Un nuovo articolo di
Gianfranco Viesti Marzo 2015 Elementi per un’analisi
territoriale del sistema universitario italiano. Fondazione RES
Istituto di Ricerca su Economia e Società in Sicilia Working Papers RES 02/2015
Marzo 2015
Le principali conclusioni a cui giunge il lavoro sono le seguenti.
1) Il ritardo nell’istruzione universitaria dell’Italia, rispetto agli altri paesi europei, è
molto forte; in tutte le sue regioni, ma in misura più intensa nel
Mezzogiorno, specie per i più giovani. Il numero limitato di laureati ha un
forte impatto sulle competenze medie della forza lavoro, e quindi sulla
produttività delle imprese. Esso rappresenta anche un notevole freno ai
processi di mobilità sociale.
2) I dati recenti sulle immatricolazioni nelle università italiane sono molto
negativi. Al netto della fisiologica riduzione delle iscrizioni rispetto agli anni
di avvio dei nuovi cicli, vi è una forte contrazione delle iscrizioni negli ultimi
anni, con minori tassi di passaggio dal diploma alla laurea. Questo
fenomeno è più accentuato nel Mezzogiorno, e in particolare nelle Isole; e si
somma in quei tentativi a tendenze demografiche negative, producendo una
flessione molto forte degli immatricolati. Flettono di più i passaggi
all’università dai diplomi non liceali, e, ancora una volta nel Mezzogiorno, le
iscrizioni di studenti di famiglie meno abbienti. L’Italia è l’unico paese che
vede ridursi il numero di studenti universitari.
3) La mobilità geografica fra regioni degli studenti all’atto dell’iscrizione
riguarda circa un quinto del totale. I flussi in uscita sono molto differenziati
per regione, anche all’interno delle grandi circoscrizioni. Tuttavia, mentre al
CentroNord la mobilità è prevalentemente interna all’area, molti studenti
del Mezzogiorno si iscrivono in atenei del CentroNord. Emilia, Lazio e
Toscana sono le regioni che beneficiano di più di questi flussi. All’interno del
Mezzogiorno la percentuale di studenti che si iscrive nel CentroNord è molto
diversa fra regioni, come pure la scelta delle destinazioni. I flussi in uscita
dalla Campania sono molto contenuti, quelli dalla Sicilia in forte aumento.
Anche se la durata media degli studi in Italia non differisce molto rispetto ad
altri paesi, mostra grandi diversità interne. I percorsi universitari degli
studenti degli atenei del Nord sono molto più veloci di quelli degli studenti
del CentroSud; corrispondentemente bassa la percentuale di fuoricorso. Lo
scarto è netto per i corsi triennali mentre si riduce moltissimo per i biennali.
Media nazionale fuori corso 35% contro 47% (il PoliBA è esattamente alla media del Sud)
gli studenti che completano in tempo gli studi triennali, o dei corsi a livello unico, sono sono il 43% al Nord, e solo il 27% al Centro e il 23% nel Mezzogiorno. I laureati regolari del Poliba (17,9%) sono inferiori persino alla media del Sud e persino di UniBA.
media crediti (MC) Studenti attivi (SA) Laureati regolari (LR)% Passaggi 2° anno (PA)% Abbandoni2° anno (AB) Fuoricorso(FC)
BARI
31,3
90,4
28,7
16,5
20,4
42,8
POLIBA
23,5
83,5
17,9
16,8
14,8
47,8
Tav 5.10 Indicatori di regolarità degli studi, per Atenei
Non è agevole spiegare questi fenomeni, che possono dipendere da una
pluralità di cause. E’ sensibile, e maggiore nel Mezzogiorno, l’abbandono
dopo il primo anno. Il giudizio degli studenti sulla disponibilità di struttre
negli atenei è anch’esso differenziato, con una situazione molto peggiore nei
grandi atenei del CentroSud.
4) Il numero di docenti universitari italiani si è fortemente ridotto negli ultimi
anni; pur nelle difficoltà delle comparazioni internazionali, il loro numero
appare più basso rispetto agli altri paesi europei. Il rapporto
studenti/docenti è in Italia sui valori più alti in comparazione
internazionale. All’interno del paese è fortemente squilibrato, con una
situazione peggiore al Sud rispetto alle altre circoscrizioni, nonostante il
forte aumento dei docenti nei primi anni duemila. Le figure precarie
(assegnisti) sono molto aumentate: ma loro presenza è molto maggiore al
Nord, rispetto al Centro e ancor più al Sud. Anche gli amministrativi si sono
ridotti: la loro presenza territoriale è più omogenea di quella dei docenti.
Infine, è in calo il numero dei dottorandi, fortissimo nel Mezzogiorno.
In Italia ci sono 96 istituzioni universitarie, di cui 67 statali, un numero che
appare comparabile, se non inferiore, a quello degli altri grandi paesi. La
loro distribuzione territoriale è omogenea, con una densità maggiore al
Centro, dove ci sono diversi piccoli atenei. Nel dopoguerra il Sud ha
recuperato il suo storico ritardo; negli ultimi 25 anni, poi, le università sono
aumentate sensibilmente, nel NordOvest, nel Centro e nel Sud. Ci sono
attività universitarie, alcune con un limitato numero di iscritti, in 164
comuni italiani (un numero in forte contrazione). Nell’ultimo quinquennio
l’offerta didattica (corsi) si è sensibilmente contratta.
5) L’Italia ha il livello di tassazione studentesca più alta fra i paesi dell’Europa
continentale (esclusa l’Olanda); è significativamente aumentato negli ultimi
anni. Le tasse universitarie sono molto diverse all’interno del paese, molto
più alte al Nord rispetto al CentroSud. Ma se si rapportano al reddito
procapite regionale, le differenze si riducono molto: alcune regioni (specie,
ma non solo, al Nord) hanno tuttavia un livello di tassazione rapportato al
reddito più alto della media. Sono significative alcune differenze fra atenei
interne alle regioni. Gli studenti esonerati sono una percentuale maggiore
nel NordEst e nel Mezzogiorno. La percentuale di beneficiari di borse di
studio, così come la disponibilità di posti alloggio e mensa e la spesa delle
università per servizi agli studenti, è molto più alta al CentroNord rispetto al
Mezzogiorno.
6) La spesa per l’istruzione universitaria è in Italia molto più bassa rispetto ai
paesi Ocse, sia misurata sul PIL, sia rispetto al numero di studenti (anche
tenendo conto della diversa durata degli studi). E’ inferiore anche la sola
componente pubblica. La spesa si è ridotta negli anni più recenti, in
particolare a seguito delle riduzioni operate sul Fondo di Finanziamento
Ordinario (FFO). Sul totale delle entrate delle università è aumentato
sensibilmente il peso della contribuzione studentesca e delle entrate
finalizzate da soggetti diversi dal MIUR. Normalizzate rispetto al numero di
docenti, e ancor più di studenti, le entrate sono maggiori per gli atenei del
Nord rispetto a quelli del CentroSud. Fra il 2008 e il 2012 l’FFO è diminuito
più della media nazionale per gli atenei del Centro, e, ancor più, del
Mezzogiorno (specie per i grandi). Sul totale delle spese delle università, nel
Mezzogiorno è maggiore il peso degli stipendi e minore quello dei beni
durevoli e dei servizi agli studenti.
7) La recente valutazione della ricerca universitaria (VQR) è stato un esercizio
complesso, e con aspetti controversi, anche se di fondamentale importanza
per le sue ricadute sul finanziamento degli atenei. I suoi esiti mostrano una
qualità della ricerca sensibilmente inferiore negli atenei del Mezzogiorno
rispetto al resto del paese. Lo scarto è contenuto per ingegneria e per altre
aree scientifiche, molto forte per le aree umanistiche. Forti anche le
differenze interne al Mezzogiorno: alcuni atenei (Sannio-Benevento,
Catanzaro, Napoli-Suor Orsola, Foggia, Salerno e Teramo) hanno risultati
migliori; le grandi università molto peggiori. Rispetto alla precedente
valutazione (VTR) si ha un sensibile peggioramento, con un vero e proprio
tracollo della qualità della ricerca negli atenei più grandi. Ma vi è anche una
forte varianza dei risultati; e non è chiaro in che misura tutto ciò dipenda
dalle differenti metodologie delle analisi.