuseppe Caire
4) Assecondare la “svendita delle lauree” per togliere il mercato alle università “online” di bassa qualità, e rilanciare Università di Eccellenza – una battaglia sul “mercato”
5) Abolire la burocrazia dei “concorsi” --- e solo la burocrazia..
6) Quote fisse sulla percentuale di conferme in ruolo (e non conferme per tutti!)
7) Incentivi diretti ai docenti di alta qualità didattica e ispezioni sui docenti meno virtuosi (modello NO CHILD LEFT BEHIND del programma di George Bush 2001), che allarga la proposta di Giuseppe Caire anche ad altre materie, e che richiederebbe la messa a punto di test nuovi. Incentivi e punizioni.. smuoviamo le acque!
8) Creare ruolo del “SuperOrdinario” per selezionare i migliori “Generali” su base internazionale, cui affidare l’esercito e non come promoveatur ut amoveatur. Anche per dare uno stimolo alla competizione ai troppi ordinari
9) Abolire il valore legale della laurea --- e farlo con le buone (regolamentato) o con le cattive (proteste del voto regalato)
10) Abolire i Settori-Scientifico-Disciplinari --- e farlo drasticamente non a “puntate” dai tempi geologici
Per fare il "sondaggio" --- e che sia rappresentativo, vi prego di partecipare attivamente e segnalare a tutta la comunità (docenti e studenti e tecnici etc) di rendere il campione numeroso e quindi utile.
In attesa di Vs cortese riscontro, porgo
Cordiali Saluti.
--
Prof. Michele Ciavarella
Politecnico di BARI
V.le Gentile 182
70125 BARI, Italy
tel+390805962811
fax+390805962777
Mciava@poliba.it
http://rettorevirtuoso.blogspot.com/
facebook: michele ciavarella
skype: micheleciavarella
p.c. ISSNAF, Gruppo2003
21 Gennaio 2010
Oggetto: Lancio di un "sondaggio" sul blog http://rettorevirtuoso.blogspot.com/, con
preghiera di diffonderlo e segnalarlo a tutta la comunità (docenti e studenti e tecnici etc)
Magnifici,
a seguito della mia lettera “Il manuale del Rettore "Virtuoso" --- I rischi della meritocrazia “all’italiana” nell’Università.” del 8 Gennaio u.s. che in sostanza ripete quanto avevo scritto nel messaggio di apertura del blog
http://rettorevirtuoso.blogspot.com/
ho avuto il piacere di ricevere varie segnalazioni di stima da parte di Rettori per l’analisi da loro definita lucida, e spesso condivisa, ma tutti mi hanno chiesto con curiosità: si, ma cosa proponi? Anche stuzzicati dalla mia chiusura in cui rimando alla versione “estesa” del manuale con la “pars construens”. Non ho lanciato nemmeno il blog proprio in attesa della pubblicazione del manuale “esteso”. Già qualche Rettore più rapido ha commentato sul blog, e molti mi hanno promesso di volerlo fare ad horas.
Tuttavia, tanto per citare qualcosa di immediato, una delle prime risposte che ho avuto è stata credo scritta di getto in pochi minuti da un brillante Professore italiano in California, preparato in uno dei ns politecnici Virtuosi (Torino), Giuseppe Caire: in 3 piccoli punti già mi pare sintetizzi un’ottima proposta anche semplice che risolverebbe molti problemi. Ne consiglio lettura, che prende pochi secondi. Naturalmente, in Italia impegniamo il ns genio a fondo a fare 4000 proposte, ognuna di 4000 pagine, ricche di riferimenti incrociati normativi, con i recenti paradossi persino di incentivare la “semplificazione” con leggi appunto che superano i record del numero di articoli -- il ddl Gelmini, tanto per fare nomi, che secondo qualcuno passerà a Febbraio, secondo altri che non condividono la fretta di un testo debole e probabilmente paradossale come dico senza entrare nel merito, potrebbe con calma andare al periodo della Finanziaria per trovare qualche motivazione concreta... Ma io vado molto oltre, non avendo tempo per seguire i dettagli di queste procedure, e non essendo un politico ma un normale docente universitario.
Sono in trattative per la pubblicazione del Manuale Esteso, e non mi sembra corretto inviarla in giro. L’Editore potrebbe essere http://lascienzainrete.it/ la rivista online del Gruppo2003 degli scienziati più citati di Italia secondo la classifica ISIhighlycited.com, che comprende nomi come Nicolais, Garattini, Mannucci, Remuzzi, Mantovani, e circa altri 80 (purtroppo, ne abbiamo meno in Italia di quanti ce ne siano nella sola Harvard, e in tutti gli USA ce ne sono oltre 4200 sul totale di 5000…). Lungi da essere un programma politico, delinea alcuni scenari, se non proposte, che facili non sono…in Italia! Vi allego tuttavia il sommario insieme alla presente lettera. Il punto è che deve finire l’ingenuità di ritenere che una legge, per quanto ricca, possa risolvere ad anello aperto problemi così complessi! E’ una presa in giro che va avanti da (almeno) 50 anni. Nessuno mai ha studiato teoria dei controlli? Occorre lavorare sull’anello chiuso. Altrimenti, fatta la legge, si troverà l’inganno, e non sembra maturato molto il paese dai tempi di Tomasi di Lampedusa, che stranamente nemmeno voleva pubblicare in vita il suo Gattopardo….
Potrei segnalarVi le proposte del gruppo20031 che suonano tremendamente liberali con le 3 GRANDI ABOLIZIONI (del posto fisso, del valore legale e dei concorsi), e il DECALOGO di cose “normali", che "esistono normalmente non solo nell’Eldorado America, ma in tutti i principali paesi Europei". [Editoriale PM Mannucci Università: Ministro, più coraggio! del 3 gennaio, 2009 http://www.scienzainrete.net/node/116]
Sembra di sentire Alesina dalla sua cattedra di Harvard (e purtroppo anche Giavazzi dalla sua cattedra Bocconi negli Editoriali del Corriere) che sentenziano che l’Università italiana va abbandonata al suo destino! Ovvero mandiamo tutti i nostri figli ad Harvard? Se gli scienziati italiani sono ingenui, questi mi pare lo siano troppo per essere in buona fede. Ebbene, l’editoriale di Mannucci, in oltre un anno, ha ricevuto solo 186 letture... direi molto poche. Non so se i grandi scienziati italiani sono talmente sfiniti dal cercare soluzioni che credano davvero alle 3 abolizioni, e l’intelligenza di Mannucci, autore non a caso di oltre 1400 pubblicazioni scientifiche, viene fuori alla fine quando dice Tutte cose ormai così dette e stradette - finora del tutto inutilmente - che a scriverle ci si sente come un disco inceppato! Sono solo degli sfoghi semplicistici che soluzioni.
Potrei segnalarVi le proposte congiunte di gruppo2003 e ISSNAF (l’associazione di
scienziati Italiani in nord america, con nomi molto prestigiosi) a valle del convegno "INSIEME PER LA RICERCA. Scienziati italiani d'ITALIA e USA per una nuova governance" il 21 settembre 2009 all’Università Bocconi con relatori di spicco come Bordignon, Remuzzi, Mantovani, Boeri, Dosi, Peccei, Celi, Einaudi , Sangiovanni-Vincentelli, Dompé, Maccacaro, Campese. Riassumo solo
(i) il giusto richiamo al fatto che mentre Obama ha reagito alla crisi finanziaria con rapidità nel Febbraio 2009 con un pacchetto “stimulus” aggiuntivo di risorse di 21 miliardi di dollari, da erogare subito e su progetti per rilanciare l’occupazione, e oggi sono stati probabilmente quasi tutti erogati --- noi abbiamo invece solo raschiato 500milioni dallo scudo fiscale, e quasi altrettanti per scuole private, che non mi pare rientrino nelle “ferree” meritocrazie delle “classifiche” di virtuosità
(ii) la proposta di Governance “di istituire una rete di agenzie o strutture ad hoc, coordinate da un'unica cabina di regia e di avviare il riordino degli Enti pubblici di ricerca, che sono gli attori fondamentali della ricerca finanziata dallo Stato.”
Non mi cimento nella valutazione di queste proposte, e in attesa di pubblicare il mio “manuale esteso”, preferisco chiederVi di aiutarmi a svolgere un sondaggio sul mio blog, composto da 10 proposte (che qui commento un poco), un misto di cose provocatorie, cose facili da fare, e cose più difficili o già tentate.
1) Indire la “giornata del 30 e lode politico” per richiamare l’attenzione dei media
2) Mettere numero chiuso per le lodi
3) Misure di qualità didattica con test standard informatizzati (GMAT, SAT etc) su materie base all’ingresso e all’uscita primo anno --- la proposta di Giuseppe Caire
4) Assecondare la “svendita delle lauree” per togliere il mercato alle università “online” di bassa qualità, e rilanciare Università di Eccellenza – una battaglia sul “mercato”
5) Abolire la burocrazia dei “concorsi” --- e solo la burocrazia..
6) Quote fisse sulla percentuale di conferme in ruolo (e non conferme per tutti!)
7) Incentivi diretti ai docenti di alta qualità didattica e ispezioni sui docenti meno virtuosi (modello NO CHILD LEFT BEHIND del programma di George Bush 2001), che allarga la proposta di Giuseppe Caire anche ad altre materie, e che richiederebbe la messa a punto di test nuovi. Incentivi e punizioni.. smuoviamo le acque!
8) Creare ruolo del “SuperOrdinario” per selezionare i migliori “Generali” su base internazionale, cui affidare l’esercito e non come promoveatur ut amoveatur. Anche per dare uno stimolo alla competizione ai troppi ordinari
9) Abolire il valore legale della laurea --- e farlo con le buone (regolamentato) o con le cattive (proteste del voto regalato)
10) Abolire i Settori-Scientifico-Disciplinari --- e farlo drasticamente non a “puntate” dai tempi geologici
Per fare il "sondaggio" --- e che sia rappresentativo, vi prego di partecipare attivamente e segnalare a tutta la comunità (docenti e studenti e tecnici etc) di rendere il campione numeroso e quindi utile.
In attesa di Vs cortese riscontro, porgo
Cordiali Saluti.
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giovedì 7 gennaio 2010
Il Manuale del Rettore “virtuoso” --- I rischi della meritocrazia “all’italiana” nell’Università
In questo breve articolo, cercherò di delineare cosa dovrebbe fare, alla luce di dati oggettivi e un approccio scientifico e solo “eticamente” sleale, cui forse si vedrà costretto a ricorrere, un Rettore di una Università italiana, per seguire alla lettera la “competizione” lanciata dai parametri indicati dalle normative in vigore per le Università “Virtuose”. La saggezza popolare dice che, a volte, “il meglio è nemico del bene”.
I processi di riforma in "senso europeo" dell’Università cominciati dieci anni fa (il processo “Bologna”), con l’intento di “allineare” i nostri laureati ai parametri medi europei, ridurre il ritardo nell’età media alla laurea e la bassa percentuale dei laureati (circa la metà della media dei paesi OECD), partorirono la Riforma “3+2” DM 509 del 1999 (Laurea Breve più Laurea Specialistica). I risultati, a fronte di molto dispendio di energie, sono modesti: i laureati che completano il ciclo di cinque anni, ossia il 60% dei laureati triennali, sono aumentati solo del 20% .
La proliferazione in teoria positiva dei corsi di laurea (ormai oltre 5000), e delle piccole sedi periferiche, attuata per carpire la domanda di chi vuole stare “sotto casa”, e quindi con lo scopo preciso di aumentare il numero di studenti, è stata considerata eccessiva e la Legge 270 del 2004 ha cercato correzioni. Queste ultime già 5 anni dopo sono giudicate insufficienti da un governo dello stesso colore, e attualmente la “Legge 271” è allo studio. Essa fa tremare molti per la minaccia di parametri strettissimi, e situazioni paradossali, tipo Facoltà senza corsi di laurea ma con Docenti che non possono essere nè spostati nè licenziati. Questo forse spiega l’indecisione nel promulgarla. La saggezza popolare, di nuovo, consiglierebbe di “prendere il toro per le corna”.
Intanto, aver inseguito il “numero” di studenti, e non la loro qualità, a me sembra aver creato un problema ben maggiore della proliferazione dei corsi di laurea e delle sedi, di cui però nessuno parla. Una laurea con lode per tutti? Ma la mia impressione è, purtroppo, supportata dai dati: il voto di laurea medio, già altissimo dieci anni fa (103 su 110), oggi raggiunge valori prossimi al massimo nelle lauree specialistiche (108,7 su 110!). Un voto di laurea “svenduto”, e giustifica la sensazione diffusa che “una “lode” non si nega a nessuno”, un “todos caballeros” di Carloquintiana memoria. In Inghilterra, viceversa, dove il valore legale non ha senso, solo l’11% dei candidati conquista il voto massimo “First”, e rarissimamente si inserisce un “Starred First” (Cambridge, York) o “Congratulatory First” (Oxford) .
Mi è venuto quindi spontaneo un dubbio, e cioè che le nuove norme “meritocratiche” del “Pacchetto Università” varato nel Luglio 2009, con la classifica delle Università “virtuose”, non finiranno con generare altri effetti collaterali, incentivando la svendita delle lauree, degli esami, e dei voti, senza curare la malattia. Con il risultato di rendere la vita molto più difficile a chi studia seriamente e intende distinguersi, nonchè l’alimentazione o persino la creazione di un mercato del lavoro ultra-flessibile ma dequalificato. Tutto questo, magari in buona fede del Ministro, e per mancanza di opportune contromisure e retroazioni. E allora ho tentato di studiare con metodo scientifico, da Ingegnere, i dati sui laureati, e sul mercato del lavoro, incrociando alcuni in modo a me pare originale.
Nel mix di parametri usati dal Ministero per compilare la recente classifica delle università “virtuose”, relativamente alla “qualità della didattica” (che pesano per 1/3) troviamo:-
1) quasi la metà (il 40%) dipende della quantità degli studenti (non ho capito se numero assoluto o percentuale) che si iscrivono al secondo avendo fatto almeno i 2/3 degli esami del primo anno. Questo “per premiare le Università che curano la didattica e in generale gli atenei che limitano la dispersione”. Ma non ci vorrebbe molto a regalare tutti gli esami del primo anno, andando al massimo del punteggio! In che pericolo si incorre? Chi punisce i docenti che facessero così? Un Rettore “sleale” suggerirebbe di farlo, magari senza fare troppo rumore, docente per docente.
Riguardo ai rimanenti tre parametri che pesano ciascuno per un 20%:
2) la “percentuale dei laureati che trovano lavoro a 3 anni dal conseguimento della laurea”. Ma lavoro di che tipo? Oggi abbiamo visto che con i tipi di contratto “flessibili”, il mercato può proporre lavoro da inserire ai minimi livelli (si pensi ai “call center”). Sotto gli 800 euro mensili (calcoli Ires) c'è il 28,2 per cento dei laureati (mentre solo il 14 per cento dei licenziati elementari, e il 14,1 dei diplomati), e nei paesi Ocse siamo quello che paga meno i laureati tra i 30 e i 40 anni --- chiare tendenze verso il paese sottosviluppato in cui conviene cominciare a lavorare presto piuttosto che studiare. Il “pezzo di carta” costa forse meno che in altri paesi ma è comunque un errore in termini di tempo e denaro, in media. La percentuale di “lavoratori-studenti” su scala nazionale invece è in costante rialzo, ormai al 10% del totale studenti. Un ottimo bacino per il Rettore “virtuoso” che riuscirà ad accaparrarsi lavoratori-studenti in massa, attuando agevolazioni sleali a chi non frequenta regolarmente, magari sfruttando le risorse telematiche in modo pretestuoso.
3) “per il 20% delle Università che tengono corsi con i propri insegnanti di ruolo e che limitano il ricorso a contratti e docenti esterni”. In questo modo “si vuole limitare la pratica non virtuosa della proliferazione di corsi ed insegnamenti non necessari e affidati a personale non di ruolo”; ma chi ha creato questa proliferazione, se non l’idea iniziale di attrarre più studenti possibili? Si è certo accentuata la italica tendenza a studiare “sotto casa” (51,3% nel 2008 invece che 46,4% nel 2001), particolarmente fra i laureati di primo livello, meno nelle lauree specialistiche, dove gli studenti forse sentono la necessità di muoversi. Occorrerà forse tagliare, ma si creerà una gran confusione. Il Rettore “virtuoso” che non vuole scontentare nessuno applicherà i migliori geni italici a trovare delle soluzioni per aggirare il problema (“confederazioni” tra Atenei, corsi “inter-universitari”) con risultati ad oggi non prevedibili ma probabilmente vicini alla regola commutativa dell’algebra: cambiando l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia! Non potendolo risolvere data l’assenza di veri strumenti decisionali: spostare i docenti da una Sede all’altra, o licenziare, che spetterebbero ad una Riforma di colossali dimensioni, e sarebbe considerato ingiusto, anche se all’estero succede. Paradossalmente, si tornerà di nuovo alla malattia di partenza in quanto a numero di studenti con buona pace del Bologna process, e lasciando sul campo solo gli effetti collaterali, e tanta fatica inutile. Il Rettore “Virtuoso” non potrà convincere rapidamente grandi quantità di studenti a trasferirsi fuori sede, e viceversa cercherà di far percepire che la laurea si può ottenere senza frequentare e senza sforzo. Pagare docenti esterni di prestigio magari dal mondo del lavoro, il primo intento nel sistema sano, con i deficit in bilancio, va invece considerato non virtuoso, e da evitare come la peste.
4) per il 20% delle Università che danno la possibilità agli studenti di valutare attraverso un questionario la qualità della didattica e la soddisfazione per i corsi di laurea frequentati. Ma quanti studenti non sarebbero ben contenti di avere regalati voti ed esami? Se il Rettore convince i docenti a “regalare” gli esami, anche questo parametro sarà altissimo. Con una convenienza anche in termini di fatica a insegnare e studiare. Se nel frattempo il Ministro opporrà l’uso del badge per “controllare” i Professori nella loro attività, allora il Rettore dirà che è “Virtuoso” timbrare il cartellino, e poi andare a prendersi i vari caffè. Ecco come l’Università Italiana, la più antica del mondo, con talenti che nonostante tutto nel loro complesso riescono ancora a collocarci all’ottava posizione per produzione di documenti scientifici di qualità al mondo , si potrà ridurre ad un ufficio di zombie ambulanti.
Per quanto riguarda infine i parametri legati alla qualità della ricerca (che pesano per i 2/3), un Rettore, nemmeno quello “virtuoso”, può fare granchè nell’immediato, visto che le prospettive di assumere docenti nuovi validi o di trasferirne alcuni sono modeste, e vanno in contrasto con tantissime altre richieste, e con la mancanza di fondi: la più virtuosa delle Università di quest’anno, Trento, ottiene 6 milioni in più, briciole. Un Rettore “Virtuoso” non perderebbe troppo tempo. Risultato: rischiamo di tornare indietro a dieci anni fa come numero di studenti, saranno tutti 110 e Lode, il mercato proporrà solo lavori quasi gratuiti a tutti, i professori riscalderanno la sedia (anche perchè mancherà il riscaldamento) o porteranno altri lavori da casa, e tutti i parametri “meritocratici” saranno altissimi. Uno scenario realistico, già visto nei paesi dell’Est dopo il crollo. L’elefante delle grandi riforme meritocratiche ha partorito il topolino, ma questo è nato malato, e ha pure contagiato tutti gli altri topolini, sterminandoli.
Nel “Manuale esteso”, mi cimento nella più difficile pars construens del discorso, facendo possibili proposte.
I processi di riforma in "senso europeo" dell’Università cominciati dieci anni fa (il processo “Bologna”), con l’intento di “allineare” i nostri laureati ai parametri medi europei, ridurre il ritardo nell’età media alla laurea e la bassa percentuale dei laureati (circa la metà della media dei paesi OECD), partorirono la Riforma “3+2” DM 509 del 1999 (Laurea Breve più Laurea Specialistica). I risultati, a fronte di molto dispendio di energie, sono modesti: i laureati che completano il ciclo di cinque anni, ossia il 60% dei laureati triennali, sono aumentati solo del 20% .
La proliferazione in teoria positiva dei corsi di laurea (ormai oltre 5000), e delle piccole sedi periferiche, attuata per carpire la domanda di chi vuole stare “sotto casa”, e quindi con lo scopo preciso di aumentare il numero di studenti, è stata considerata eccessiva e la Legge 270 del 2004 ha cercato correzioni. Queste ultime già 5 anni dopo sono giudicate insufficienti da un governo dello stesso colore, e attualmente la “Legge 271” è allo studio. Essa fa tremare molti per la minaccia di parametri strettissimi, e situazioni paradossali, tipo Facoltà senza corsi di laurea ma con Docenti che non possono essere nè spostati nè licenziati. Questo forse spiega l’indecisione nel promulgarla. La saggezza popolare, di nuovo, consiglierebbe di “prendere il toro per le corna”.
Intanto, aver inseguito il “numero” di studenti, e non la loro qualità, a me sembra aver creato un problema ben maggiore della proliferazione dei corsi di laurea e delle sedi, di cui però nessuno parla. Una laurea con lode per tutti? Ma la mia impressione è, purtroppo, supportata dai dati: il voto di laurea medio, già altissimo dieci anni fa (103 su 110), oggi raggiunge valori prossimi al massimo nelle lauree specialistiche (108,7 su 110!). Un voto di laurea “svenduto”, e giustifica la sensazione diffusa che “una “lode” non si nega a nessuno”, un “todos caballeros” di Carloquintiana memoria. In Inghilterra, viceversa, dove il valore legale non ha senso, solo l’11% dei candidati conquista il voto massimo “First”, e rarissimamente si inserisce un “Starred First” (Cambridge, York) o “Congratulatory First” (Oxford) .
Mi è venuto quindi spontaneo un dubbio, e cioè che le nuove norme “meritocratiche” del “Pacchetto Università” varato nel Luglio 2009, con la classifica delle Università “virtuose”, non finiranno con generare altri effetti collaterali, incentivando la svendita delle lauree, degli esami, e dei voti, senza curare la malattia. Con il risultato di rendere la vita molto più difficile a chi studia seriamente e intende distinguersi, nonchè l’alimentazione o persino la creazione di un mercato del lavoro ultra-flessibile ma dequalificato. Tutto questo, magari in buona fede del Ministro, e per mancanza di opportune contromisure e retroazioni. E allora ho tentato di studiare con metodo scientifico, da Ingegnere, i dati sui laureati, e sul mercato del lavoro, incrociando alcuni in modo a me pare originale.
Nel mix di parametri usati dal Ministero per compilare la recente classifica delle università “virtuose”, relativamente alla “qualità della didattica” (che pesano per 1/3) troviamo:-
1) quasi la metà (il 40%) dipende della quantità degli studenti (non ho capito se numero assoluto o percentuale) che si iscrivono al secondo avendo fatto almeno i 2/3 degli esami del primo anno. Questo “per premiare le Università che curano la didattica e in generale gli atenei che limitano la dispersione”. Ma non ci vorrebbe molto a regalare tutti gli esami del primo anno, andando al massimo del punteggio! In che pericolo si incorre? Chi punisce i docenti che facessero così? Un Rettore “sleale” suggerirebbe di farlo, magari senza fare troppo rumore, docente per docente.
Riguardo ai rimanenti tre parametri che pesano ciascuno per un 20%:
2) la “percentuale dei laureati che trovano lavoro a 3 anni dal conseguimento della laurea”. Ma lavoro di che tipo? Oggi abbiamo visto che con i tipi di contratto “flessibili”, il mercato può proporre lavoro da inserire ai minimi livelli (si pensi ai “call center”). Sotto gli 800 euro mensili (calcoli Ires) c'è il 28,2 per cento dei laureati (mentre solo il 14 per cento dei licenziati elementari, e il 14,1 dei diplomati), e nei paesi Ocse siamo quello che paga meno i laureati tra i 30 e i 40 anni --- chiare tendenze verso il paese sottosviluppato in cui conviene cominciare a lavorare presto piuttosto che studiare. Il “pezzo di carta” costa forse meno che in altri paesi ma è comunque un errore in termini di tempo e denaro, in media. La percentuale di “lavoratori-studenti” su scala nazionale invece è in costante rialzo, ormai al 10% del totale studenti. Un ottimo bacino per il Rettore “virtuoso” che riuscirà ad accaparrarsi lavoratori-studenti in massa, attuando agevolazioni sleali a chi non frequenta regolarmente, magari sfruttando le risorse telematiche in modo pretestuoso.
3) “per il 20% delle Università che tengono corsi con i propri insegnanti di ruolo e che limitano il ricorso a contratti e docenti esterni”. In questo modo “si vuole limitare la pratica non virtuosa della proliferazione di corsi ed insegnamenti non necessari e affidati a personale non di ruolo”; ma chi ha creato questa proliferazione, se non l’idea iniziale di attrarre più studenti possibili? Si è certo accentuata la italica tendenza a studiare “sotto casa” (51,3% nel 2008 invece che 46,4% nel 2001), particolarmente fra i laureati di primo livello, meno nelle lauree specialistiche, dove gli studenti forse sentono la necessità di muoversi. Occorrerà forse tagliare, ma si creerà una gran confusione. Il Rettore “virtuoso” che non vuole scontentare nessuno applicherà i migliori geni italici a trovare delle soluzioni per aggirare il problema (“confederazioni” tra Atenei, corsi “inter-universitari”) con risultati ad oggi non prevedibili ma probabilmente vicini alla regola commutativa dell’algebra: cambiando l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia! Non potendolo risolvere data l’assenza di veri strumenti decisionali: spostare i docenti da una Sede all’altra, o licenziare, che spetterebbero ad una Riforma di colossali dimensioni, e sarebbe considerato ingiusto, anche se all’estero succede. Paradossalmente, si tornerà di nuovo alla malattia di partenza in quanto a numero di studenti con buona pace del Bologna process, e lasciando sul campo solo gli effetti collaterali, e tanta fatica inutile. Il Rettore “Virtuoso” non potrà convincere rapidamente grandi quantità di studenti a trasferirsi fuori sede, e viceversa cercherà di far percepire che la laurea si può ottenere senza frequentare e senza sforzo. Pagare docenti esterni di prestigio magari dal mondo del lavoro, il primo intento nel sistema sano, con i deficit in bilancio, va invece considerato non virtuoso, e da evitare come la peste.
4) per il 20% delle Università che danno la possibilità agli studenti di valutare attraverso un questionario la qualità della didattica e la soddisfazione per i corsi di laurea frequentati. Ma quanti studenti non sarebbero ben contenti di avere regalati voti ed esami? Se il Rettore convince i docenti a “regalare” gli esami, anche questo parametro sarà altissimo. Con una convenienza anche in termini di fatica a insegnare e studiare. Se nel frattempo il Ministro opporrà l’uso del badge per “controllare” i Professori nella loro attività, allora il Rettore dirà che è “Virtuoso” timbrare il cartellino, e poi andare a prendersi i vari caffè. Ecco come l’Università Italiana, la più antica del mondo, con talenti che nonostante tutto nel loro complesso riescono ancora a collocarci all’ottava posizione per produzione di documenti scientifici di qualità al mondo , si potrà ridurre ad un ufficio di zombie ambulanti.
Per quanto riguarda infine i parametri legati alla qualità della ricerca (che pesano per i 2/3), un Rettore, nemmeno quello “virtuoso”, può fare granchè nell’immediato, visto che le prospettive di assumere docenti nuovi validi o di trasferirne alcuni sono modeste, e vanno in contrasto con tantissime altre richieste, e con la mancanza di fondi: la più virtuosa delle Università di quest’anno, Trento, ottiene 6 milioni in più, briciole. Un Rettore “Virtuoso” non perderebbe troppo tempo. Risultato: rischiamo di tornare indietro a dieci anni fa come numero di studenti, saranno tutti 110 e Lode, il mercato proporrà solo lavori quasi gratuiti a tutti, i professori riscalderanno la sedia (anche perchè mancherà il riscaldamento) o porteranno altri lavori da casa, e tutti i parametri “meritocratici” saranno altissimi. Uno scenario realistico, già visto nei paesi dell’Est dopo il crollo. L’elefante delle grandi riforme meritocratiche ha partorito il topolino, ma questo è nato malato, e ha pure contagiato tutti gli altri topolini, sterminandoli.
Nel “Manuale esteso”, mi cimento nella più difficile pars construens del discorso, facendo possibili proposte.
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