martedì 26 novembre 2013

rivoluzionare l'insegnamento con l'informatica? Intervista a Michael Barber

E' uscita lunedi' un'intervista a Michael Barber ex consulente di Tony Blair e ora a capo di un grosso progetto editoriale per cambiare l'insegnamento.


molta informatica per valutare l'apprendimento degli studenti.    Molta enfasi sul fatto che solo gli strumenti informatici permetterebbero di vedere in tempo se un alunno rimane indietro, o permettebbero di far apprendere gli studenti uni dagli altri.... Il chè naturalmente non è vero, a meno che le classi non siano enormi, cosa che ormai non è più.

Se si seguisse il modello universitario originario, per cui tutte le lauree in ingegneria civile, per es., dovrebbero essere uguali (modello centralistico da noi mai rigettato ma ormai alquanto lontano dalla realtà, visto che ormai si distinguono le università sempre più tra loro, sulla base dei risultati di ricerca ovviamente, come nella maggior parte delle classifiche), si potrebbe proporre anche per gli studenti universitari.  Io non sarei contrario, non fosse altro per eliminare la eccessiva arbitrareità delle x migliaia di commissioni di esame nei loro x*y migliaia di appelli diversi.

saluti, mc

giovedì 21 novembre 2013

Dati concreti in risposta alle risposte volgari sulla carriera difficile delle donne nelle università

C'è stata una certa polemica sulla lista di universitari UNILEX in merito ad alcune risposte volgari sulla carriera difficile delle donne nelle università (che hanno risposto: le donne che fanno carriera la danno....).  Sono dispiaciuto del "successo" che miete la polemica sulle risposte volgari di alcuni iscritti a UNILEX:  secondo me al dibattito sulle volgarità e su come rispondere alle stesse, dotrebbe essere sostituito un dibattito su come usare UNILEX non come sfogo alla facebook, ma come canale di convogliamento di dati interessanti.  Cerco di contribuire per es. segnalando questo studio


segnalando le conclusioni non equivoche, forse andrebbe sensibilizzata la prima Ministra donna Carrozza, che non solo non vedo impegnata su questo problema (introdurre le "quote rosa" unica strada), ma che vedo impegnata addirittura in politiche di discriminazione basate sulle aree geografiche.

saluti, mc


Conclusioni
I dati riportati evidenziano come la situazione delineata sia piuttosto disarmante, notevoli sono ancora le forme di segregazione/discriminazione che subiscono le donne sia al momento dell’accesso che nella carriera universitaria. Purtroppo la mancanza di consapevolezza di questi fenomeni da parte degli universitari e la complessità del sistema di alte professionalità, che come ricordato spesso implica che nessuno si riconosca in figure legate agli stereotipi di genere, rende difficile l’individuazione di misure atte a rimuovere tali discriminazioni.
Per questo è necessario che i decisori - politici e accademici- intervengano a diversi livelli, a partire dalla programmazione, dall’organizzazione (ad esempio la legge 240 non prevede la presenza delle donne nei Consigli di Amministrazione come invece previsto per le imprese private), dalla scelta dei meccanismi di valutazione e al reclutamento. Si tratta di individuare misure difficili quanto irrinunciabili, perché la perdita della potenzialità delle donne è uno spreco di intelligenza, risorse e denaro che la nostra società in questo momento di crisi non si può permettere (R. Palomba,  Ả Löfström).

martedì 19 novembre 2013

Una proposta per le "morenti" università meridionali italiane

Segnalo da un intervento di W.Tocci, relativo a proposte per la legge di stabilità, degli elementi di riflessione:  


Molte politiche, più o meno consapevoli, aggravano lo squilibrio nazionale:

a) Il calo delle immatricolazioni dell'ultimo decennio è concentrato per metà al Sud. Nella ripartizione nazionale gli atenei meridionali raccoglievano il 35% delle domande, poco meno di quelli settentrionali attestati al 39%. Oggi il distacco si è triplicato poiché i primi sono diminuiti al 31% mentre i secondi sono saliti al 45%.
b) Gli studenti migliori sono incoraggiati a emigrare poiché il decreto del Fare ha istituito una borsa di studio aggiuntiva a quella ordinaria proprio per chi lascia la propria regione di residenza.
c) Diminuisce il numero dei professori a causa del recente decreto che quasi azzera il turn over al Sud mentre  mantiene in parte o aumenta le cattedre al Nord.
d) I tagli ai finanziamenti si fanno sentire soprattutto al Sud a causa di una malintesa applicazione del così detto fondo premiale.
Questi processi colpiscono le fondamenta del sistema universitario e sottraggono al Mezzogiorno i giovani più istruiti e più brillanti. Se non si inverte la tendenza la frattura del Paese si aggraverà. C'è anche una certa schizofrenia in questa politica. Infatti, con i fondi strutturali europei si è finanziata la ricerca universitaria al Sud per circa 100 milioni l'anno nel periodo 2007-20014 – con risultati migliori rispetto ad altre voci di investimento - ma nel contempo si sono indebolite le strutture che dovevano gestire queste risorse. È il difetto dell'approccio italiano che utilizza i fondi straordinari europei in sostituzione di quelli ordinari, perdendo in efficacia e continuità dell'investimento. Non ha senso ridurre i ricercatori e gli studenti proprio nei territori che ricevono più fondi per la ricerca.
Eppure nessuno sembra responsabile di tali incongruenze. L'acqua va dove trova la strada.

In effetti, letto cosi' non c'e' da trarre che una conclusione:  le università del Sud a livello nazionale vanno morendo, mentre vengono sostenute solamente dai fondi strutturali europei, che tuttavia riempiono solamente di macchine e laboratori e ingolfano le amministrazioni per comprare tali laboratori e tali macchine, ma i fondi strutturali non permettono le carriere.  


PROPOSTA:   A questo punto perchè non svincolare il Sud dalle regole italiane, e rendere anche gli stipendi al Sud pagabili con i fondi Europei?

saluti.
prof. M. Ciavarella

venerdì 15 novembre 2013

domanda al Rettore Poliba, ai colleghi, e agli studenti: Entrare o scappare dal Far West delle università online?

  • Caro Eugenio
  •   siccome mi hai chiesto (delegato?) di intessarmi di teledidattico, mi pare questo articolo di ieri su Repubblica chiarisca il problema esplosivo che c'è al momento. Siamo indietro o avanti rispetto agli USA?  Dobbiamo puntare sui corsi online o lasciare passare l'onda?  SIccome in Italia le telematiche stanno per scomparire, lasciare un vuoto, o riempirlo noi?  Come sai, la Federico II di Napoli sta per avviare un progetto MOOC, in cui potremmo entrare.  Ma finora non ho ricevuto grande feedback da Te o da colleghi Poliba. 
  • Per conoscenza, allego il messaggio/domanda a colleghi e rappresentanti studenti.
  • saluti, Michele

Il Far West delle università online

Il Mooc è tra noi, portato qui - come Twitter, come il frisbee - dal Nordamerica.È il "Massive open online course", e si traduce corsi universitari in rete. Le università di Harvard e Stanford, il Massachusetts Institute of technology, Georgetown in Washington Dc hanno corsi online. L' ottanta per cento degli atenei privati e pubblici degli Stati Uniti ha corsi online, spesso acquistati "chiavi in mano" dalle scuole più prestigiose. Si studia su Internet, si danno esami su Internet, si discutono tesi via Skype. Il materiale di studio è spesso creato ad hoc, le lezioni video sono di pochi minuti e focalizzate su un concetto o un argomento, a volte seguite da quiz per valutare la comprensione. Le lezioni vengono poi integrate con scritti, diapositive, materiali presi dal web. Il fenomeno - che aiuta chi lavora, chi attende un figlio, chi vuole riprendere in mano un piano di studi abbandonato - tocca cinque milioni di persone nel mondo. Tre milioni negli Stati Uniti. In Francia, per paragone, solo il tre per cento delle scuole d' eccellenza ha corsi online. Francois Hollande e il suo ministro Geneviève Fioraso hanno appena varato un piano di sviluppo nazionale della eeducation ambizioso: Fun, si chiama, la sua piattaforma è basata sulla tecnologia Google e il finanziamento iniziale è di 12 milioni di euro. Ci sono piattaforme nascenti o singoli atenei virtuali in Inghilterra, in Germania, in Spagna. L' e s p e r t o ( l u i francese) Gilles Babinet predice: «Tra qualche anno le università tradizionali saranno finite com' è successo con i monaci, custodi della conoscenza per secoli, dopo Gutenberg». Questa profezia converge con le speranze di Umberto Eco che, insignito della laurea honoris causa a Burgos, ha chiesto alle università di domani di «tornare a essere solo per le élite, come accadeva nella loro epoca migliore». Le masse stanno virando su altre forme di conoscenza, ecco. Il fenomeno Mooc galoppa nel mondo, nelle praterie che apre, però, ancora non si è vista la preparazione d' eccellenza. Sarà il futuro, ma, come molte cose online, non ha la profondità né la certificabilità del sapere tradizionale. La scuola centrale di Nantes già l' anno scorso ha servito milletrecento studenti via Internet, davano esami dalle loro camere in Canada, in Martinica, in Madagascar. In Europa undici Paesi europei, con l' aiuto della Commissione europea, hanno unito le forze per lanciare la prima iniziativa di corsi aperti e di massa: saranno quaranta, disponibili gratuitamente in dodici lingue (arabo compreso). Per l' Italia il partner di riferimento è la telematica Uninettuno di Roma. Chi chiederà la certificazione a fine corso, dovrà pagare tra 25 e 400 euro. «Nei prossimi cinque anni le università online conosceranno un' esplosione di iscritti, è necessario evitare che finiscano nelle mani sbagliate», dicono fonti del governo francese. La posta è alta. Le due piattaforme nordamericane - Coursera ed EdX, fondate da due professori d' informatica di Stanford e del Mit - hanno investito rispettivamente 43 e 60 milioni di dollari. Solo la californiana Stanford ha attratto a sé 160 mila studenti da 195 Paesi del mondo (professional, pensionati, mamme con bambini). In 23 mila si sono laureati. In Italia il fenomenoè cresciuto senza aiuti né ragionamenti di Stato, con l' autonomia anarchica tipicamente nostra. Le desolanti esperienze alla Cepu, con campioni del calcio e del motociclismo assoldati solo per pubblicizzare corsi a cui non avrebbero mai partecipato, hanno oscurato il fatto che per dieci anni nel nuovo settore della conoscenza c' è stata crescita anche da noi. Erano 1.500 gli iscritti nell' autunno 2003, oggi sono 44.856. La prima telematica, certificata dal ministro Letizia Moratti il primo marzo 2004, fu la romana Guglielmo Marconi, oggi non a caso la più grande con 15.635 iscritti. La Marconi ha consentito all' attuale ministro dell' Istruzione Maria Chiara Carrozza di prendere l' abilitazione, poi lei ha proseguito la carriera di ricercatrice-docente-rettore alla Scuola superiore Sant' Anna di Pisa. Si è laureato alla Marconi anche Carmine Schiavone, il figlio del camorrista Sandokan. Per dodici stagioni le telematiche hanno visto crescere gli studenti a una media del 46 per cento l' anno, ma nel 2012 c' è stata la frenata. Di più, la decrescita. Gli iscritti nella stagione 2012-2013 sono cresciuti un po' (il 3,7%), ma le immatricolazioni al primo anno sono fortemente arretrate: in calo del 38,2 per cento. E le matricole telematiche rappresentano l' uno per cento di tutte le matricole universitarie. Nell' anno 2013-2014 le università open fin qui accreditate - l' ultimo rapporto Anvur, l' Agenzia di valutazione universitaria, è sulla scrivania del ministro Carrozza per le considerazioni finali - sono dieci. Erano undici l' anno scorso.È uscita dal novero la Italian university line, il progetto più promettente perché nato per volontà di cinque atenei pubblici, naufragato sulla mancanza di progetti comuni, finanziamenti adeguatie un sincero interesse al destino dell' esperimento di e-learning. Sono stati soppressi i corsi del primo anno - carenza di insegnanti - proseguono per esaurimento dal secondo anno in su. A fine 2012 i valutatori di Anvur della Iul dicevano questo: «Se il suo bacino potenziale è ampio, in pratica le iniziative fin qui prodotte hanno coinvolto un numero ristrettissimo di studenti». La napoletana Pegaso, 385 convenzioni e accordi di tirocinio stipulati (con l' Università del Molise, con atenei lituani, ucraini, albanesi, con Asl e ordini professionali), dal report di fine 2012 usciva male: «La crescita del numero di iscritti non è accompagnata da un adeguato livello della didatticae da criteri di selezione rigorosi per gli esami e la tesi finale. Rischia di produrre titoli legali il cui contenuto non è comparabile con quello delle altre istituzioni universitarie». Tre videolezioni valgono un credito formativo. Un creditificio, utile a far crescere i bilanci dei fondatori e le carriere lavorative di chi, già con un mestiere, si iscrive all' università telematica. Nel 2011 i laureati Pegaso sono stati un' inspiegabile enormità, nel 2012 le immatricolazioni sono scese a diciannove. Dei cinquanta nuovi corsi proposti dalle dieci telematiche private, nel 2013 l' Anvur ne ha valutati tredici bocciandone nove. Diverse accreditate hanno ricevuto giudizi trancianti, altre segnalazioni di conflitti d' interesse (le romane San Raffaele e Universitas mercatorum). Molte realtà online si stanno consorziando, o comunque stanno stringendo accordi con università tradizionali. La Giustino Fortunato di Benevento, il cui rettore è l' ex ministro Augusto Fantozzi e la cui specializzazione è Giurisprudenza, ha convenzioni su singole borse di studio con l' Università di Bari e la spagnola Università de Cantabria. È lo stesso ministero a spingere ad affiancare l' e-learning italiano all' insegnamento tradizionale: ci sono 5 milioni di euro pubblici per le università che si federeranno con strutture accreditate per l' e-learning. La D' Annunzio di Chieti e Pescara lo scorso maggio ha votato l' assorbimento della telematica e boccheggiante Leonardo Da Vinci. Si sono astenuti il preside di Lettere e il direttore del dipartimento di Studi classici, timorosi dei debiti accumulati dalla privata. Com' è naturale, anche gli atenei tradizionali italiani, stretti tra bilanci complicati, si stanno affacciando al mercato dei Mooc. Ventinove atenei su sessanta hanno inaugurato corsi online in proprio. Tutti, però, prevedono esami frontali e discussioni delle tesi da svolgere in sede. A Tor Vergata i due corsi di laurea in Ingegneria (online) valgono 180 crediti. Alla Ca' Foscari di Venezia 436 docenti hanno prodotto e caricato sul sito d' ateneo 14 mila file didattici e gli studenti possono verificare con test di autovalutazione la loro preparazione evitando bocciature a sorpresa. Alla Statale di Milano e a Verona si usa il podcast (registrazioni riascoltabili con l' iPod): 18.000 gli studenti attivi. Alla Bicocca, Scienze umane per la formazione e Biostatistica, 19 mila studenti di ritorno si collegano tra le sette e le otto di mattina per studiare senza frequentare. Poi vanno al lavoro. © RIPRODUZIONE RISERVATA
CORRADO ZUNINO

martedì 5 novembre 2013

notizie deprimenti per il Politecnico di Bari e come farsi prescrivere antidepressivi dal fratello del Rettore!


Il D.M. n. 713 “Decreto criteri e contingente assunzionale delle Università statali per l’anno 2013” ha assegnato, a fronte di cessazioni per il nostro Politecnico di 17,8 Punti Organico (PO) (che lasciava prevedere in una prima versione con un turn over al 50% 8,9 PO spendibili), non già i 3,56 PO del turn over al 20%, ma un misero 1,6 PO, frutto degli  iniqui criteri di distribuzione del citato decreto. Questo benché il Politecnico sia comunque "virtuoso" secondo entrambi i parametri ministeriali.

Per completezza vi ricordo che il Ministero, inoltre, ci assegna una penalità ulteriore pari a -6,16 PO, determinati da un utilizzo del turn over per le ultime assunzioni/prese di servizio difforme dai criteri ministeriali.

Dopo queste notizie, credo che il fratello del Rettore Guido Di Sciascio, che è psichiatra, si dovrebbe preparare a prescrivere degli antidepressivi per tutti per i prossimi anni che casualmente coincidono con gli anni del mandato di Eugenio di Sciascio!!!

Saluti
Michele Ciavarella

venerdì 1 novembre 2013

lettera su progetti "sostenibili" green campus che sono green washing per mascherare chiusura di taranto


al pres. commissione strategica Poliba, Prof. M. Savino

Caro Mario

 ho letto un progetto Green Campus per Taranto, che allego per chi non l'ha avuto.  La parola "sostenibile" viene abusata x mascherare una effettiva chiusura di altri corsi, per ridurci a soli due corsi.  Non e' pratica nuova: soprattutto ma non solo le multinazionali usano la sostenibilità a fini di marketing con limitata o nulla sostanza. In tal caso si parla di “green washing"?
Se al poliba il progetto green campus maschera che dobbiamo contrarci a TAranto, facciamo uno sforzo vero di decrescita felice, passiamo piuttosto al teledidattico, dove le competenze del Poliba, che non possono improvvisamente cambiare, almeno vanno in sharing a Taranto in remoto.

distinti saluti
michele